Prima e dopo
Una premessa che è necessario ripetere. In questi giorni ci troviamo nel mezzo degli ultimi atti di una strategia che ha sconvolto la faccia italiana dal ’69. La nostra democrazia sempre risicata, la nostra libertà di vivere e voler vivere liberi e onesti, la nostra libertà di pensare e di agire con tutti e per tutti (per quel vero progresso che coinvolga soprattutto i giovani) si giuocano in questa ultima settimana. Sappiamo da tempo che si vuole sradicare in ogni modo il progresso della sinistra storica, ricorrendo a qualsiasi atto di guerra. Dipenderà perciò soltanto da tutti i democratici autentici se lo schema torbido sarà spaccato per sempre; ma intanto occorre tenere i nervi saldi e mantenere immediatezza di convinzioni nell’esame spicciolo della realtà; e specialmente una responsabile convinta precisa dura unità di propositi e di obiettivi. Adesso vorrei far notare alcuni momenti “comunicativi” della propaganda politica in atto. E proprio perché è “infame” avvenimento politico di questi giorni, rimando alla esecuzione del magistrato genovese e dei due agenti che lo accompagnavano; rifacendomi ai giornali e ai telegiornali (sì, anche a una TV che in questi ultimi tempi abbiamo sentito definire riformata, con un giudizio precipitoso e interessato ma sempre scorretto).
Gioco sottile e allusioni
Due sono gli elementi che colpiscono, seguendo questa informazione: la sempre rinnovata e criminale accettazione, da parte di molti settori, dell’atto terroristico come di un atto che coinvolge tutta la sinistra, e questo in un gioco sottile di allusioni, rimandi, sottintesi (mentre tale ipotesi dovrebbe essere contraddetta da tutte le vicende che hanno tartassato l’Italia negli ultimi sette anni); e – secondo elemento – la massa, cioè la quantità delle notizie e delle informazioni buttate addosso al pubblico anche in merito a questo orribile episodio che ha turbato tutti.
Procedo con ordine, facendo riferimento al primo degli elementi sopraindicati. Una rigorosa pratica politica, l’impegno militante di ogni giorno e per tanti anni, le conclusioni di prolungati approfonditi dibattiti (sempre rese pubbliche, e nei luoghi di potere gestito anche realizzate) dovrebbero portare a considerare la sinistra storica – con un atto sia pure di semplice onestà intellettuale – contraria realisticamente e intellettualmente a pratiche che si possono considerare solo nel senso di una autentica provocazione. Eppure, ogni volta che si compiono queste orge di basso banditismo, ci si vede costretti a richiamare le situazioni e i contenuti reali dentro i quali si muove la azione della sinistra (un’azione coerente, faticosamente conquistata con l’impegno costante pratico e intellettuale) per ribadire l’autenticità delle scelte in ordine alla prassi che sono ormai norme metodologiche di comune riscontro. Perciò la scialba manfrina di coinvolgere la sinistra storica in ogni violenza ebbra è essa stessa atto deliberato di terrorismo politico; che non meriterebbe commento se non fosse che tanti, onestamente sbalestrati dalle contraddizioni, hanno la sola TV per informatrice diretta e magari un giornale di petroliere come tramite scritto dalla tragica realtà.
La realtà “inventata”
Sul punto secondo, cioè sulla cascata di notizie minute, di testimonianze stravolte, i dati buttati sopra dati, vorrei rifarmi a un discorso semplice ma generale e con un addentellato al passato. Magari parecchi queste cose le sanno e le ricordano; ma parlerei a quelli che non le sanno ancora, a quelli che le hanno dimenticate o che le ritengono inserite in un problema non così importante, o non più importante. È proprio la situazione attuale che ci offre gli elementi immediati e ci suggerisce di fare. Nazismo e fascismo (in generale, esemplificando) usarono due comunicazioni non complementari, non certamente univoche ma, al contrario, di piano e grado diversi. Il nazismo programmando una violenza pianificata e massificata senza scrupoli gestiva la comunicazione con “questa” stessa violenza; era indifferente a ogni verità; usava la falsificazione diretta come metodo e pressione, incurante delle contrapposizioni che d’altra parte non erano più possibili in quanto l’opposizione era stata annientata e pertanto non si richiederà o non si tollerava più, nello scontro terribile del potere, alcuna apertura o alcuna concessione. La realtà era semplicemente “inventata” secondo schemi e interessi: ricodificata e ridistribuita con brutalità: l’assimilazione di questa comunicazione avveniva in modo diretto, senza rigetto, senza traumi, con una indifferenza passiva. Come una doverosa accettazione. A parte naturalmente i casi atipici di una opposizione politica costretta alla clandestinità e sfuggita allo sterminio.
Il fascismo disponeva di una situazione diversa e usava una diversa metodologia. Usava non una comunicazione di contraddizione globale ma una comunicazione reticente (come ho annotato anche in altre occasioni); modificava la verità la alterava parzialmente lasciandone dentro un boccone. Operava una correzione all’interno o al margine delle notizie largite. Non usava come sistema prescelto il rovesciamento della verità, la sostituzione di una verità con l’altra; usava la sovrapposizione, in modo che la verità lasciata e il suo contrario tutto elaborato si annullassero vicendevolmente. La perfidia era maggiore in questa comunicazione e forse anche più astuta.
Il ricatto periodico
Dunque: negazione della verità e invenzione globale della falsa notizia nel primo caso; reticenza, manomissione greve o cauta o rabbiosa, sovrapposizione attenta nel caso secondo. E sono due antecedenti. Nell’età tragica e nuova che viviamo, in questi anni della comunicazione per immagini, annotiamo il terzo modo scelto da questo potere per comunicare. Intanto non sarebbe più possibile compiere la negazione della verità e neppure proporre come metodo la reticenza, e questo per ragioni obiettive (i canali d’informazione sono tanti che sarebbe sempre facile documentarsi e completarsi altrove, sia pure con ricerca e qualche fatica).
Il terzo modo che tutti conosciamo e “patiamo” con una ossessione traumatica, è l’ingorgo della comunicazione; è rappresentato dalla massa di dati e annotazioni su tutti gli avvenimenti, con una caterva di particolari, di contraddizioni fornite come ricerca del vero, di sovrapposizioni schematiche e di episodi eccentrici – che debbono produrre l’effetto e il solo effetto desiderato: il parossismo moralistico dell’ascoltatore, del lettore e del teleutente; il qualunquismo affrettato, la rilassatezza indifferente. A questo risultato tende la comunicazione del potere, o il potere della comunicazione – con il proliferante calderone delle conclamate libertà di stampa. Lo abbiamo visto nei giorni tragici del terremoto friulano, con le lacrime a fiumi, lacrime subito risicate o risecchite e ora accantonate. Parliamo descriviamo inseguiamo adesso la truce vicenda di tre uomini ammazzati ma con il rumoroso suono concertato di mille parole e di centomila immagini. Cosa capiamo fino in fondo della verità? I poveri corpi in terra li vediamo, con i fori dei proiettili speculati in ogni particolare, poi le armi e i bossoli le ascendenze e discendenze dei caduti e i loro collegamenti privati; un racimolo di tutto in una terrificante orgia di colore. Ma cosa sappiamo fino in fondo della verità? Basta però la manifestazione unitaria di piazza del popolo genovese a chiarire termini e ragioni. A proporre una verità autentica che nessuna carta stampata e nessuna immagine della TV ci avevano di proposito proposta, nella sua apparente e giusta semplicità. E la verità era ed è questa, io credo: ecco il ricatto periodico. prima dell’assassinio e poi della divulgazione del ciclostilato ormai scontato. Sappiamo di doverci aspettare queste vergogne fino a che un voto deciso e popolare non si assumerà l’impegno di ripulirci da questa trentennale pazzia. E noi sappiamo che è proprio questo che non si vuole, in ogni modo. Sappiamo inoltre che quel che accade oggi, contrabbandato sotto o dietro tante maschere, va considerato come una guerra aperta e dichiarata a tutto un popolo che lavora da un nemico che distrugge perché non vuol dare, non vuol cedere, non vuol perdere. Non vuol perdere nulla. Ma lo sta già perdendo. Perciò ricorre a ogni mezzo che distrugge la fatica del progresso e della lotta di ogni giorno. Rispondiamo a nervi saldi e con convinzioni sempre più chiare e profonde; e con la decisione nella libertà e con la forza e l’unità nella verità. Queste sono le sole forze rivoluzionarie che aprono (e non chiudono) il futuro.
“Chi comunica che cosa e come”, l’Unità, venerdì 11 giugno 1976.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
- Testata: l’Unità
- Anno di pubblicazione: venerdì 11 giugno 1976