Il futuro culturale

I.

E gli antichi poeti

dove s’incontra sempre la stessa domanda a chi approda:

siete pirati?

Che cosa resterà fra mille anni

quando Cuba e Congo suoneranno

come Tessaglia e Tebe

e il viscido Oppenheimer, annegato nel vino nel miele, dentro allo

specchio di Archimede, sarà esautorato dai romani?

Nei libri di scuola…

 

II.

Rifiutare i simboli il prestigio,

le vecchie uniformi, le cattedre,

la regina che siede in una villa veneta con il ragno di noia;

vivere (forse) come amava vivere Gramsci in carcere quando

sulle case bianche ascolta il tramonto calare e ricorda la Russia.

Gottfried Benn cantava le tristezze del cuore

sul sangue di Büchenwald

questa è letteratura

ma per la gloria della patria non bisogna morire,

non bisogna morire per la patria,

un nome sul marmo si incrosta di nevischio di sporco

gli uomini dimenticano subito e tu sei morto.

La morte dentro al mare è più economica tranquilla,

la più lontana,

l’uomo scompare non si deve piangere o seppellire

custodire o vigilare; una morte pulita,

il suo povero mito dimenticato.

Dicono mangiato dai pesci

mi pare, più semplicemente e con ragione, dicono che

giunto nel fondo l’uomo si apra e attenda

di scomparire divorato dal tempo. E laggiù tutto è buio.

 

III.

Prima di entrare nell’inverno della vita, nella caverna del niente,

rovesciare questa parte della vita

lo schematismo dei giorni

nonostante le previsioni dei gaglioffi.

Egli credeva a ciò che diceva.

Non s’è spostato l’ago della bilancia (ma si sposterà):

attitudine ai ricatti, per una fotografia

sedere sulla poltrona di marca con la nuova cravatta,

il torpore, ahi magniloquenza, l’ambizione,

infine il burro rancido, la sciocca topografia

e sulla confusa esitazione stendere un panno di lana.

Ma ecco, basta un giorno e:

grammatica e futuro finiranno.

 

IV.

Anche la madre diceva«ognuno ha il carattere che ha;

il suo è difficile.

Eh si guarisce a volte lentamente».

– mise una vita Filottete povero

sull’isola deserta a lacrimare

poi uccise Paride

ma a Lemno era buio sperare.

Per un suo lamento poi subito spento

gli dissero con un sorriso che era un vecchio scontento.

Non è l’astratto moralismo che si colora d’autunno

(sul Trasimeno i gabbiani calano crocchiando)

non si lanciano strali altro che innocui in

questa indifferenza ilare e in questa noia decorosa.

La lama di un coltello, il filo sulla ferita,

l’impassibilità del sicario all’ombra dell’albero

nel viale dove corrono motociclette, è più utile a tutti

dell’obolo speso, picchiando sul marmo, a patteggiare

la complicità.

Le lucide trasparenti verità si scompongono come i cristalli

noi non chiniamoci all’ingiuria del tempo,

scivoliamo via dalla nostra sabbia,

lavoriamo per il mondo.

 

V.

«Ti dico guardati da illuderti di strafare

le tue meravigliose linguistiche fratture

naturali sinuose caustiche e un poco artificiose

si confanno esattamente a questo clima evoluto

dove leggerezza e tristezza

hanno lo stesso peso nella pubblica opinione.

Le tue graziosi perifrasi…

Lasciami parlare. Tu stai con i beoti!

Bada, stai con i beoti!» ammonisce con il dito alzato

il furore improvviso del piccolo borghese

al giovane arrabbiato che perora.

Rispettiamo dunque le istanze, la necessità della congiuntura

la misura della tassa, la terra in cui nascemmo

così azzurra di venti, la volontà dei potenti?

Perché cambiare il mondo?

Qualcuno di noi può ritenere esatto il proposito

che collaborare non è perdersi,

si può tentare di giungere al governo senza rivoluzione.

Perché smuovere il mondo da questo disordine onesto

che non reca dolore?

«Tra amici riuniti, dopo la cena, davanti a un bel fuoco di legna

inevitabilmente il discorso cade

sulla guerra atomica».

Alcuni si lasciano addormentare dalle sirene del cuore

(Freud dice la religione una gratificazione sostitutiva)

altri hanno un leggero filo a cui impiccarsi se vogliono

o possono sognare di stendersi una notte con la regina

altri si torcono ancora un poco per la storia degli uomini

con meticolosa semplicità.

Per questi l’ordine del lavoro si articola sui comma sei e sette:

con vecchi sentimenti non si può rendere alcuna novità,

ti perderai se la fame del mondo ti accieca.

Ma non è tutto: chi entrerà con un balzo dentro all’orto di pietra

rinchiude le ossa degli appestati?

 

 

 

 

Quaderni piacentini, anno III, n. 17-18, luglio-sett. 1964.

(Pubblicata successivamente in Le descrizioni in atto, I quaderni de Lo spartivento n. 1, 1 maggio 1990, come UNDICESIMA DESCRIZIONE IN ATTO)

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: poesie pubblicate in quotidiani o riviste
  • Testata: Quaderni piacentini
  • Anno di pubblicazione: anno III, n. 17-18, luglio-sett. 1964
Letto 2519 volte Ultima modifica il Martedì, 26 Marzo 2013 14:54