L’angoscia genera i pidocchi

C’è un artigiano molto bravo che fa, da un legno speciale, cannelli per le pipe; e li comprano, li cercano quelli che fumano la pipa – e che possono pagarlo, beninteso. C’è un artigiano, bravissimo, che ricostruisce le gomme usate delle macchine (auto-mobili), così bene che sembrano nuove; queste le comprano, le cercano quelli che vanno in auto – e che possono pagarle, beninteso. Certo (o è possibile): l’uomo delle pipe ha meno clienti dell’uomo delle gomme; il primo può lavorare in casa, credo, mentre il secondo ha l’officina da qualche parte. I corridori, (quelli a cui piace correre), si sa, sono più numerosi dei fumatori di pipa (cauti, indolenti, con le loro fisime particolari). Cioè: è vero che ogni prodotto ha il suo pubblico, o un suo pubblico, i suoi consumatori, i suoi estimatori, senza i quali, ovviamente, non sussisterebbe alcuna ragione perché fosse compiuto – e comunque levigato («Così, un volume di Properzio e 8 once di tabacco da fiuto possono essere un medesimo valore di scambio, nonostante la disparità dei valori d’uso tabacco ed elegia»). Esiste allora anche un pubblico (di consumatori) per i romanzi e le dolci poesie (che sono così dolci); di conseguenza sarebbe giusto dire, o semplicemente confermare, che si scrive per questo pubblico, per coloro a cui interessa un romanzo o piace leggere una dolce poesia; per un pubblico esercitato alla lettura, conquistato ad essa, o per un pubblico sollecitato a questo tipo di consumi dai mezzi di pressione (oppressivi) tradizionali: giornali, settimanali, rai-tv, prospetti pubblicitari a domicilio, lotterie, concorsi, ecc. («Il denaro poiché possiede la proprietà di comprar tutto, la proprietà di appropriarsi tutti gli oggetti, è dunque l’oggetto come possesso eminente»). Ma questo discorso è troppo generico-giornalistico dopotutto, anche se le cose stanno proprio così.

Appare, dal giro sopradescritto, che non voglio dare una risposta tecnica a questa domanda, ma una risposta politica, e abbastanza sbrigativa; solo così sono capace di rispondere (e male) in data odierna. Altro che scrivere: si vorrebbe piuttosto buttare nel cestino perfino il proprio atto di nascita (perché siamo così inguaribilmente subdoli, legati alle nostre unzioni, alle malizie per conservare un piccolo sperma di martirio individuale ai nostri caropalazzeschi?). intanto neppure per un momento credo che si possa scrivere per qualcuno (sia pure il pubblico indistinto); ma semmai, per questa strada, che si debba scrivere contro qualcuno; credo che il pubblico, ad esempio, non si debba amare, non debba essere partecipe, ma un antagonista. E innanzi tutto credo che si debba scrivere contro se stessi (rovesciare la propria casacca, umiliare nascoste ambizioni, bruciare lo scampanellante ontologismo che fa bella mostra di sé come un diavolo goethiano sulla spalla di ogni artefice – abgelebten Zeiten; cercare di ridursi all’osso per ritrovarsi, in qualche modo). Ma intanto (e chiedo scusa se mi rifaccio per un momento a Brecht, così inattuale) se «per gli uomini odierni i problemi hanno valore nella misura delle risposte che sono loro date», aggiungo (o concludo) che si scrive o si dovrebbe scrivere per uomini interessati, in qualche modo, al tipo di risposta (o di risposte) che si dà ad alcuni problemi. Se l’interesse comune converge su alcuni problemi, è la discussione su di essi che apre l’interesse comune.

Ma nemmeno questo è giusto, o è vero fino in fondo. (Si è passati, anni addietro, per il momento vago dell’impegno, la cui vicenda segna un paragrafo abbastanza squallido nella nostra piccola storia recente). Oggi è forse più esatto, o giusto, affermare che si dovrebbe scrivere al fine di compiere un’operazione (ennesima) di demistificazione nei riguardi di se stessi e degli utenti; cioè, per cercare (o tentare) una sorta di trasferimento o di occlusione verso la letterarietà della letteratura o dell’esercizio letterario; per confermare ancora una volta se possibile la fragile inconsistenza, la precarietà, la fondamentale contraddittorietà dell’atto dello scrivere, l’equivoco della sua incostanza, la sua bassezza la sua impotenza nelle circostanze. Ancora in altre parole: il pubblico attuale, così disponibile e distratto, è un pubblico interclassista, lusingato e corrotto, inserito in una situazione, di fatto, involuta, nebbiosa, mistificata. Mi riferisco alla premessa di Ferretti là dove dice: allora, in altri termini: può ecc. per ribadire che a mio giudizio anziché insistere e persistere nel cercare i pertugi, le cabale, i canali di sfogo entro queste determinate situazioni, occorre disporsi per preparare e avviare il ribaltamento di tutte le organizzate sezioni di potere (e non resti questo soltanto nel proposito); solo allora, e dopo, sarà possibile comporre il proprio pubblico, rintracciare i propri interlocutori. Sarà l’uomo nuovo, che ha finalmente il potere nuovo, l’interlocutore che potrà avere, che avrà una fisionomia socio-culturale definita; sarà l’uomo nuovo, questo nuovo uomo con tutto il potere nuovo a «configurarsi veramente come pubblico».

Proseguendo: ad esempio Guevara afferma, con esattezza, che è compito del rivoluzionario fare la rivoluzione; ad esempio Mao, in apertura del libro importante dei pensieri, afferma, con esattezza, che per fare la rivoluzione occorre un partito rivoluzionario. Poiché è troppo evidente che nessuno di noi può accettare (neppure per una scommessa, che si fa) lo squallido periplo di un processo socialdemocratico (ipotizzato, per fare un esempio nostrano, con mille bandiere dal centro sinistra cavallino), è altrettanto conseguente pensare che ci si deve disporre a distrarre il solo vero partito rivoluzionario da attitudini stravaganti per ricaricarlo verso l’unica eventualità possibile e che ci trova preparati. Ecco perché un discorso sul pubblico dei consumi non mi interessa più, oggi; né mi interessa neppure per un momento discettare sul destino e la missione dello scrittore (come quella del dotto). Io sento che è arrivato il momento di spezzare la penna sul ginocchio e perdersi nella tempesta, se non fossimo ancora (in definitiva) troppo vili per non continuare ad ammiccare l’un l’altro, ammiccarci fra noi, con cenni furtivi; e a discutere fra noi delle nostre padelle. Ma dunque?

 – Così possiamo contare che tutte le navi indicate si muoveranno immediatamente?

 – Sì, sì. Daremo subito disposizioni urgenti perché le navi indicate siano al più presto a Pietrogrado.

 – Avete riserve di fucili e munizioni? Mandatene il più possibile.

– Sì, ma in scarsa quantità a bordo delle navi, quel che c’è ve lo manderemo.

– Arrivederci. Saluti.

– Arrivederci. Chi è che ha parlato? Diteci il nome.

– Lenin.

– Arrivederci. Passiamo all’esecuzione.

 

 

Rinascita, anno 24, n. 44, 10 novembre 1967.

 

(Questo contributo è stato pubblicato con la collaborazione di Eugenio Chemello e Giovanni Gheriglio)

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: Rinascita
  • Anno di pubblicazione: anno 24, n. 44, 10 novembre 1967
Letto 3090 volte