Nuvolari. Frusta implacabile di velocità e furore

Indice

 

 

Introduzione, di Gabriele Cremonini

            Quel sogno eroico di due “ragazzi”

 

Roberto Roversi

            Nuvolari

            Mille Miglia, parte prima

            La Mille Miglia del quarantasette

            Circuito di Milano nel Parco Reale di Monza (1922)

            Formula 1

            Nuvolari e il suo tempo (un appunto)

 

Lucio Dalla

            Corrono ancora…

 

 

***

 

Introduzione

Quel sogno eroico di due “ragazzi”

 

 

Il tempo non è solo un giustiziere implacabile. Il tempo è giudice, bonario o severo: gli anni colmano fossi, abbattono o innalzano steccati, rendono tutto più chiaro, più vero.

Tazio Giorgio Nuvolari per molti è rinato nel 1976, ventitré anni dopo la sua morte, grazie a una canzone. È rinato negli occhi e nell’immaginario dei tanti figli del boom economico in cerca di eroi, è tornato a correre per quelli che, bambini prima della guerra, sbirciavano increduli, standosene in alto sulle spalle dei padri, le avventure di quelle scatole che parevano agli occhi d’allora saette, bimbi cresciuti a polenta e favole vere: di imprese mirabolanti a fari spenti, o di una chiave inglese al posto del volante. Tempi in cui guidare era essenzialmente questione di “manico”, non di tecnica. Tempi in cui il motore non era presenza inquinante, ma rumore buono che inorgogliva.

Bimbo tra tanti bimbi, Roberto Roversi aveva cullato, in quell’angolino della mente che custodisce i sogni dei ragazzi, questo suo Olimpo fatto di eroi carnali e non eterei. Poeta e scrittore vocato per formazione all’impegno civile e sociale, schivo al facile successo e incline al confronto continuo, incontra in quegli anni Settanta di straordinaria apertura alle idee un musicista e cantante, Lucio Dalla, bolognese come lui, in cerca di una propria cifra stilistica compiuta pur se già approdato al grande successo di pubblico. È l’incontro felice tra due “ragazzi” che hanno voglia di scambiarsi i sogni, nascono album entrati nella storia della canzone italiana, come Il giorno aveva cinque teste e Anidride solforosa. Impegno civile – la cifra che ha sempre contraddistinto l’opera del grande poeta Roversi – e sperimentazione musicale a far da miscela vincente. E nasce nel 1976 l’idea di tessere un emblematico discorso politico e sociale intorno all’automobile, divenuta quotidiano fardello, emblema di un settore nevralgico del potere industriale, già turbato però dai primi sintomi di crisi (stecco di legno sull’onda, nel brano Intervista con l’avvocato). Nasce uno spettacolo musicale per i teatri, Il futuro dell’automobile, di una fascinazione che ancora ricordo, per impegno, suggestione, bravura assoluta del gran cerimoniere ed istrione Lucio Dalla. Esce successivamente l’album Automobili, una selezione di brani dello spettacolo che sono ormai classici della musica d’autore italiana: Il motore del duemila, L’ingorgo, Due ragazzi, Intervista con l’avvocato, Mille Miglia e, soprattutto, Nuvolari.

 

Così è bello poter rileggere, in questo piccolo libro che precede ed accompagna la bella mostra Quando scatta Nuvolari – dedicata anche allo straordinario ritrovamento di tantissime foto in cui Tazio stesso ha voluto fissare fissare momenti del suo quotidiano, ma anche amici e avversari – i testi che Roversi ha dedicato al grande pilota. Accanto alle parole di quelle canzoni indimenticabili, ci sono altre poesie e un articolo scritto per questa occasione dove il poeta racconta il campione con gli stessi occhi meravigliati che vedevano sfrecciare Nuvolari sui viali della sua Bologna, quando era bambino.

E a conclusione di questo libretto, si rinnova il sodalizio tra Roversi e Dalla: perché accanto ai testi di cui abbiamo detto c’è anche un sogno stralunato di Lucio, che ha voluto correre davvero la Mille Miglia, che ha voluto respirare quell’aria mai mutata che odora di olio bruciato, di letame e di nebbia.

Loro, insieme, sono Nuvolari, come lo siamo tutti noi ogni volta che culliamo, nella mente avvezza a far capriole, un sogno eroico di affermazione, di vittoria contro ingiurie o ingiustizie.

Gabriele Cremonini

 

 

Nuvolari

 

Nuvolari è basso di statura

Nuvolari è al di sotto del normale

Nuvolari ha cinquanta chili d’ossa

Nuvolari ha un fisico eccezionale

 

Nuvolari ha le mani come artigli

Nuvolari ha un talismano contro i mali

il suo sguardo è di un falco per i figli

i suoi muscoli sono muscoli eccezionali

 

Gli uccelli nell’aria perdono le ali

quando passa Nuvolari

quando corre Nuvolari

mette paura

perché il motore è feroce

mentre taglia ruggendo la pianura,

gli alberi della strada

strisciano sulla biada,

sui muri cocci di bottiglia

si sciolgono come poltiglia,

tutta la polvere è spazzata via

 

Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari

la gente arriva in mucchio e si stende sui prati

Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari

la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore

e finalmente quando sente il rumore

salta in piedi e lo saluta con la mano,

gli grida parole d’amore

e lo guarda scomparire

come guarda un soldato a cavallo,

a cavallo nel cielo d’aprile

 

Nuvolari è bruno di colore

Nuvolari ha la maschera tagliente

Nuvolari ha la bocca sempre chiusa

di morire non gli importa niente

 

Corre se piove, o corre dentro al sole,

tre più tre per lui fa sempre sette,

con l’Alfa rossa fa quello che vuole

dentro al fuoco di cento saette

 

C’è sempre un numero in più nel destino

quando corre Nuvolari

quando passa Nuvolari

ognuno sente il suo cuore vicino

In gara a Verona è davanti a Bordino:

con un tempo d’inferno,

acqua grandine e vento,

pericolo d’uscire di strada,

a ogni giro un inferno,

ma sbanda striscia è schiacciato,

lo raccolgono quasi spacciato

 

Ma Nuvolari rinasce come rinasce il ramarro,

batte Varzi e Campari,

Borzacchini e Fagioli,

Brilli-Peri e Ascari

 

 

Mille miglia, parte prima

 

Partivano di notte

arrivavano di sera

lungo mille chilometri

di una fantastica carrera

Quando facevano ritorno

il cielo scendeva basso

colpiva la terra al cuore come un sasso

 

Poi il sole si spaccava

contro il ferro dei gasometri

e dall’alto lasciava

una riga rossa di sangue

sulla strada per chilometri

Mentre sul prato italiano

c’era la morte secca che falciava il grano

 

Mille Miglia del novecento trenta

su strade lunghe su strade alberate

sotto una luna che cammina lenta

partono le piccole cilindrate

 

Mille Miglia di un anno ormai lontano

il giorno dà le sue prime boccate

quando sulle strade verdi e in piano

urlano le grosse cilindrate

 

Ultime partenze al mattino

quando l’alba non è ancora sfumata

zaffate di gomme e di polvere

tutta l’Italia è risvegliata

 

A Bologna Arcangeli è primo ma

a Roma Nuvolari prevale

(mentre Arcangeli ha noie al motore)

fra una siepe di folla impazzita

 

A Terni dove c’è il rifornimento

passa Varzi e Nuvolari è secondo,

la polvere alza un lenzuolo dentro al vento

e copre questo scontro furibondo

 

Su Radicofani sembrano saette

per le stanze di un castello antico

trecento curve che la morte strina

e gomme roventi, puzzo di benzina

 

Al secondo passaggio per Bologna

l’Alfa di Varzi è ancora prima

ma l’insegue spietato Nuvolari

che chiede strada lampeggiando i fari

 

Ora Nuvola è dentro al suo trionfo

mentre Varzi fantastico è secondo

Arcangeli e Campari ritirati

Tutti campioni famosi per il mondo

 

Partivano di notte

arrivavano di sera

dopo mille chilometri

di questa fantastica carrera

E nessuno poteva dire

se le macchine correvano

per ritornare o per scomparire

 

Partono a notte fonda

coi fari accesi sull’onda

dei pioppi di Lombardia

e li strappano via

Sbruffi di polvere, zaffate

d’olio, puzzo di benzina

per le strade di un’Italia contadina

 

 

La Mille Miglia del quarantasette

 

Una corsa epica fu

sul cuore verde di un Gesù

sul suo costato sporco d’amore,

la Mille Miglia del quarantasette

corsa spaccacuore

e dura come non mai,

vera crocefissione

esecuzione d’orchestra

un’avventura di pioggia e di paura

autentico massacro e antica festa

fra macerie, case

una vera tempesta

 

Nuvola Nuvolari

sei una nuvola nera,

dentro a un cielo sereno

sfascio di primavera

a cielo aperto

quando sbatti il martello sulla sorte

se cerchi la morte

la morte non verrà

 

Mantovano volante

vento e biacca nel cuore

sulla Cisitalia millecento

te ne freghi anche della vita

sei un ometto di Keaton

che corre per la vittoria

sbattevano gli alberi

mentre la corsa passava

l’Italia aveva il cuore smozzicato

quando i campioni per i rettifili

passavano in un baleno

e si vedevano appena

 

Nuvola Nuvolari

sei una nuvola bianca

dentro a un cielo sereno

sfascio di primavera

a cielo aperto

quando sbatti il cucchiaio sulla sorte

se cerchi la morte

la morte non verrà

 

La vettura era aperta

come un delfino arpionato

poche lamiere, il volante, le gomme

passano a Bologna (come passa il vento)

in un grande silenzio

la gente trattiene il respiro

Nuvolari e Carena

arrivano a Brescia secondi

con due minuti di distacco

primo è Biondetti sporco come un cane

per le strade padane

sfrecciando a viso aperto

 

Era un mare coperto

di erbe lunghe e amare

Macerie della guerra

L’Italia a pezzi rovesciati in terra

Ma l’urlo dei motori strappava

la gente dalle case

E c’erano voci luci colori

luci voci colori

 

 

Circuito di Milano nel Parco Reale di Monza (1922)

 

Le vetturette Diatto Bugatti Maserati

Fiat 804 Alfa Romeo P2

Delage Miller Mercedes.

CAMPARI, MATERASSI, BRILLI-PERI,

ASCARI, ARCANGELI, BORDINO.

BACONIN BORZACCHINI.

Strepitose le imprese di Bordino nel ventidue

ma Bordino è morto in prova nel venticinque.

Brilli-Peri vince il Gran Premio d’Italia

nel venticinque ma

Brilli-Peri muore in prova nell’anno trenta.

Campari che vince rombando a Monza

nell’anno trentuno

muore in gara nell’anno trentatré.

Grosso e nero cantava l’Aida con voce profonda.

Anche lui dipinto il suo corpo col sangue di rosso

ha rotte le corde trascinato da un vento garbino.

Senza destino, come il lattante

che dorme, respirano i re.

Baconin Borzacchini eterno secondo

anarchico è

morto a Monza durante le prove. Varzi

freddo compasso di Euclide si uccide provando,

leggero leggero leggero senza dolore

come vicino al mare morivano un tempo

i figli di Zeus.

Oggi viviamo in un momento straordinario.

Difficile. Difficilissimo.

Parliamo parliam parlia parli parl

Tutti saltano come birilli impazziti.

Allora solo Nuvolari diventato vecchio

aspettava.

Con il motore spento.

Oggi è probabile che vincerà Villeneuve.

                                

(9 settembre 1979)

 

 

Formula 1

 

SENZA DESTINO, COME IL LATTANTE

CHE DORME, RESPIRANO I RE

 

Strepitose le imprese di Bordino nel ventidue ma

Bordino è morto in prova nel venticinque.

Brilli-Peri vince il Gran Premio d’Italia

nel venticinque ma

Brilli-Peri muore in prova nell’anno trenta.

Campari che vince rombando a Monza nell’anno trentuno e

muore in gara nell’anno trentatré

era grosso e nero cantava l’Aida con voce profonda

anche lui dipinto il corpo di rosso

ha rotte le corde trascinato da un vento garbino.

 

SENZA DESTINO.

SENZA DESTINO RESPIRANO I RE

COME IL LATTANTE CHE DORME

 

Baconin Borzacchini eterno secondo e anarchico è

morto a Monza durante le prove. Varzi

freddo compasso di Euclide si uccide leggero

leggero e senza dolore

come vicino al mare morivano un tempo

i figli di Zeus.

Allora solo Nuvolari diventato vecchio

aspettava.

Con il motore spento.

SENZA DESTINO. SENZA DESTINO

 

Le vetturette Diatto Bugatti Maserati

Fiat 804 Alfa Romeo P2

Delage Miller Mercedes.

Campari, Materassi, Brilli-Peri

Ascari, Arcangeli, Bordino.

Baconin Borzacchini.

Oggi viviamo in un momento straordinario.

Difficile. Difficilissimo. Tutti

saltano come birilli impazziti.

 

SENZA DESTINO

SENZA DESTINO SENZA DESTINO

COME IL LATTANTE CHE DORME

RESPIRANO I RE

 

Il capolavoro della Ferrari è la 275 gbt

La Ferrari turbo ha vinto dopo venti mesi

a Montecarlo

lei dica che il digiuno sta per finire

confida il mago di Maranello.

 

(IL CAVALLINO RAMPANTE

HA BRUCIATO SULLA

CARLINGA DI BARACCA)

 

Io sento profondamente la responsabilità

che mi assumo

Quando do una mia macchina ad un

pilota e gli dico: vai pure,

è sicura nei limiti della perfettibilità

umana. Io non lesino

sulle mie macchine e non ricordo

che abbiano perdute le ruote.

 

VILLENEUVE SEDUTO IN VETTURA

È UN QUADRO

DI POLLOCK.

 

(14 giugno 1981)

 

 

Nuvolari e il suo tempo (un appunto)

 

Nuvolari è basso di statura, Nuvolari è al di sotto del normale, Nuvolari ha cinquanta chili d’ossa, Nuvolari ha un fisico eccezionale.

Così appariva ed era.

Mille Miglia del 1947. A Bologna, lungo i viali, il viale Aldini, io c’ero.

Il leggendario passaggio di Nuvolari, con la macchina squinternata, il meccanico Carena (la seconda guida) che sedeva ormai non più sui cuscini ma sui tralicci metallici interni, il cielo che male prometteva.

Io c’ero.

Una corsa epica fu

la Mille Miglia del quarantasette,

e dura come non mai,

un’avventura di pioggia e di paura

fra macerie, case,

una vera tempesta.

Nuvolari, quel giorno, in quel momento, dentro all’abitacolo della Cisitalia 1100, sembrava che corresse con i piedi.

I piedi vorticosamente agitati, rabbiosamente diretti, al posto delle ruote.

Posso raccontarlo come impressione veemente, perché si vedeva lui intero, fuori dalle lamiere, quasi sospeso nell’aria, teso con determinata decisione in quella disputa disperata con il destino.

Si poteva sfiorarlo con una mano. Applaudirlo da vicino.

Oggi i piloti neanche si vedono, neanche si conoscono, così intabarrati e compressi negli abitacoli come pizze nel forno, distanti da me, da te, quasi corressero tra le nuvole.

L’appunto non è per determinare paragoni ma per registrare con esattezza le diversità che sussistono, dato che i tempi, questi nostri tempi, sono fragorosi e rapinosi.

Invece il primo periodo dell’automobilismo è stato magnifico. Io c’ero.

Ancora Mille Miglia, seguendola fino ad avere roca la voce, perché era la corsa unica al mondo:

Partivano di notte

Arrivavano di sera

Lungo mille chilometri

Di una fantastica carrera.

Quando facevano ritorno

Il cielo scendeva basso

Colpiva la terra al cuore come un sasso.

Ho ancora nell’orecchio l’urlo arrocchito del motore, sferzato dalla frusta implacabile di Nuvolari, mentre passava scatenato per viale Aldini.

Le macchine disegnate da mani, dita, ossa ardite, belle a vedersi e non ancora implacabili scarrafoni che strisciano il ventre sulla terra per rubare l’aria al motore.

Le auto, anche allineate sul filo della partenza, non ruggivano, ansimanti, aggrottandosi l’anima per il lavoro, senza neanche un sorriso, che le aspettava; tutto era più leggero, fruibile e mentre, ancora ferme, poteva sembrare che sospirassero preparandosi alla corsa; quando si scatenavano risuonavano senza prepotenza, affascinavano non impaurivano, come cavalli di cui, però, si potevano sfiorare i peli del mantello.

La Bugatti era un quadro di grande autore, che correva. Un quadro veloce, con quei colori di mare. Lo sospingevano, il quadro, le ali colorate degli angeli o il soffio di venti strani e arcani. Dopo la corsa, la Bugatti non rientrava in officina ma in un museo, dove nel silenzio riposava con armonica pazienza in attesa della prossima competizione.

In queste fotografie che altri, specificamente competenti giudicheranno secondo il dovuto, Nuvolari è quasi sempre in tenuta borghese, con giacca calzoni e spesso con la cravatta; tuttavia (sembra) sempre vibrante, con i nervi tesi a fior di pelle, senza alcuna sostanziale pacatezza; anche quando siede in giardino, Nuvolari sembra proteso a balzare da qualche parte nell’abitacolo ristretto, scomodo di un’auto da corsa.

Sbuffi di polvere, zaffate

d’olio, puzzo di benzina

per le strade di un’Italia contadina.

Non sembra seduto su una sedia in giardino ma sul cuscino abbastanza scomodo di una Alfa Romeo 1750.

Ma cos’è, di vero e profondo, che ha reso Nuvolari così duraturo nella fama e resistente negli anni agli elogi, come un Garibaldi del volante?

E sì che sulle piste, c’erano allora piloti campioni, furibondi invadenti coraggiosi, sempre pronti di fronte ad ogni pericolo e ingaggio:

Campari, Materassi, Brilli-Peri,

Ascari, Arcangeli, Bordino.

Baconin Borzacchini.

Materassi, la macchina proiettata sul pubblico. Monza, settembre 1928.

Strepitose le vittorie di Bordino nel ventidue

ma Bordino è morto in prova nel venticinque.

Brilli-Peri vince il Gran Premio d’Italia nel venticinque ma

Brilli-Peri muore in prova nell’anno trenta.

Campari che vince rombando a Monza

nell’anno trentuno

muore in gara nell’anno trentatré.

Grosso e nero cantava l’Aida con voce profonda.

Anche lui dipinto il suo corpo col sangue di rosso

ha rotte le corde della vita come una nave trascinata dal vento

di una corsa veloce.

Senza destino, come il lattante

che dorme, respirano e vivono i re del volante.

Baconin Borzacchini eterno secondo e in attesa,

anarchico,

è morto a Monza durante le prove. Varzi

freddo compasso di Euclide si uccide provando

nella tenera Svizzera di cioccolata e di neve

volando fuori di pista durante le prove

leggero leggero leggero senza dolore

come vicino al mare morivano un tempo

i figli di Zeus.

Oggi viviamo in un momento straordinario.

Difficile. Difficilissimo.

Parliamo parliamo parliamo tu parli io parlo senza ascoltare.

Tutti saltiamo come birilli impazziti.

Allora solo Nuvolari

diventato vecchio

aspettava.

Con il motore spento.

Senza destino senza destino senza destino

come il lattante che dorme

respiravano in battaglia i re del volante.

Siamo al diciassettesimo giro. Il gruppo dei leaders è già passato.

Monza, settembre 1928.

Io c’ero.

È primo ancora Varzi con quattro secondi di vantaggio su Chiron e con sei secondi su Arcangeli, che ha superato Nuvolari.

Ecco che si avvicina il quinto; è Materassi che ha davanti a sé Foresti, distaccato però di un giro.

Le due macchine escono quasi apparigliate dalla grande curva.

Sul rettilineo Materassi incalza e s’intuisce che intende passare subito il rivale. Il pubblico, già in emozione per la magnifica corsa dei primissimi, segue attentamente, non senza un’ombra di apprensione, il nuovo duello.

Di fronte alla tribuna d’onore il freno anteriore della macchina di Materassi è ormai all’altezza del freno posteriore della vettura di Foresti.

Sono le 11 e 36.

Dalla tribuna scorgiamo un bolide rosso deviare bruscamente a sinistra, roteare di traverso, sollevarsi in alto, scagliando ancora più in alto il pilota, e balzando oltre il fossato, irrompere nel parterre.

Io c’ero.

Conservo ancora l’emozione nel rapido ricordo, di grida forsennate. Padre e madre non mi fecero vedere.

Ma ho mantenuto nel tempo il pensiero convinto che le corse in auto erano un duello antico, violento e pericoloso, con possibile anzi probabile fervore di sangue.

Lotte drammatiche, allo spasimo, e Nuvolari c’era dentro fino al collo.

Quel giorno: l’accensione quasi simultanea dei motori lacera l’aria col fragore assordante d’un cannoneggiamento improvviso.

La partenza avviene alle dieci e trenta precise. Il primo a lanciarsi è Nuvolari. Al passaggio davanti alla cabina dei cronometristi è in testa Williams, seguito da Nuvolari, Materassi, Varzi, Borzacchini, Maggi, Brilli-Peri, Foresti, Chiron, Arcangeli, tutti vicinissimi.

Secondo giro, è primo Williams, inglese, ha trenta metri su Nuvolari, cinquanta metri su Borzacchini. Sempre gli stessi piloti, combattenti tragicamente instancabili, sempre pronti alla lotta dura nel vento che sibila e accompagna.

E sempre Nuvolari in prima fila.

Mille Migliadel millenovecentotrenta. Un anno ormai lontano. Su strade polverose, su strade alberate, sotto una luna che cammina lenta, partono le piccole cilindrate.

Poi il giorno dà le sue prime boccate quando sulle strade verdi e in piano urlano le grosse cilindrate. Da Brescia ultime partenze al mattino, quando l’alba non è ancora sfumata, zaffate di gomme e di polvere, tutta l’Italia è risvegliata. A Bologna Arcangeli è primo ma a Roma Nuvolari prevale (mentre Arcangeli ha noie al motore) fra una siepe di folla impazzita.

A Terni, dove c’è il rifornimento, passa Varzi e Nuvolari è secondo, la polvere alza un lenzuolo dentro al vento e copre questo scontro furibondo. Battaglia vera, come su cavalli veri, scatenati dalla frusta. Su Radicofani sembrano saette per le stanze di un castello antico, trecento curve che la morte strina e ancora polvere, puzzo di benzina.

Al secondo passaggio da Bologna l’Alfa di Varzi è ancora prima, ma l’insegue spietato Nuvolari, che chiede strada lampeggiando i fari.

Nuvolari è dentro al suo trionfo, mentre Varzi fantastico è secondo, Arcangeli e Campari ritirati. Tutti campioni famosi per il mondo.

Partivano di notte, arrivavano di sera dopo mille chilometri di una fantastica carrera, e nessuno poteva dire se le macchine correvano per ritornare o per scomparire.

Io c’ero.

Io vedo, io sento, io ascolto l’epico suono e l’epica luce  di quelle battaglie che rendevano misterioso anche il fango.

Il fango, appunto. Il fumo, il fuoco, il dispetto.

Quei piloti li ho applauditi sul campo (le strade aperte) con queste mani.

Audaci erano, fino allo spasimo.

Ma questo era un prima, poi c’è stato un dopo, mimetico e vorticosamente incostante.

Come tempo, come data, li disporrei esattamente e sempre a mio parere, il primo con Biondetti e le sue Mille Miglia e il secondo con Giannino Marzotto e le sue Mille Miglia. Il tempo, leggenda per le corse su quattro ruote e il tempo tecnologico, sibilante e sofisticato, tutto orecchi e occhi e niente emozioni, tutto smalti e schermi, circuiti pittati, con sistemi di informazione e di comunicazione avveniristici: i piloti sono ingegneri, sono tecnici. Le macchine sono tubi tutti bucati e sbrilluccicanti  di cui non si vede la fine, come i piedi interminabili delle donne americane. Di nostro, di vero, di buono, c’è soltanto (o soprattutto) la tecnologia raffinata e ormai si può dire esasperata che concentra (vorrei dire riduce) le corse a una gomma, a un po’ di benzina (tanto che proprio oggi, sabato 6 giugno, è data sui giornali in 21 righe la seguente notizia: “Crisi di pubblico. Tribuna vuota, Ecclestone la fa coprire. I segni della crisi si vedono da tempo anche in F1. Ma stavolta sono macroscopici. Ieri Ecclestone è stato costretto a ricorrere a uno stratagemma per nascondere l’assenza del pubblico – record di biglietti invenduti. Accortosi che nella tribuna, lunga più di cento metri, situata prima della dodicesima curva, non c’era un solo spettatore, ha chiamato il responsabile degli allestimenti del circuito e gli ha ordinato di coprirla con un’enorme tenda verde in maniera che in tv sembri un prato incolto”).

Oggi sono in pista buoni e spesso validi professionisti, non guerrieri. Ma allora quando correva Nuvolari fra una siepe di folla impazzita!

“Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari la gente arriva in mucchio e si stende sui prati. Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore e finalmente quando sente il rumore salta in piedi e lo saluta con la mano, gli grida parole d’amore e lo guarda scomparire come guarda un soldato a cavallo, a cavallo nel cielo d’aprile”.

Poi le auto, disegnate (non da un acido astuto gelido e arrogante computer, tali da essere tutte uguali e strizzate, a parte il colore) con le linee morbide e sovrane di un pittore, di un artista, che non si accontenta di sentire ma vuol vedere, partecipare, percepire, ascoltare mentre trasferisce i suoi segni. Ascolta l’ansimare del vento e il richiamo, l’invito, l’ammonimento della bellezza.

(L’esempio, per una esemplificazione vertiginosa, l’Atalante su telaio 57 S della Bugatti. Ma più direttamente, per le corse, il coach 73 A sempre Bugatti, fascinosa e morbida, senza una piega).

Nuvolari era dentro, è stato sempre dentro, a questo ordinario delirio di bellezza autentica e pulsante, di motivazioni forti e armonicamente ordinate, di motivazioni a misura d’uomo e partecipate dall’uomo.

Ognuno poteva contarsi e ritenersi un invitato a nozze, un ospite a cui perveniva l’invito di salire a bordo. Perché, ripeto, il pilota non era rintanato ma era lì che si protendeva. Come ai ciclisti, quando transitano ansimando per strade alte di montagna e la gente stretta intorno gli striscia la mano sulla maglia, ne percepisce l’affanno e il sudore.

E allora?

Allora, ripeto di nuovo, che anch’io c’ero. Giovane e stralunato, ma c’ero. E adesso posso dire, come convincimento meditato, sia pure da spettatore non qualificato, che le vittorie, ad esempio, alle Mille Migliadi Biondetti e di Giannino Marzotto rappresentano un prima, leggendario e scomparso, e un dopo (come ho già detto) da sala chirurgica, dove anche il respiro viene calibrato e contato. Così.

Biondetti, che ha vinto varie Mille Miglia, le prime volte arriva a Brescia e scende dalla macchina sporco di polvere aggrumata, con il volto inzaccherato, il cerchio ampio e nero tracciato intorno agli occhi e quasi scolpito sul viso degli occhialoni di gara che adesso gli pendono sul petto, una sciarpetta leggera, di cotone o di seta, annodata intorno al collo, la tuta bianca che pare sia stata trascinata sull’asfalto o nella polvere; insomma, l’immagine viva di una grande fatica, anche di pioggia, sia pure coperta dal sorriso del vincitore. Giannino Marzotto vince la Mille Miglia del 1950, quindi sessanta anni fa, a una media spettacolosa anche se non da record, e vince davanti a Fangio. A Fangio. Bene, basta vederlo anche soltanto al controllo di Roma, quindi a metà gara: nessun casco, niente occhialoni, nessuna tuta, capelli ordinati, un vestito nero ben stirato (ha, sopra, in quel momento, uno spolverino che gli arriva quasi fino ai piedi).

Ha corso su una Ferrari 2340 alla media di 123,209.

Lì a Roma, tranquillo, sembra che stia osservando qualcuno che gli sta ferrando il cavallo.

Come scriveva Giovanni Canestrini, notissimo commentatore sul «Corriere della Sera» di lunedì 24 aprile 1950: “Scompaiono nella dura lotta sotto la pioggia i principali protagonisti della gara. Un uomo nuovo… Ancora pochi mesi fa Giannino Marzotto non aveva preso neppure contatto con macchine che superassero la velocità di una vettura da turismo, ma sin dal suo primo saggio sulla due litri Ferrari, Marzotto si è permesso di fare una eccezione alla regola delle Mille Miglia, che dà perdente il pilota che è primo a Roma; mentre la sconfitta di Fangio conferma l’altra regola che non concede probabilità di vittoria ai piloti stranieri non assuefatti alla nostra rete stradale e al nostro traffico”.

La Mille Miglia e Nuvolari. Una integrazione esemplare. Non ce ne sarà in seguito un’altra eguale. La corsa più bella del mondo e il pilota drammaticamente irrompente, che quando è presente diventa protagonista; fra una siepe costante di pubblico, di gente frenetica ed esaltata, che gli grida sull’aria del vento il nome ripetendolo come un richiamo, quasi una invocazione di rapida ma necessaria e auspicata felicità. Per la Mille Miglia, si può dire – io c’ero – che la si aspettava come se dovesse essere corsa nelle stanze, anche se striminzite, del proprio magro appartamento, della propria abitazione.

Trascrivo alcune altre righe prese da un giornale del tempo per spiegarlo: “Le macchine della Mille Miglialanciate sulle strade d’Italia. Intanto la vigilia è stata una delle più turbinose che ricordino i vecchi lupi della Mille Miglia. Gli effetti del diluvio che ieri aveva messo a soqquadro tutta l’impalcatura della grande corsa sono quasi tutti scomparsi, e oggi Brescia era riapparsa nel suo volto consueto di vigilia: uno scenario di febbre. Cinquecento macchine, con i numeri di corsa segnati di bianco, si aggiravano per la città, e specie nelle vie del centro l’urlo di tutti quei motori faceva accapponare la pelle. Piazza della Vittoria, che è il quartiere generale della corsa e che lo è stato fino alla mezzanotte, cioè fino a quando non sono state date le prime partenze, è apparsa come suggestivo teatro sul quale sono sfilati, tra gli applausi della folla, tutti i protagonisti, grandi e piccoli, di questa competizione che non ha eguale nel mondo”. Come ho già detto anch’io, ritornando con la solita emozione su quei fatti e quegli atti (che si raggrumano poi in corpi e nervi e furori ed epiche esaltazioni di piloti, molti dei quali autentici campioni).

Non solo, infatti, una gara formidabile ma un suggestivo teatro. Che ho cercato di riempire di uomini (non solo piloti) di fatti (frammenti di fatti, episodi brucianti) in cui e a cui Nuvolari era presente, protagonista magari indiretto. Una presenza entusiasmante, conturbante, ma di generale stimolo costante.

Un re della scena. Lui e non un altro.

È lui che mi indicava il percorso della memoria e degli affetti, suggerendomi la traccia per riafferrare i fili dello spettacolo di quei tempi; di quel tempo… Una succintissima ma corretta iconografia per quel che riguarda Nuvolari.

L’emozione di chi c’era, in quei frangenti spettacolari, è ancora ben distante dalla memorazione del presente, che non può sentire il rumore dei motori. È dunque storia; ma chi c’era se la porta dentro. L’oblio è contrastato e vinto.

Nuvolari esce come Ulisse dall’acqua del tempo, sempre come un intrepido combattente, che per tutta la vita non si è mai arreso alla vita. Potente nella sua esile persona. Procuratore di emozioni incomparabili. Unico nel suo campo. Una vita, ripeto, degna di Pindaro.

Proprio perché c’erano anche altri campioni in giro.

 

 

Corrono ancora…

Lucio Dalla

 

Certe notti di luna fanno ancora sognare. Quando è alta, irraggiungibile, nel cielo come la vedeva Flash Gordon dalla sua astronave a vela, fa sempre e ancora paura, e ti suggerisce ipotesi, rimbalzi da futuri che non abbiamo mai visto o che non vedremo mai più, dove l’uomo era il re della macchina, ne era il padrone, lo sposo… insomma la dominava.

In queste notti, in quel triangolo del mistero che è “Laguna Ghiacciata” tra Mantova, Reggio, Brescia e Modena, prima del bivio “Frena”, dopo la mezzanotte tra il venerdì e il sabato, il mondo si capovolge: gli alberi crescono così in fretta che in pochi minuti diventano bosco e raggiungono il cielo, le strade si stringono e ritornano ad essere polverose. Gli sfortunati automobilisti che passano di là in quel momento, sentono i motori delle loro macchine mano a mano indebolirsi, vedono le luci dei loro fari, che fino a un attimo prima erano spade che foravano il burro nero della notte, perdere i loro watt per strada e ritornare lanterne, ed improvvisamente, dal silenzio che si può sentire solo su Marte o Saturno, arriva Rombo!

I cani cominciano a latrare come lupi, macchie nere di pipistrelli impauriti spostandosi dal centro della strada si riuniscono ai bordi della stessa trattenendo il fiato e sbiancandosi dalla paura. Sul momento, Rombo sembra solo un punto nero lontano, un neo nella luna, ma con una velocità mai neanche immaginata arriva come una carica di giganti. È il Tutt’uno, l’Anima e la Carne con il Metallo fusi insieme e diventati lega invincibile. È Nuvolari.

In piedi sul cofano, con la faccia sporca da minatore che esce dalla grotta del tempo, divora ancora tutto quello che gli sta davanti: chilometri, notte, ridicole macchine da discoteca, impasticcate o semiubriacate suicide, addormentate familiari da rappresentanti cariche di campionari prêt-à-porter.

Grinta Nuvolari insegue… insegue anche se stesso. Era ed è ancora il suo destino, il suo dramma, quello di essere primo e secondo, quindi di non avere rivali: neanche il fato poteva resistergli. Fu concepito a Mantova, ma come progetto nacque insieme alla spada di Achille nella fucina di Vulcano, quindi non potendo spezzarsi, non c’era materia o presenza che potesse contrastarlo. Affondava così tanto nel cuore degli abitanti della “Laguna Ghiacciata” che, al suo passaggio, bagnato dalla luna dei campi, lo stesso loro cuore diventato d’argento si scioglieva. Il rombo del suo motore, travolgendo tutto, arrivava perfino in Cina, facendo tremare la Grande Muraglia e spaventando nugoli di passerotti mandorlati come lo sparo del fucile di un cacciatore.

Brilli-Peri! Borzacchini! Fagioli! Ascari! Anche loro grandi cavalieri in cerca di gloria per le strade dell’Italia contadina, spesso lo inseguivano e qualche volta gli stavano anche davanti ma, il più delle volte, il loro destino era quello di tagliare il traguardo del magico cuore della gente dopo di lui, anche per un solo attimo dopo, se e quando vincevano. Capitò in una delle Mille Miglia degli anni Quaranta che “Nuvola” perse il volante e la corsa, ma arrivò lo stesso a Brescia tagliando il traguardo, guidando con una chiave inglese. Fu come vincere tre volte.

Ai nostri tempi, anche solo vedere negli autodromi di tutto il mondo i grandi piloti di oggi che si presentano al via come astronauti in partenza per Marte o per la Luna, ci fa pensare alla Mille Miglia come a una corsa passata o a un qualcosa perso nel tempo, che può rivivere solo nella nostra memoria, o ad una sorta di celebrazione che anno dopo anno si fa sempre più debole per il distratto nostro modo di ricordare.

Dovremmo invece tenere in mente che quelle macchine corrono ancora, anche se invisibili, per le stesse strade, dentro le stesse notti, nelle vene dei nostri cuori, e quei piloti su Marte e su Saturno ci andavano e tornavano ogni volta che volevano durante la corsa e che oggi, forse, se non li vediamo più è perché si sono fermati a correre là…

 

(22 maggio 2003)

 

 

 

Informazioni aggiuntive

Letto 11177 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Maggio 2013 14:43