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Gli ultimi cento metri

Siamo al “rush” finale, mancano cento metri al traguardo. Ma questa corsa non è come le altre, non è lineare; molti fantini, lo vediamo, anziché sferzare i cavalli (e neanche i cavalli si dovrebbero sferzare) usano la frusta addirittura per staffilare il volto e la schiena degli avversari. Sì, certamente il premio è importante; non è una coppa d’oro e nemmeno una grossa somma di denaro (perché il denaro qua in Italia lo si ruba; quasi sempre, ad ogni angolo con facilità; basta, quasi sempre, avere il potere ufficiale e il potere del sottogoverno aggressivo); oggi si corre per dare un governo che governi, un governo efficace efficiente e organico – cioè non solo con propositi “scritti” e con idee dichiarate ma con i fatti compiuti – a questa Italia che ha diritto a respirare e a lavorare, dopo aver retto un mare forza nove per anni e anni, dentro a una continua tempesta suscitata e alimentata dal disinteresse per il bene e l’utilità pubblica e al contrario dall’interesse privato di una manica di faccendieri della politica. Siamo tutti convinti che non basteranno i decenni a cancellare i guasti compiuti da codesti razziatori di pianura.

Poiché stiamo tirando le somme, ricapitoliamone in due parole alcuni – a perpetua memoria. Intere e nobili città sventrate e sconvolte, quasi bombardate per l’incuria dell’ignoranza e dell’interesse e poi coperte da una lava di cemento ad uso esclusivo degli speculatori; le banche pubbliche e ogni altro genere di finanziamento gestiti non come un servizio sociale ma come il vaso di Pandora al servizio di ogni corruzione, oppressione, intrigo; la scuola lasciata di proposito a macerarsi e a ricercarsi in mezzo a fili di cento contraddizioni, con una scelta di acuta perfidia tattica; e in generale mai una legge applicata con tempestività, mai una azione rinnovata o controllata secondo le richieste e le speranze, mai un’iniziativa di governo, una che una, studiata, discussa e realmente applicata e poi difesa per volontà di servire i cittadini.

Il giusto e il dovuto lo abbiamo sempre strappato, quando è stato possibile, a spizzichi e a bocconi; le pensioni al popolo assegnate con indifferenza offensiva dopo anni di attesa; le pratiche del pubblico inevase o addirittura smarrite nei menadri di una farraginoa burocrazia; gli ospedali mal gestiti, indebitati fino al collo, caotici, spesse volte nel nostro Mezzogiorno addirittura indecenti: infine, sull’onda, uomini che ci ossessionano da trenta anni, inamovibili sul cadreghino dei comandi; uomini per tutte le stagioni e per tutte le botteghe, ora saltabeccanti a destra, ora al centro, ora a sinistra, con una grossolana regia negli scambi di situazioni e di ruoli ma tutti con l’obiettivo univoco di confluire nel punto dovuto, al dovuto comando, per il comune impegno.

Prototipo di questa ubiquità e di questa ambiguità senza frontiere, a mio giudizio, Aldo Moro, che è un gran signore di ogni affossamento e il regista dei rapidi sonni, là dove sarebbe richiesta velocità di intendimento e volontà politica di fare e realizzare. Credere alla sua volontà riformatrice mi sembrerebbe volersi votare al definitivo sconforto.

Speriamo di spazzar via cose e persone, pensieri non compiuti e azioni sempre rimandate e ormai imputridite; di spazzarli con l’arma democratica del voto caricato di una straordinaria volontà popolare per una urgente e generale opera di ripulitura nazionale e d’avvio di una nuova epoca di gestione delle cose pubbliche.

Con la barba bianca, non ci aspettiamo certo miracoli dopo pochi giorni; o che si entri difilato nel paese di Bengodi o di Alice. O di Lenin. Sarà dura, comunque, e piena di difficoltà l’opera che ci attende. L’avversario è perfido, non cede il potere e tenterà di scaricare addosso alla sinistra storica tutti i suoi trentennali errori e le sue trentennali vergogne, ritenendosi pulito e pronto per passare anche a una opposizione ufficiale. Dovrà invece sudare le sette camicie; dovrà essere chiamato di volta in volta a render conto azione per azione, particolare per particolare; non dovrà neppure immaginare che si cancelli il suo obbligo di “pagare”, di fronte all’opinione pubblica, quale che sia il risultato.

Detto questo, per un dovere di riepilogo in queste ore, e nella fatica di un impegno che comunque tutti dovranno affrontare, quello che immediatamente ci aspetta è di buttare sul piatto la pronta decisione a fare, l’abitudine di operare in generale e in particolare con concreta insistenza e obiettività; di operare con intelligenza nuova e attenta (per rispondere all’ottusità greve e interessata degli altri); con onestà assoluta e militante (per rovesciare ogni immagine delle continue ribalderie compiute in ogni dove); con dedizione assoluta, con insistenza nei propositi e nelle idee, con il più assoluto disinteresse. Proprio come fosse ancora un tempo di lotta. Una lotta con mille sacrifici, con mille bisogni. Ma questa volta, a coronare un impegno reciproco durato oltre cento anni, ci saranno le grandi masse popolari unite (comuniste, socialiste, cattoliche), non più opposte dall’odio o dal sospetto teologico (secondo le spinte reazionarie dei gestori diretti del potere); invece unite nel proposito di raggiungere una giustizia sociale che ridia senso autentico alla vita e la rinnovi dall’interno. Più che si può, e per sempre.

 

 

 

“Chi comunica che cosa e come”, l’Unità, venerdì 18 giugno 1976.

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: l’Unità
  • Anno di pubblicazione: venerdì 18 giugno 1976
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