Ricordare, ripetere, imperversare, annoiare anche e pure (intanto la terra si comincia a irritare)

Non avendo in testa nemmeno il più piccolo briciolo di sale per insaporire, da sciape che sono, qualche idea esile e peregrina – fuori dalle frasi dette nell’esclusivo impegno di dare aria alla bocca – per trascinare il dibattito in corso almeno su qualcosa di concreto, legittimo e desiderabile; bene, tutti coloro che impinguano e reggono il carrozzone della sinistra di governo altro non fanno che ricopiare gli schemi americani, senza alcuna novità; e questo lo si verifica ad ogni passo, tanto più che hanno ingaggiato, come si è letto, dall’america, quale grosso maneggione, un domatore importante per condurre agitando la frusta la prolissa sarabanda elettorale (nostrana). Ma oltre ad avere in tale modo ridotto lo scontro elettorale a uno spettacolo ormai risaputo e per molti deprimente, i politici che si aspettano qualche consenso si rendono perfino pateticamente censurabili inseguendo e tentando di copiare alla svelta, ma spesso male, le mosse dell’avversario di destra – che si dimena bene per il proprio utile, per un suo intuito molto esercitato e quindi molto essenziale, semplificato. Einfatti, a questo punto, non sarà mai abbastanza da biasimare l’assillo argomentativo dei nostri politici di vertice immersi e quindi distributori di una esaltazione di risultati acquisiti e di benefìci sociali elargiti: tali e tanti e in quotidiana successione, non solo da infastidire ma anche da rendere sospettoso il più educato e paziente e cavilloso degli ascoltatori (o, se si vuole, degli eventuali periclitanti elettori). Perché tanto trionfalismo è, alla verifica dei fatti, assolutamente fuori riga, appena lo si riscontri (essendo per lo più verbale e televisivo e comizievole) fuori dai salotti indorati e vellutati dove pontificano i reggitori delle patrie fortune; immettendolo invece in drammatico confronto conla violenta realtà della vita quotidiana, popolare – che alla faccia di lor signori non concede sconti e tregua.

 

Non ci stancheremo di ripeterlo in ogni dove e in ogni maniera, saturando la pazienza dell’eventuale lettore, ma è pura verità, confermata da duemila anni di storia, che la democrazia è un gran brutto affare e che, per esercitarla tutta intera sul campo e non nel tronfio cafarnao delle parole, essa è costretta a sopportare e costringe noi a sopportare una fatica del diavolo; tutti: dalle grandi menti che si adergono, ai piccoli vermetti che dignitosamente camminano, ma non strisciando, nella polvere. Essa è dunque difficilissima e richiede partecipazione e sofferenza. Dedizione e convinzione. E allora, ripetiamo anche questo freddamente: quella che oggi vediamo girarci fra le gambe, disarticolata arrogante e inquieta, spesso indossante maschere da trivio, e come ci viene supportata dai fiati vanagloriosi di troppi interessati venditori, è invece una vecchia cavalla azzoppata, carica di zecche, febbricitante scatarrante e avvilente; tale che richiede in fretta una verifica drammatica e totale di tutte le sue viscere. Solo i politici senza estro ma dai mille interessi ci sguazzano dentro, o sopra, ammonendo profetando inquisendo promettendo, in una sorta di virtuale e frastornante vaneggiamento. Invero, il sistema oggi in atto, limitiamoci a dire soltanto qua da noi, è scopiazzatura quasi scolastica (da sbirciatina, furtiva o meno, oltre la spalla del compagno) del granrombo americano, in cui c’è dentro tutto e il contrario di tutto. Da lì noi afferriamo o rubacchiamo, senza più alcuna dignità, che è dimenticata o addirittura buttata in un cassonetto. De Gasperi, che non era certo a noi caro ma che certamente, oltre che un grande uomo era un grande statista, pur gestendo un Paese contrassegnato e svilito da vergogne infinite, da una guerra perduta in modo misero, e con paesi e città che erano una rovina di macerie; con le parole e i fatti, di fronte al mondo intero, ebbe un tale comportamento di dignitoso e convincente rigore da meritarsi il rispetto di tutti; e così giovando in quei primi mesi all’Italia intera. Questi di oggi, sembrano solo personaggi ringalluzziti, pronti a ogni smanceria. Ma per continuare a riferirci alla urgente necessità di riverificare l’intero motore di codesta democrazia operante e vigente nel nostro occidente, l’esempio del sommergibile nucleare Usa è emblematico della supponente arroganza degli attuali padroni del mondo. Mostruoso per grandezza e complessità di apparati tecnologici, armato di missili con testata nucleare, veri orrifici sparvieri della morte, in un amen dal basso del mare risale in superficie, senza guardare e suonare e fischiare travolgendo una nave e uccidendo otto giovani marinai, semplicemente perché in quel momento alla leva specifica, per divertimento, c’era un ometto in braghette e bianca maglietta sbracciata, imbarcato insieme a tanti altri come per una crociera di divertimento. E meno male che la leva o il bottone brancicato da quel miliardario incuriosito non eraquella che liberava uno o tutti i missili, o qualche altro congegno micidiale. Ma, come poi si è visto, i padroni del mondo non hanno fatto una piega; hanno chiesto tranquillamente scusa e hanno voltato pagina. Forse quella crociera continua.

 

Allora mi chiedo, e chiedo anch’io scusa (per l’impertinenza): è più a lungo tollerabile accettare di vivere in un mondo, in un tempo di cui l’esempio appena trascritto è solo uno dei tanti plateali e drammatici accadimenti? Sì, sembra tollerabile, come si vede, perché il pubblico disdegno dura appena quanto un respiro. È possibile, infatti, perché tutto si dimentica sopraffatto ad ogni momento da una turba di notizie che si scancellano l’una con l’altra; altrimenti l’uomo o la donna impazzirebbero. Interviene dunque l’oblio a ripulire o alleggerire la mente dai miasmi della memoria e dei fatti che si addensano e vengono distribuiti con fredda noncuranza, con interessata noncuranza, da una gestione della comunicazione dirottata ormai a mercificare ogni emozione. In quanto, dove si volta la testa, là c’è ormai odore di fogna. L’agricoltura, stravolta nei decenni trascorsi dagli obblighi di servire la grande distribuzione è ridotta ormai a una equivoca farmacopea laboratoriale (le cui conseguenze cominciano a venire alla luce in modo disastroso; e temo che siamo solo all’inizio). Il calcio, prepotente e incombente spettacolo del nostro tempo, il più grande spettacolo del mondo, e quello italiano in cima a tutti, glorioso vanitoso vittorioso, come si dichiarava, adesso è al centro di una violenza inaudita, di sperperi faraonici, di corruzioni ambigue, di ormai continue piccole furfanterie senza fine. L’ecologia: la terra si sta schiantando, torturata da mani avidissime e indifferenti. Bucata e trivellata senza respiro. Dovrebbe essere lasciata in pace per un poco; custodita e tutelata; come si fa, o si dovrebbe fare, con un ammalato grave che merita attenzione e rispetto. Invece progettano di pugnalarla o la pugnalano per ogni dove; e anche solo parlando delle nostre parti, 1) con l’ormai progettato ponte sullo stretto di Messina, 2) con la variante di valico, 3) con la nuova linea ferroviaria sull’Appennino fra Bologna e Firenze, 4) con la manomissione di falde acquifere, 5) con stravolgimenti di ogni genere; e tutto in forma conclusiva, in un modo o nell’altro, per sfogo elettorale, 6) con il ministro Bersani, di solito ingrugnito e arcigno, a riempirsi finalmente la bocca con un sorriso nell’enunciare queste ennesime proterve sopraffazioni; 7) con quanto si legge in data odierna, 25 febbraio, dai giornali: Rutelli col suo treno è approdato in Sicilia e lì promette per rapida realizzazione 10 porti, 7 aeroporti, 995 chilometri di ferrovie, 1226 chilometri di strade. Una esaltazione che sembra non avere più limiti.

Non votarli è una giusta rivalsa per la prossima scadenza; essi che gestiscono le opere pubbliche come i democristiani nei periodi più neri. Solo per arroganza o per interesse di parte ma senza alcuna pietà, o tenerezza per la terra. Sì, la terra dove noi stiamo, che si sbriciola fra le dita, la terra che partorisce grano e rose, e vigneti e non merita questa turpe occupazione da parte di chi ha smarrito valori e sentimenti nella foresta liberistica della vanità, del potere, del denaro.

 

 

 

Il giuoco d’assalto (in cui due giuocatori debbono “mangiarsi” vicendevolmente), a cura di Salvatore Jemma e Roberto Roversi, n. 4, febbraio 2001.

 

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su fogli volanti
  • Testata: Il giuoco d’assalto
  • Anno di pubblicazione: n. 4, febbraio 2001
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