Che sarà mai questa elettronica?

Che sarà mai questa elettronica?

Cambierà soltanto le cose. In meglio, certamente. Com’è capitato sempre. Perché oggi non andiamo più in carrozza da Milano a Vienna e sulle grandi navi ci saliamo solo per fare crociere

 

Si parla sempre più frequentemente di rivoluzione culturale come conseguenza dell’introduzione dell’elettronica nella vita sociale e produttiva. Il fenomeno ormai è sotto i nostri occhi e a sentire i sociologi sarà compiuto agli albori del Duemila; qualcuno l’ha già addirittura «storicizzato» proponendo questa nuova periodizzazione della storia della civiltà: prima si elaborò la scrittura sul papiro, poi si inventò la stampa con Gutenberg, infine sopraggiunse l’elettronica. Tanto per abbordare il problema con uno sguardo generale, tu con quale spirito entri in questa nuova «era» che da più parti ci annunciano?

 

In due parole: senza rassegnazione. Per quanto ne so aggiungerei anche che non mi sembra tanto vero che si debba parlare di una epoca tutta nuova, tutta d’oro, tutta di cavi e scintille… Il nonno Gutenberg aveva avuto i cinesi alle spalle, anche se, magari, lui neanche li conosceva. Ma quelli, bisogna riconoscerlo, erano arrivati per primi e per primi avevano stampato. Ce l’ha ricordato perfino Marco Polo televisivo. Poi alla mia brava citazione vorrei aggiungere anche Colombo, il nostro Colombo, che se la fila in America ad alzare le lenzuola e sarà stato lui forse a scoprirla, come dicono, ma forse cinesi o scandinavi anche questa volta erano arrivati in anticipo. Lo scrive perfino la Settimana Enigmistica… E ancora. Dopo Gutenberg Marco Polo e Colombo sono accadute altre cose prima di arrivare ai nostri giorni, che alcuni vedono tormentati… cioè l’invenzione del giornale, l’invenzione della pila, l’invenzione del telegrafo, l’invenzione del telefono, della radio, della tele… l’invenzione dell’aereoplano. E allora? Che sarà mai questa elettronica?… Cambierà soltanto le cose. In meglio… certamente. Ecco, in meglio. Come è capitato sempre. Perché oggi non andiamo più in carrozza da Milano a Vienna e sulle grandi navi ci saliamo solo per fare le crociere.

 

 

Non c’è dubbio che l’informazione costituisce la punta di diamante della rivoluzione elettronica. Gli apparecchi televisivi, in particolare, saranno i terminali di un flusso di informazioni e di servizi destinati a modificare profondamente la vita sociale. Avremo dei giornali impaginati sul video, si potrà chiedere un film in prima visione, consultare enciclopedie immagazzinate in banche dati, compiere operazioni bancarie, fare giochi… E tutto ciò senza dover uscire di casa. I vantaggi sono meno intasamenti nelle strade, meno smog, meno nevrosi da traffico urbano; e gli svantaggi?

 

I vantaggi li hai appena enumerati tu. Io, per me, ne aggiungerei qualcun altro. Ma dopo, se permetti… Intanto gli svantaggi. Gli svantaggi? Pochi o nessuno. Nessun svantaggio direi… Potrei chiedermi le ragioni di un abbrivio così ottimistico, quando invece occorrerebbe cautela. Non è perché io sia troppo infervorato in merito ma perché per abitudine cerco di guardare e interpretare queste cose… che devono servirmi… senza tante storie di malesseri rancori languori della memoria o dei sentimenti… Intanto spero che avremo una informazione più ampia, ma più rifinita, meno caotica… meno da campanaccio, assordante. Più come dire?, personalizzata. Che tiene conto di te e non ti pugnala alle spalle… Sapere tutto di tutto me ne frego… scusami. A me interessa e credo che interessi anche agli altri sapere, cioè essere informati bene delle cose che contano lasciandomi poi libero liberissimo di selezionare il superfluo. Perché non mi ingolfi. O, se voglio, anche di rifiutarlo… Così non dovremo soltanto subire e patire e respirare grosso, come ci capita oggi, ma potremmo anche cercare e scegliere, come ho detto, in molte più direzioni. Per esempio, adesso cosa scelgo, cosa posso scegliere? I giornali li leggiamo, sono tutti uguali… beh, quasi tutti.

Ma le differenze sono poche e solo politiche: io applaudo e io fischio… Le tivù private santocielo sono tante piccole chiaviche imbottite di pubblicità e di telefilm o film anzi di filmacci spesso quasi inguardabili… e nonostante tutto per il momento li guardiamo, perché le attuali possibilità di scelta sono striminzite, ridotte a quelle ufficiali, dato che sono scelte dentro a uno stesso contenitore… come pescare i numeri della tombola. Tu spettatore becchi quello che loro offrono, non puoi uscire dall’orticello, non hai altro spazio. La tua disperazione, la tua solitudine, la tua noia è lì dentro che devono ballare… Bene, domani – anche se non sarà subito subito – domani avremo magari un catalogo, un denso calepino grosso come una pagnotta da cui scegliere ciò che veramente vogliamo e cerchiamo… per esempio i film della storia del cinema, che non si vedono mai; poi film almeno buoni e non le attuali vaccate propinate senza scrupolo e che inebetiti non trinchiamo come una orzata. Avremo, volendo, teatro di New York o di Londra o anche quel poco buon teatro italiano che c’è… e lo avremo subito. E non le rade scipite sequenze che ad ogni morte di papa la tele ufficiale ci propina, dato che ha perso del tutto la testa per inseguire la carriola delle reti private… Penso e spero che con calma potrò allora cercare una soddisfazione dentro a cose serie o a cose vere o a cose nuove veramente, perché sarò libero di cercare e di chiedere… dato che ce ne sono tante ancora da scoprire da vedere da imparare. E poi credo in aggiunta che tornerà addosso a tutti un poco di voglia di vivere se ci sarà permesso di scegliere, per imparare e per fare riscontri, i nostri ritmi biologici o sentimentali; quindi seguendo l’estro, l’umore e perché no, anche i nostri rancori o i piccoli risentimenti del momento.

Nessuno avrà più paura… paura nel senso di peso… paura della cultura. La cultura potrà tornare ad essere una grande e libera – libera, specialmente – necessità per tutti. Ciascuno sceglierà come coltivare la propria vita. Sceglierà anche il tempo; le ore del giorno… Abbiamo appena visto sulla rete 2 un contadino delle Langhe che parla e scrive in latino. Adesso, per il momento, un fenomeno da baraccone ma domani tutti, avendone una possibilità pronta e rapida, potranno scegliere i propri mezzi e le proprie occasioni. Come dire che potremo portarci biblioteche e musei in casa e leggere e studiare, se vogliamo, a notte fonda… non in punta di piedi per il rispetto delle antiche sale e della antiche pietre ma al seguito, se ne avremo l’estro, di una buona risata o di una buona fumata o sgranocchiando wafers al cioccolato… Spero di arrivarci anch’io a quel momento, perché qualche nuova curiosità me la voglio cavare… Imparando, imparando… Solo che mi basti il tempo…

Sì, all’inizio ho accennato anche agli svantaggi. Ma è poi uno solo, dopotutto, anche se è molto serio e non sarà facile provvedere in merito. Dicono che l’elettronica spinta ci ridurrà in casa come cani e come cani in un canile ci schederà uno per uno, mettendoci un collare col numero progressivo stampigliato all’interno. Dicono che perderemo via via tutto il nostro peso sociale. Che perderemo la personalità… anche di fronte allo specchio. Che saremo, molto più di adesso, niente di niente. Altro che sfogliare il calepino delle nostre curiosità serali! Questo dicono, questo promettono, questo prevedono per noi futurologhi sapienti, compiangendo la nostra sorte… In queste profezie una parte di vero, col relativo indice di pericolo, c’è di sicuro. Ma è come il rischio per chi vola di cadere giù… o sotto un temporale che il fulmine bruci a qualcuno i calzoni. Credo che preparandoci fin da ora riusciremo a trovare il modo di difenderci, di salvarci. E di mantenere intatta la pelle.

 

 

Un altro aspetto della questione è costituito dai rischi di una colonizzazione culturale a dimensione planetaria. I paesi detentori di queste sofisticate tecnologie (oggi soprattutto Stati Uniti e Giappone) diramano i loro prodotti (film, cartoni, serials) in tutto il mondo, provocando una «massificazione» da fare apparire quasi poliedrico l’«uomo a una dimensione» che veniva denunciato qualche decennio fa dai sociologi di scuola francofortese…

 

Il rischio non solo è possibile, è già in atto. Colonizza chi è più forte perché sa più cose; chi sa portarle fuori, in giro; chi comunica più in fretta a tutti dappertutto; è l’America ad avere il primato, non c’è dubbio. Perché è drammaticamente brava anche se è la più triste e forsennata. È inquieta e indomita… La vera cultura fermata dentro alla disperazione e alla speranza. Non può appagarsi d’altro. È sempre accaduto che primeggi chi ha la testa in fermento e l più alta fantasia… Quando subentra il tempo della neve, cioè il tempo delle vacche magre, è altrettanto vero che il primato si perde e la gente cade in letargo… Sono però convinto che l’Italia non dorme russando. Ad ogni modo credo che queste tecnologie porteranno alla luce nuovi centri, nuovi modi, nuovi valori culturali, determinando uno smembramento attivo fra tanti paesi che potranno di nuovo smuovere cultura. Riuscendo a distribuirla… La massificazione, che congela, è un prodotto d’esame di anni passati… una glaciazione storicizzata. Abbiamo davanti pericoli nuovi, che richiedono inquietudini e problemi diversi… inquietudini meno generalizzate, meno isteriche, meno morali… moralistiche… forse meno precipitose. O approssimate. Secondo me, in altre parole, bisogna cominciare a prendere un rapporto costante, una abitudine giornaliera, con le novità reali della nostra vita. Che si susseguono con un ritmo tanto incalzante da richiedere molta ironia, molta fantasia, anche molto piacere, e una voglia insistita, per essere ascoltate seguite partecipate e condivise con gli altri… E poi questo: non si possono più rifiutare. Siamo in tanti ormai nel mondo, miliardi e miliardi; gli spazi si sono ridotti all’osso; in Italia stanno bruciando gli ultimi boschi in riviera; in Brasile e in tutta l’America Latina stanno disboscando come forsennati e fra cinquant’anni il mondo sarà levigato come la pelle di un asino… Allora? facciamo, continuiamo a fare discorsi… i buoni i giusti discorsi degli anni Cinquanta? Mac Luhan? Marcuse? Teste da ammirare ma che hanno già parlato per la necessità di quei tempi?

 

 

Restringiamo ora l’orizzonte al cortile di casa nostra. Mentre è in atto questa concentrazione sovranazionale dei mezzi di informazione, si progetta una televisione regionale. L’itinerario di NTV sembra tutto in salita: si ricorre alla sottoscrizione popolare laddove gli altri dispongono di capitali astronomici, non si può sperare in lauti introiti pubblicitari poiché la logica commerciale privilegia i grandi network, si teorizza una informazione che dia voce alla realtà regionale mentre altrove impazza l’invasione nippo-americana. Allora, ha veramente dei fondamenti questa impresa?

 

Qui parliamo pure del cortile di casa nostra, dopo avere spaziato in fretta e col nostro ombrellino per mari e monti. Ci è permesso parlare, di cose tanto importanti, perché l’occasione amichevole – se non proprio davanti al fuoco – e io posso dire le mie osservazioni proprio come il modesto pensiero di chi vive con attenzione, con preoccupazione ma anche con parecchia partecipazione alle opere e ai giorni… Sì, l’itinerario di NTV è stato bello, è stato importante. Quindi gli auguro (o le auguro?) un destino buono, senza magagne. Mi dispongo già davanti al vecchio televisore in bianco e nero con gli occhiali inforcati. Intanto spero che non si cominci con la comoda solfa dei film per tappare i buchi e per sbobinare l’arco dei giorni. Mi aspetto che si punti subito sul vivo della realtà, sminuzzata e in dettaglio… che l’occhio di vetro entri a frugare con intransigenza mentre si discutono o si fanno le cose. Nel cuore dei dibattiti. Mi aspetto di vedere spettacoli in diretta, dagli angoli più nascosti e datimi ogni sera.

Che mi sia portata la realtà giorno per giorno sul palmo della mano, facendo o lasciando parlare le cose. La vita intera… tutta intera della città deve tornarmi sotto gli occhi, per divertirmi o impensierirmi. Questo per me è il punto principale… Ma ce n’è un altro, e dico anche questo come una preoccupazione. La NTV nasce in ritardo, forse con troppo ritardo rispetto alle necessità della città, della provincia, della regione. Che Bologna fosse ancora scoperta in questo senso era, fino a ieri, una autentica vergogna… come lo è per un quotidiano. Finalmente per questa parte si è provveduto e mi sta bene. Però il ritardo organizzativo è un male meno grave del ritardo linguistico che è in atto… se questo, come è da temere, sarà confermato dalla prova sul campo. Cosa intendo per ritardo?

Che non si è sperimentato nulla in vitro ma solo nei ripetuti e interminabili dibattiti delle tavole più o meno rotonde; e che ci si è, in sostanza, imbottiti di teoria o di teorizzazioni fino all’osso ma che nei polpacci non si ha neanche qualche chilometro di buona pedalata in salita. Voglio dire che il linguaggio è tutto da sperimentare verificare calibrare… e non voglio dire come temo che sia ancora tutto intero da trovare. Allora non si potrà fare altro che inseguire col fiato grosso chi pattina già sul ghiaccio – tele di Stato o i tre canali fra le private, ormai referenti canonici e invidiabili di chi progetta da noi una nuova comunicazione televisiva…

Comunque, per non lamentarsi o preoccuparsi sempre, sarà giusto formulare l’augurio amichevole di una convincente partenza. Aspettiamo e vediamo.

 

 

Che cosa significa «dar voce alla realtà locale» facendo sì che questa voce non sia banalmente localistica?

 

Rispondo in due parole: con nuovo o nuovi linguaggi. E al seguito di questi, avendo un progetto di estrema curiosità parcellizzata e di indipendenza, affondando proprio dentro alla città. Che ha un cuore, di vecchie pietre, che sa sanguinare. Quante cose ancora non dette e tutte nuove si possono dire su Bologna!… Certo, dovranno essere diverse dalle oleografie e annotazioni tradizionali; fiere, tette delle donne, la bonomia felsinea, gli zamponi, le due torri… perché intanto è un dato, che a Bologna adesso si mangia malissimo. E carissimo.

 

 

Secondo te, l’operaio della Sasib, il bracciante ferrarese, l’imprenditore di Modena, il contadino della bassa reggiana, il lavoratore terziario della «regione metropolitana»… che cosa si aspettano dallo schermo televisivo? Che cosa gli si può dare che già non abbiano? Si tratta di uno spettatore soddisfatto? O è insoddisfatto e non lo sa?

 

Aspettano, credo, quello che aspetto io. Cioè di essere serviti come cittadini e non come cretini. Come gente che pensa, non come tanti piccoli cagnetti di strada a cui buttare un osso. È proprio questo poco rispetto che ha condizionato in negativo il progetto e il progresso della comunicazione televisiva in Italia… partendo dalla nota premessa di Barnabei negli anni Cinquanta, con cui si sosteneva che ogni casa andava bene per l’utente targato Italy essendo egli per l’appunto un coglione. Pertanto: il rispetto, oltre al linguaggio, dovrebbe essere l’elemento di novità di questa televisione non di Stato. Insieme all’assunzione di una fantasia attiva e di una conseguente fiducia nei giovani operatori culturali – che qua da noi sono tanti e in attesa di ingaggi attivi e non di carità amministrative… Speriamo bene. Perché le cose vere passano ancora sulla testa della gente.

 

 

Parlare di informazione in questa regione è come riaprire un’antica piaga. Qui agisce il più forte movimento politico, sindacale e cooperativo di sinistra e tuttavia non si è riusciti a dar vita a una casa editrice, a una rivista di raggio nazionale, a un quotidiano. Ora si tenta con la tivù. A quali risorse culturali può attingere un simile progetto, e quali errori del passato occorre evitare?

 

Le risorse culturali a cui attingere qua da noi sono numerose. Sono tanti pozzi d’acqua ma sembrano sparsi nel deserto. Basterebbe una mappa per identificarli tutti e disporli per servirsene. Ho appena fatto un accenno convinto ai giovani. Ma con loro, come protagonisti, dovrebbero esserci finalmente gli operai dentro alla realtà del lavoro. Sono stati nelle scorse settimane sulle piazze ma quando mai, con i microfoni in mano e non per una rapida sequenza, in diretta alla tivù… con riferimento agli errori del passato, poi, possa augurarmi oggi che non si debba per nessuna causa al mondo tornare indietro… vale a dire di non doversi fermare per qualche ragione, fra cui l’economica. Si è cominciato, finalmente, e bisogna durare. Bisogna continuare. Bisogna rendersi protagonisti, indispensabili. Lo spazio c’è. Il bisogno c’è. L’attesa c’è… E allora bisogna subito dare una fiducia convinta a chi può e sa proporre, sia pure dietro a un nome oscuro, una nuova angolazione di vedere le cose… e di parlare del mondo. Di giudicare il nostro destino… Credo che soltanto così la città di Bologna, che si è come ammutolita, possa ritornare a parlare. E a convincere. Con un po’ di sana furia, di lena ritrovata e rinnovata. Scuotendo le idee. Le quali, se mi è permesso concludere con una immagine di semplice poesia, adesso pendono come foglie dai rami.

 

 

 

Bologna incontri, anno XIV, n. 2, febbraio 1983.

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Autore: Maurizio Garuti
  • Tipologia di testo: intervista
  • Testata: Bologna incontri
  • Anno di pubblicazione: anno XIV, n. 2, febbraio 1983
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