Il Po è un fiume

Il Po è un fiume,

il più grande il più lungo d’Italia.

È il principe dei fiumi.

per 634 chilometri dal Monviso al mare Adriatico

si snoda come un serpente

attraverso la pianura padana –

e come tutti i fiumi grandi

è un fiume che parla.

Racconta storie, ricorda storie.

Ne ha visti di eserciti stranieri

arrivare e fuggire!

 

 

1. Po

 

Canta un’antica ninna nanna, riferendosi al fiume:

 

passa il re di Francia / con tutti i suoi soldati /

passa Radetzki / con tutti i suoi tedeschi

passa ancora una volta / e poi non passa più.

 

Dunque, camminare sul Po

è sempre un viaggio, è un’avventura.

E anch’io ci cammino

come su una strada d’acqua

per immergermi nell’antica storia d’Italia,

ricordare formidabili vicende,

incontrare personaggi dalle lunghe barbe di marmo,

dai lucidi occhi dipinti;

poi affreschi, chiese, palazzi, piazze.

E dopo le file dei pioppi –

che sembrano non avere fine –

le antiche città

giovani di mille anni.

Cremona.

 

 

2. Cremona

 

Esterni

La città medievale, dalle strade lunghe e strette,

è passata nei secoli attraverso sconvolgenti vicende.

Nella piazza:

– il duomo, un capolavoro di architettura religiosa,

– e il terrazzo vicino, alto più di cento metri,

tanto che annuncia la città da molto lontano.

– Nella facciata del duomo,

bianca che sembra di pelle viva, statue di profeti,

leoni accucciati come a Venezia.

Marmo, marmo, lavorato, scolpito,

a scavare nel tempo, negli anni, nei secoli.

Uno scontro con l’esterno.

 

Interno

All’interno del duomo

– oltre la “Deposizione”

c’è la “Crocifissione” conclusa dal Pordenone nel 1521.

Un brivido, a rivederla.

È la scena di una violenza appena consumata

e di un dolore ancora da espiare

mentre la terra si è spaccata

nel momento della morte di Cristo.

Una scena animata e incupita

da bagliori di spade,

gonfi nembi vaganti;

tanto che tutto sembra svolgersi sulle rive del Po,

in un giorno che annuncia tempesta.

Il viso del Cristo,

duro di sofferenza,

sembra proprio di un uomo che muore.

 

Cremona non può stare da sola

ma vive nel suo territorio,

col suo territorio,

insieme alle acque che l’accompagnano

e la circondano:

il Po, primo fra tutti;

poi l’Adda e l’Oglio.

Poi la pianura a perdita d’occhio.

 

 

3. Colorno

 

A Colorno tanti arrivano per il Palazzo Ducale.

Il paese risale al Medioevo

– come tanti in questa pianura –

ma sono i Farnese

che lo prescelgono come bel luogo di villeggiatura,

e nel Settecento restaurano il palazzo

– un tempo rocca dei Sanseverino –

che diventa luogo di meraviglie

e di cultura.

Così Colorno fu chiamata “la piccola Versailles”.

Splendido di pietre levigate dentro

a un mare di verde ordinato

– quasi geometrico –

si può assomigliare ai grandi palazzi

dell’Austria imperiale,

alzati con spavalda superbia

per accogliere fasto e bellezza.

 

 

4. Parma

 

Ha scritto un grande viaggiatore italiano quarant’anni

fa, Guido Piovene:

 

Con Parma comincia la vera Emilia,

sensuale, pittoresca, estremista.

Ma Parma ha caratteri diversi

dalle altre città emiliane.

È la più francese.

Perciò si entra a Parma

in un piccolo mondo unico,

sanguigno e ironico nel medesimo tempo.

Nelle sue vene scorre il sangue del melodramma.

 

Teatro Regio: qua siedi e ascolta.

Costruito fra il 1821 e il 1829

sembra un teatro d’oro.

È il centro palpitante del melodramma verdiano.

Anche a sala vuota,

con le luci spente,

risuonano accordi

vibrazioni di canti

s’alzano verso la cupola.

 

La piazza del Duomo

 

– Nella piazza

il battistero, il duomo e il campanile dell’Angelo

sono raggruppati

– è stato detto –

come in un riposo solenne e magnifico.

 

– Il battistero,

uno dei capolavori dell’arte romanica,

è opera dell’architetto Benedetto Antelami

– il grande “magister Benedictus” –

che,

nel corso del XII secolo,

comincia a lavorare

anche dentro e fuori la cattedrale.

Il marmo, le pietre, le strutture architettoniche

lui le trasforma

con una forza cupa e fiera

quasi in voci che gridano,

in parole.

A guardare le opere

si è coinvolti e sconvolti

come da un maestro severo ma amico.

 

– Interno del duomo

con la “Deposizione” dell’Antelami.

La lastra ha imprigionato

per sempre

il rigore di un movimento terribile

rendendolo indimenticabile.

Il Cristo,

con le braccia aperte come ali,

sembra sceso da un volo

per consegnarsi ancora una volta

agli uomini.

 

Teatro Farnese

 

“Teatrum orbis miraculum”

– meraviglia del mondo –

il teatro Farnese,

costruito tutto in legno all’interno del

palazzo della Pilotta,

era dipinto

– insieme alle statue –

a imitazione di marmi molto rari.

Gli girava intorno

una ricca decorazione in oro.

Inaugurato nel 1628

e usato solo per occasioni ufficiali

– poteva ospitare più di quindicimila persone –

alla fine del Settecento era già

“un vecchio teatro,

d’aspetto triste e grandioso,

che il tempo riduce lentamente

in un mucchio di rovine”

(così scriveva Dickens nell’Ottocento).

Oggi, come si vede,

è stato ricuperato e risanato.

 

Camera di San Paolo

 

Stendhal nel 1817:

 

Mi strappo a Milano.

Un’oretta di fermata a Parma

per i sublimi affreschi del Correggio.

 

E nell’antico convento di San Paolo

c’è la camera

con i primi dipinti eseguiti a parma

dal Correggio,

commissionati dalla badessa Giovanna.

Nella volta

il pittore ha dipinto

un giardino meraviglioso, e meravigliato,

di naturale freschezza,

di generosa speranza,

di giovinezza.

In un ordine pittorico

sostenuto da una fantasia

quasi miracolosa.

 

 

5. Tutto è Po!

 

Dietro panorami che sembrano immutabili

c’è una realtà

che cambia.

Tutti dovremmo fare e pensare

perché anche il mondo del fiume

possa migliorare

ma difendendolo

dalla speculazione selvaggia.

Raccontano che un amico chiese a un amico:

“Qual è il Po?”.

“Tutto è Po!” la risposta.

 

 

6. Fontanellato

 

Anche Fontanellato

con i suoi portici e le sue vecchie case

ha un aspetto medievale.

All’inizio del Quattrocento

i Sanvitale la trasformarono in fortezza

con bastioni, fossati

e la rocca.

Fra i suoi muri si trovano

mobili, arazzi, armi

e – fra altri –

un affresco del Parmigianino

datato 1523:

la Favola di Diana e Atteone.

Dipinto per ordine di Galeazzo Sanvitale

– in una piccola stanza

dedicata alla moglie –

racconta che Diana,

sorpresa nuda nel bagno,

per vendetta muta Atteone in cervo.

C’è una luce intensa che viene dall’alto

e la scena è resa con una struggente efficacia

da questo grande artista

morto giovane,

tormentato da una insoddisfazione dolorosa

per volontà di continua perfezione.

 

 

7. Questo è il Po, oggi

 

Fetonte

– secondo la mitologia –

precipitò dal cielo e annegò nel Po.

Le sorelle

– che lo piangevano sulla riva – furono trasformate in pioppi.

E la pioppicultura

è una delle attività tipiche del fiume.

Oggi

sulle sue rive

possiamo ancora vedere pecore al pascolo

ma

– nei giorni di festa –

gare di motocross.

Questo è il Po, oggi.

E questa, più in generale, è l’Italia

– nuova e vecchia insieme

già del Duemila e ancora antica.

Cimiteri sopra cimiteri di altre ossa

città sopra città

chiese sopra altre chiese scomparse.

Niente riposa

sotto e sopra il suolo italiano;

tutto è testimonianza di altre vite,

di antichi percorsi,

di perdute fantastiche o strazianti primavere.

 

 

8. Sabbioneta

 

All’imbrunire

sul Po

si scatenano le fantasie.

E Sabbioneta

– con i suoi edifici monumentali,

fra cui il Teatro Olimpico –

è nata

nella seconda metà del Cinquecento

dalle fantasie quasi ossessive

di potere e di bellezza

dei Gonzaga

– soprattutto del principe Vespasiano.

La “piccola Atene”, fu chiamata.

Utopica città ideale.

Centro da cui tener lontane

la volgarità del mondo

e ogni ignoranza;

e dedicato, con l’arte la scienza e la poesia,

a mantenere

– o a riportare, se perduta –

l’armonia nella vita

e a vincere la morte del tempo.

 

 

9. Po – Mincio

 

Il Po si allontana

ed è il fiume Mincio

che porta verso Mantova

– cominciando intanto a trasformare

questi luoghi

in un mare d’acqua di verde.

Laghi, canneti, piante, uccelli.

Siamo sempre sulla più grande distesa

d’Italia,

e anche la quiete virgiliana

– Virgilio nacque qui –

è un sogno della memoria.

Traffico, suoni, voci,

frenesia di vita,

irrompono da ogni parte.

Mantova adesso è come assestata

su un fazzoletto di terra

circondato da tre laghi.

E custodisce il Mantegna.

 

 

10. Mantova

 

Camera degli Sposi

 

Palazzo Ducale a Mantova.

Camera degli Sposi.

“La camera picta” – la camera dipinta,

con la rappresentazione di momenti familiari

alla corte dei Gonzaga.

Andrea Mantegna dipinse

tra il 1465 e il 1474.

Nella parete a destra

una solennità maestosa

– che pare ormai perduta nella storia –

viene riconosciuta

a questa casata di potere, di sapere, di gloria;

con il magistero dell’arte,

ma anche con un’attenzione

che conferma un rispetto ammirato.

Seduti o in piedi sotto una loggia,

tutti sembrano in posa per una fotografia immortale,

con abiti sfiorati da un lucore appena smorzato.

Ma, per esempio,

sono singolarmente definiti anche solo

dalla varietà degli sguardi;

oppure accompagnati da memorabili dettagli

che fanno vibrare il muro:

il cane accucciato sotto la poltrona;

la ragazza con una mela;

la nana, contratta e immobile,

con un fazzoletto o nastro o borsello traforato

in mano.

E, seppure riparati da quella parete dipinta,

sembra di sentire

il respiro della campagna che vive.

A sinistra,

le figure nobili hanno alle spalle

un panorama

con una città fortificata

immersa in un silenzio drammatico d’attesa.

Con l’emozione, in primo piano,

di un particolare esaltante:

la piccola figura giovane

che stringe intimidita con tutta la mano

due dita della donna che ha vicino.

Tutto il racconto esaltante

trova alla fine un collegamento

con l’ovulo del soffitto

aperto contro un cielo appena rannuvolato.

Piove luce a fiotti da quel grande occhio aperto,

rovesciato nell’infinito

da un astronauta pittore

che ha visitato lo spazio lontano

e si è liberato da ogni vincolo culturale

che lo legava alla terra.

 

Teatro scientifico del Bibiena

 

“Lo scientifico”

o, esattamente, “il teatro scientifico”

di Antonio Galli Bibiena,

è un capolavoro costruito in appena due anni

alla fine del Settecento;

più come luogo di convegni intellettuali

che di spettacoli tradizionali.

Da qui l’impressione di abbraccio spaziale

che la sala raffinatissima propone,

quasi volesse avvicinarsi al pubblico

per far sentire il respiro delle idee,

non la voce gridata dei teatranti.

 

Palazzo del Te

(Sala dei Giganti: Caduta di Fetonte)

 

Il “Palazzo del Te”

(“Uno degli edifici chiave del Rinascimento”,

secondo un grande critico)

fu costruito in dieci anni

– dal 1525 al ’35 –

da Giulio Pippi detto “il romano”

(grande mirabile e stupendo,

come disse di lui Pietro Aretino).

Il palazzo è, esemplarmente,

la conferma del mecenatismo dei Gonzaga

Basso, su un solo piano,

a pianta quadrata, molto ampio.

Sembra uno splendido disco volante

sceso e appiattito a speculare la terra.

Dà una forte impressione di solida fragilità,

di arcana resistenza al tempo.

Piene le sale di capolavori pittorici,

quella detta “dei Giganti”

o “il Camerone”

prevale per il terrificante spettacolo

di vittoria e di morte.

Grandi figure di Titani,

che hanno osato ribellarsi a Giove,

sono vinte e travolte

in mezzo a un ruinare apocalittico di massi

– e fra questi le membra

si lacerano e scompaiono.

In alto, gli dei,

sembrano ancora ansimanti

per una vittoria faticosa e non ancora goduta.

Il grande diluvio

cupamente traslucido e gridato

lo leggiamo ancora come un

possibile racconto

dei nostri giorni.

 

 

11. Ancora sul Mincio

 

Ancora sul Mincio;

di nuovo verso il Po

lasciamo Mantova

città da non dimenticare.

Un cuore del mondo.

Molto verde sulle rive

ancora non scomposte

e un battello.

Sono pochi,

per un’autostrada fluviale

che aspetta soltanto

d’essere rispettata

e di servire.

E che corre fra rive

che sono una sola voce d’arte.

 

 

12. San Benedetto Po

 

Ancora in provincia di Mantova,

San Benedetto Po

è ricca terra agricola

ma con industrie importanti.

Fra queste,

la lavorazione del legno, di pioppo.

Il paese si formò

intorno all’abbazia di Polirone

(e l’abbazia fu costruita

fra il Po e il Lirone,

assorbito poi dal fiume Zara).

Dell’antica abbazia

restano poche tracce;

mentre, sulla piazza del paese,

si trova la basilica di San Benedetto,

rifatta splendidamente nel Cinquecento

da Giulio Romano

sulla vecchia chiesa di San Floriano.

Custodisce dipinti del Cinquecento veneziano

e, fra l’altro,

trentadue statue di terracotta

opera di Antonio Begarelli

– metà del Cinquecento.

Sotto il portico della facciata

sono collocate quelle

di Adamo,

di Eva,

di Davide.

Nell’andito della sagrestia

la tomba di Matilde di Canossa.

 

 

13. Verso Ferrara

 

Da Ostiglia a Occhiobello,

verso Ferrara,

il Po è già carico di veleni.

Il suo bacino è diviso

fra quattro regioni,

13 provincie.

Intorno gli vivono e premono

circa venti milioni di italiani

e una massa imponente di grandi

medie e piccole industrie

– che spurgano nell’acqua.

Per risanare questo gigante ferito

– un titano del Mantegna –

è necessaria la volontà

la responsabilità

di una nazione.

Non l’occhio di Giove

ma l’occhio dell’Italia intera.

 

 

14. Ferrara

 

Ferrara

che aveva il Po addosso,

ora lo ha solo vicino;

come ha vicino il mare.

È, dunque, anche città d’acque

come tante città padane.

Ha l’acqua intorno il Castello Estense,

prima un bastione

poi ripreso e inglobato

nel tessuto del centro cittadino.

La città non è un museo a cielo aperto.

È una delle meraviglie italiane,

per il complesso delle opere monumentali,

di scultura, di pittura

che le generazioni le hanno via via consegnato

come un lascito immortale

da tutelare.

Il duomo è esemplare

per esaltare testimoniare

le vicende cittadine, le antiche memorie,

a partire dal 1135.

Più volte ristrutturato,

quasi rifatto nel 1712,

esprime una forza che lo ancora al terreno,

mentre è percorso, quasi trasfigurato,

da una luce errante

che si inoltra e sfugge,

seguendo la varietà del cielo;

che indugia e vola;

tanto da renderlo quasi parlante

con la strada,

con la gente nella piazza.

È questo inarrestabile

moto vitale sulle pietre

che sembra legare

la intransigenza medievale

– che ha sempre costruito contro il tempo –

al moto rinascimentale

delle idee,

che del tempo e nel tempo

cercava di scegliere splendide rose.

La duplicità miracolosa e articolata

si può anche cogliere

da una parte

nelle sculture dei “Mesi”

 – oggi nel museo della Cattedrale –

con le figure che sembrano fuoriuscite

o liberate

da magmi di lava

per essere consegnate a una nuova fatica,

non a una libertà.

Dall’altra parte,

si può cogliere nella città rinascimentale;

nel corso Ercole I d’Este;

nella lunga prospettiva euclidea.

Qui, valutiamo il rigore dell’intelligenza

tesa a cercare una bellezza reale;

e la passione di fare, costruire,

realizzare per poterla sfiorare, toccare,

godere.

Così per il palazzo dei Diamanti;

che del lavoro per il terzo ampliamento della città

è un risultato di vertice.

Sembra avvolto da una pietra palpitante.

Così per il palazzo Schifanoia;

che custodisce nel “Salone dei mesi”

un ciclo di affreschi

riferiti ai dodici mesi dell’anno;

considerati un capolavoro dell’officina ferrarese

e del nostro Rinascimento.

Ferrara

è un libro d’arte, di poesia;

ma è anche un libro di storie

alte e concrete.

Induce alla pazienza generosa

e inevitabile

della contemplazione attiva.

Che vuol dire

– perché lei lo suggerisce –

non sfuggire alla vita.

 

 

15. Pomposa

 

Pomposa ha una storia che affonda nei secoli.

Prima era sull’acqua,

fra boschi,

quasi un’isola.

Adesso sente il mare lontano

nel volo dei gabbiani

che entrano per le discariche.

La facciata dell’abbazia

è dominata da un campanile di mille anni

con la cuspide a cono di agilissima eleganza

che svetta fa pochi alberi

e ha, dietro, la campagna

distesa a perdita d’occhio.

Oggi, nella chiesa abbaziale

meraviglia ancora la ricchezza

delle pareti affrescate

e dell’antico pavimento,

che sembra nuovo

per i colori che risaltano.

Nella calotta dell’abside

è memorabile

il Cristo in maestà del 1351,

da attribuire a Vitale da Bologna.

Mentre suoi allievi

hanno dipinto sulle pareti della navata maggiore

fatti del Nuovo e Vecchio Testamento.

Nel refettorio

gli affreschi eseguiti intorno al 1320

è probabile che siano di Pietro da Rimini.

In ogni modo, è soprattutto vero

che al visitatore non distratto

l’emozione esemplare

è data dal sentimento del tempo che non muore,

del moto della storia che non si ferma,

delle voci che hanno parlato

e parlano ancora

– con l’esempio di tutte le cose

fatte o sperate in passato

che s’alza fra questi muri.

 

 

16. Po – Mare

 

È la fine del viaggio.

Non più imperioso

ma ampio lento dolente

il Po apre le braccia

e si rovescia in mare.

Lascia un percorso d’arte

fra i più luminosi del mondo,

con opere fortunosamente

preservate nei secoli

nei millenni

nonostante le tempeste che hanno

travolta la pianura;

mentre per lui

delle valli di un tempo,

verso la foce,

oggi rimane ben poco

– perché quasi tutto è stato bonificato.

Poche case

basse

schiacciate a terra.

Le sere sono lunghe.

Rimane qualche giovane a mendicare lavoro.

L’uomo del delta, dicono,

passa e non si ferma.

In qualche paese

le donne vanno ancora al cimitero

e parlano con i morti.

La solitudine è grande.

La verità è che sul Po si appoggiano

272 centrali idroelettriche

6 centrali termiche

2 centrali nucleari.

Il futuro, per il grande fiume,

forse non è ancora arrivato.

 

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: testi per film e documentari
  • Testata: Testo del documentario Sguardi dal fiume
  • Editore: Movie Movie
  • Anno di pubblicazione: 1997
Letto 12415 volte Ultima modifica il Venerdì, 05 Luglio 2013 08:09
Altro in questa categoria: « Bologna Amo Bologna »