La gentile signora (VI)
La notte è
gradimento di sonno
e per sogni docili che accorrono
è buona sera –
ma quanto breve è
l’illusione di pace
vedendo il giorno che ti rapisce la vita
e non sai più cosa fare –
anche l’orrore è buono se fa vomitare
Non giorni di gloria cara ragazza sognata
nella balera emiliana (allora)
a sprizzare fuoco di luce –
essere qui distesi è dare
addio al mondo
poca speranza da spartire
prima della sera.
Non ricordo più il colore della bandiera
dei tuoi occhi. Addio.
Non ti rivedrò più mai
io
Erano alti gli auspici
per la vittoria che non arriva mai. Invece.
Senza bandiere non si può procedere nel fango
le bandiere sono
fra le mani degli scheletri caduti.
I cieli azzurri le profonde foreste ferite
i cieli i cieli
i cieli
ah, lontane dimenticanze
quanto acerbo destino
da spartire con il ventre dei cavalli squarciati
i cani accecati si lamentano con
il sibilo del treno
Solo cattivi presagi
passano da queste parti
e solo la nuvola sembra (può sembrare)
una ragazza fuggita
sopra un cavallo che ha zampe di fuoco.
Poi.
Null’altra voce che il cannone lontano
fucileria vicina.
Trascorrente la gentile signora
inesorabile e tosta.
Meglio dormire riposare un poco
stendersi non più pensare
sognare barche con vele e mai più sparare
Il mare il mare
il mare
oh il grande mare
come risuona bene lì vicino
come è prepotente fondo da ascoltare…
Giravo sul campo di battaglia in cerca di
metafore.
Amici, compagni in quanti siete caduti
oggi
che era un giorno di buona speranza
e non lasciava temere
non si doveva morire.
Domani domani
forse domani era il giorno di fuoco
domani poteva tagliare la vita a poco a poco
non oggi che c’era il sole
(per una volta, almeno)
Come erano belle le ragazze
in quell’estate italiana.
Le sere non arrivavano mai.
Sempre il sole era lì a contendersi
la luce degli occhi erranti senza posa.
Oh splendore di una rosa e di tutte le cose da fare.
Sapienza delle speranze sperate.
Poi quel giorno. Quando una notte vera è arrivata.
E la strada del mondo si è rovesciata
nell’urlo del compagno caduto
Alla quota 115
gli alberi feriti spezzati
indicavano un’altra vita.
Il cannone non taceva non lasciava speranza.
Eppure, madre,
si doveva aprire la porta e partire.
Quanti gradini
per salire senza vertigine e senza seguire la morte
ognuno invocava sotto voce il santo
se cadeva scompariva nel nulla.
Tali erano gli anni a noi così vicini
e chi poteva dire se correvano verso il meglio della
speranza?
se di sera all’appello
sempre meno voci e crescevano le croci
di legno?
se i giorni erano sempre più feroci?
Adagio Biagio, Biagio adagio
maledetto lo scoramento
erano canzoni erano voci.
Uomini in fila camminavano sul bordo della diga
qualcuno per le raffiche ogni tanto precipitava.
Un passo qua un passo là e nel cielo una luna che aveva
sete di sole
splendeva (e non doveva splendere)
illuminava anche i sassi
questo maledetto lampione del cielo
– conduceva (guidava) con la mano le pallottole
sul cuore del soldato che cantava
e rendeva le ombre
come leopardi che s’annidavano fra i rami.
Il silenzio delle acque era assoluto prima della raffica.
Adesso non ci sono più canzoni.
Meglio morire
con resoconto solo sul telegiornale?
E ben chiaro
che ci sarà una seconda meraviglia
e bravo il soldato che se la piglia sul groppone
saltando sul tallone
per schivarle un poco quasi fosse un giuoco.
La prima meraviglia è stata
una granata che ha sfoltito il plotone
ma adesso il cannone
col vocione che dice tempesta
ara diritto sulla testa e
non lascia scampo
a meno di una grande fortuna.
Ancora una volta, sarà festa vera se arriviamo interi
alla nuova luna.
La morte può essere cordiale
onesta può, una volta tanto.
La gentile signora sdraiata
accanto alla trincea per tutta la mattinata
in mano la sua mazza ferrata.
non semina il grano tace non dice parole si bea.
Come in un circo dentro al cerchio di fuoco
trenta soldati saltano all’assalto
con grida da clows fra suoni di mitraglia
poi si palpano vivi dopo la battaglia
e urlano alla signora dagli splendidi anelli
oggi sazia di bere il sangue dei guerrieri
“grazie signora che non hai spalancato i cancelli
stanotte in ventisette faremo l’amore con te”
Una volta era un onore
per la patria morire
essa regalava la medaglia
per ricordare il soldato fatto secco in battaglia
e per un giorno applausi a non finire
ma giovani morire non è gran cosa
e neanche correre sul treno
per arrivare al sacrificio estremo
quasi fosse una rosa da conservare
per gli anni a venire
Campi di erba spagna
campi tagliati
campi già arati
campi secchi crepati
campi bagnati di brina
campi dal sole bruciati
campi di grano maturo
campi nella pioggia nel fango
campi tutti di neve
difesi con palizzate e travi
campi senza confine
capre conigli galline
vacche al pascolo lente
un toro già appostato
il fieno rivoltato
campi adesso trincea
feriti da un carro armato
sconvolti da cento cannoni
cimiteri per il destino di uomini
bruceranno i denti scoppiando
come piselli secchi e amari
e le mani scarne bruciate nere all’osso
e il baldo petto squarciato divorato
e il sangue finito nell’acqua di un fosso
e il cuore stracotto come il
fegato del vitello rassegnato.
Meglio di questa angoscia
scappare essere fucilato
La terra della giovinezza dove è più?
il leone del tempo ha decapitato il suo collo di zebra
i bisonti navigatori pazienti di praterie senza orizzonte
hanno paura del fucile.
Sono tutti eroi nei film americani
ma la mia bandiera è la filosofia
e i cani possono ululare da lupi quando la notte è nera
non cambierò il mio pensiero
Acqua fredda per i piedi
qualche uovo mezzo pane
grappa a litri a non finire
per cancellare la paura di morire
di scappare
il soldato non è mai un eroe
nudo e crudo
solo la pazienza gli fa scudo
e la rassegnazione
la speranza di scappare –
poi eseguito l’assalto col plotone
buttarsi a terra e dormire dormire
prima di vomitare
Il soldato poco pensa e molto
muore
lasciando
sangue non parole
come la scia della biscia
che striscia ferita al sole
Finalmente lei signore mi ha detto bravo
che un soldato è un uomo si è ricordato
non solo un verme da baionetta e da fucile
un cadavere qualificato e rubricato
da sotterrare col badile
non un porco da lasciare scannare
ma un uomo nato da una madre e destinato
sì a morire ma non obbligato a squartare
uomini sconosciuti.
Dunque
oggi sei giugno è giorno da ricordare
e segno qua i miei pensieri erranti sperduti
come buoni pensieri
ilfilorosso, anno XIX, n. 36, gennaio-giugno 2004.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: poesie pubblicate in quotidiani o riviste
- Testata: ilfilorosso
- Anno di pubblicazione: anno XIX, n. 36, gennaio-giugno 2004