Ma dove siamo andati a finire!
1. Se siamo a questo punto, la colpa non è certo di Berlusconi. E i politici della ex-sinistra dovrebbero pensare piuttosto alle nostre rogne invece di andare a digrignare i denti in casa altrui. In quanto le rogne, autentiche profondissime e infinite esistono e persistono in casa nostra e tendono, anziché ad attenuarsi, a complicarsi e allargarsi giorno dopo giorno. È come dover assistere, con amarezza, al precipitare continuo di massi vicino ai nostri piedi.
Un guaio intanto determinante è la carenza di personaggi di alto livello propensi a prestarsi in qualche modo alla politica.
(Milano. Ancora non si sa chi potrà contrapporsi ad Albertini. In passati momenti di più lucido spirito politico e dinamismo politico e forte convinzione politica un uomo come Dario Fo sarebbe stato portato sugli scudi. Invece lo hanno maltrattato e quasi ignorato. Un esempio fra tanti). Qualcuno potrebbe obiettare: hanno, anche in questo governo, reclutato Veronesi, che si è confermato subito eccellente. Vero, ma poi?
Non è forse inutile ripetere ancora una volta le ovvietà sulla società occidentale completamente trasformata, rovesciata, azzerata rispetto ai passati parametri di valori; e sulla autentica difficoltà di governare o amministrare, nelle varie realtà locali, trascinati da queste quotidiane violenze.
Ma vorrei aggiungere questa annotazione: se è senz’altro vero che, per limitarsi alla politica e ai suoi obblighi/doveri, oggi sembra di essere surfisti sciabordanti sulle onde di un oceano infuriato; è altrettanto vero che anche il più abile campione ha bisogno di avere sotto i piedi una tavola che lo possa trascinare adattandosi all’ordine perentorio dei piedi.
E ai surfisti della politica italiana, mancano appunto le tavole sotto i piedi, così devono cercare di scivolare a pelle viva, affannando prima di essere risucchiati dall’onda. La tavola, in questo caso, dovrebbe essere dentro la testa, a sostenere nell’affanno delle giornate e dei relativi impegni, una visione personale del mondo, una scelta di vita, il modo di poter entrare con convinzione nel prossimo futuro dicendo, le strade sono molteplici e caotiche, io perseguo questa e a questa mi attengo e a lei mi lego. Con determinazione. Invece occhi e testa si volgono da ogni parte per arraffare ciò che è detto da chi grida più forte. Se non sbaglio, i programmi della televisione italiana sono una esemplificazione della vita politica; non perché, con lucida intraprendenza, si siano assegnati l’impegno di rappresentare la nostra società com’è, ma perché anche essi, con cinismo rincorrono l’avversario cercando di mordergli le natiche per infastidirlo o sopravanzarlo senza alcuna autonomia di linguaggio o di invenzione; immergendosi nella sciatteria più deprimente. Solo per smania di adeguamento.
2. Si ha l’impressione, anzi la convinzione, da qualche parte e da condividere, che l’Italia di questi giorni sia inoltre sovrapposta da una gialappa di retorica verbale debordante, tanto da lasciarci avviliti. Anzi, tramortiti. E che non ci sia neanche un filo, sia pure il più esile, a legare (a collegare) la cima vanagloriosa e autoreferenziale alla base affaticata, i palazzi illuminati agli asfalti impauriti; il potere reale, supponente e strafottente, alla gente dentro il mare della vita, accattivata con l’antichissimo ricatto della carità.
Non c’è un programma sociale di pronta precisa realizzazione, a parte il ponte sullo stretto di Messina – di cui gli onesti possono considerare l’urgenza. Si vive giorno per giorno. Ci avvertono, con enfasi, che al nord occorrono almeno centomila operai immigrati, mentre al sud sappiamo che i disoccupati sono milioni. Gli industriali proclamano questa necessità a conferma di una vitalità operativa; ma come da sempre, qua da noi, abituati a rovesciare sul governo i loro problemi, non si preoccupano di altro, tranne che in pochissimi casi. Non del problema della casa, che sembra inoltre interessare poco anche il governo. Ciò che costa dieci al sud al nord costa cinquanta e in questo contrasto, senza una politica della casa proposta come una urgenza primaria, pare evidente che ogni altro problema resterà irrisolto. E che gli eventuali nuovi arrivi da fuorivia dovranno andare a rintanarsi negli antri come topi.
La gialappa, a cui mi riferivo, giunge puntuale ad avvolgere questo o questi problemi in infinite occasioni di convegni e convegni e di incontri e discorsi propositivi reiterati, macchinette di suoni senza più neanche le molle. Se invece di girare in continuazione, questi politici ballerini si fermassero sulle sedie a governare davvero, giorno per giorno, cercando di risolvere anche solo un piccolo problema in una settimana e un grande problema in alcuni mesi! Tutti, salvo pochi, sentirei di poterli definire i politici nutella, da spalmare con leggiadro scintillio sul pane delle ovvietà, delle insaziabili e insanabili ovvietà.
Altro esempio, per riempire la tiritera? È accaduto che Berlusconi, in un programma di Bruno Vespa, abbia tracciato su una grande mappa distesa contro un muro (una tavola di legno) il suo enorme programma di revisione completazione ristrutturazione della rete stradale italiana.
Collegava i vari tratti, nei luoghi diversificati, con un pennello nero e con una linea dritta, tanto da sorprendere; sembrava un pittore infervorato (per chi poteva apprezzarlo per la convinzione). A me invece sembrava la modesta reincarnazione di un Totò redivivo, di uno Charlot, di fronte a quel foglio bianco che si riempiva così rapidamente di segni a indicare strade ponti autostrade viadotti, dalle Alpi a Capo Passero! E la spesa: 18, 20 mila miliardi, e lavoro per tutti, industria, operai eccetera. Ebbene, nei giorni scorsi, il governo, il consiglio dei ministri, ha varato un pacchetto strade per 64 mila miliardi, e sui giornali le indicazioni relative sembravano la fotocopia del disegno tracciato da Berlusconi invasato. Come se non sapessero fare altro, alla fine, che rincorrere l’avversario.
3. Mi domando se questo è il modo di governare in previsione dei prossimi drammatici eventi. Il quotidiano La Stampa di Torino, con titolo su quattro mezze colonne, avvertiva: “Cinquantamila cinesi pronti a entrare in Italia” (2 agosto 2000). Un giornale radio del settembre seguente comunicava: “Gli studiosi ritengono, sulla base di dati motivati, che nei prossimi dieci/quindici anni si riverseranno in Europa dai 60 ai 70 milioni di immigrati, spinti anche dalla progressiva desertificazione di molte zone africane. Desertificazione che comincia ad aggredire anche zone dell’Italia meridionale”.
Il mondo si sta decomponendo, se non provvediamo subito, e concordemente, a realizzare sul serio cose incisive. Invece di scampanellare retorica ad ogni occasione, incidendo su niente.
E per l’uranio impoverito? Il Manifesto, attendibilissimo, di mercoledì 10 gennaio 2001, con il titolo “Scatole inglesi” scriveva: “L’uranio impoverito, il DU (Depleted uranium) è prodotto da un’impresa negli USA che è controllata da un’altra, controllata a sua volta da una terza e così via fino ad arrivare dall’altra parte dell’Atlantico a una impresa pubblica appartenente al governo inglese: British Nuclear Feuel (Bnfl)…”. Mi fermo qui. Sarebbe un articolo tutto da leggere per riflettere. È un intreccio diabolico di riciclaggio di scorie nucleari ecc. Ecco perché non mi pare errato l’esempio della tavola da surf per correre sulle onde alte venti metri: in che modo voglio vivere? E vivere con i miei figli? E non lasciarmi annientare? Dove posso poggiare i miei due piedi per non sprofondare nel mare? Un poco di legno leggero e solido, non la vacua indifferenza delle parole…
Il giuoco d’assalto (in cui due giuocatori debbono “mangiarsi” vicendevolmente), a cura di Salvatore Jemma e Roberto Roversi, n. 3, gennaio 2001.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: articoli su fogli volanti
- Testata: Il giuoco d’assalto
- Anno di pubblicazione: n. 3, gennaio 2001