La tombola in piazza
Questi testi accompagnano la “tombola” mimata e cantata dal gruppo “Teatro della Valdoca” di Cesena.
Indice
1) I numeri della tombola
2) Indovinelli per la tombola
3) Proverbi
4) Comizi volanti
1. Che giorno è oggi
2. Il monumento ai caduti del ’15-’18
3. Viva la bicicletta
4. C’è il diavolo?
5. Il futuro
6. Sulla pensione di invalidità e vecchiaia ai poeti
7. La Rutelli
8. Annuncio per la radio
5) Prologo alla tombola
I numeri della tombola
11 È il numero treno, il numero Settebello, il numero che parte, il numero che va via, il numero che non ritorna. È un bel numero tutto pulito e rifinito che può fare il giro del mondo. ma non è un numero rotondo e non può tornare indietro, come ho detto. È un numero magro e allegro. È il numero di due fratelli del cuore o di un giovane e una ragazza che camminano insieme ma non si tengono per mano perché non vogliono fare l’amore.
23 Questo sì che è il numero dei re. Può fare cinque volte la salita dalla terra alla luna. È un vaso con i fiori e colori colori colori e buoni odori anche se uno volta la schiena all’altro che lo prega. Ma non è per dispetto ma solo per guardare fuori dalla finestra la luna. È un numero che porta fortuna e sta seduto alla fine del mese. Verso la fine del mese, con cautela.
28 Il numero ha ritrovato gli occhiali ma non sono occhiali da ministro. Sono piuttosto occhiali ribaltati per guardare da vicino lo scarabocchio di un bambino o la matassa rotolata da un gattino. È il numero in cui uno svolta a sinistra e l’altro tira dritto verso l’autostrada del Sole. È un numero che non pensa ad altro che a taroccare… ma mentre cammina, e prima di dividersi, riesce anche cantare.
33 Sono due gobbi e fratelli siamesi visti di profilo. Vicino alla porta di casa guardano l’arcobaleno che s’apre come un cocomero. Sono due ma riescono ancora a sopportarsi, a interrogarsi, a parlare. Ma non riescono a guardarsi negli occhi. Non camminano mai. Hanno solo la pazienza di osservare, uno sopra la spalla dell’altro, il giorno che si prepara a ballare. Volendo, si potrebbe aggiungere che hanno qualcosa di tragico, di storico.
6 Un uovo cotto a metà. Una cosa che cade a testa in giù. Il gancio per la cravatta o per l’impiccagione? La scorza di un limone attorcigliata per fare la marmellata? Non vedi, vien voglia di gridargli, non vedi che stai dormendo sulla testa e non sui piedi? Dai, rimettiti dritto, torna normale… Ma lui risponde: non posso, non posso, se voglio restare me stesso.
44 Due vele nel mare quando l’acqua era pulita pulita. Due mezze tende nelle stanze per ripararci dall’estate. Due numeri innamorati e gentili. Guarda là, dicono, come giocano bene le ragazze sul parto; sembrano pazze d’amore. Chi ha il cuore di avvertirle che devono ritornare? Due numeri uguali alle bandiere dei samurai quando decidono di combattere. Due numeri che ammoniscono: non restare mai solo.
50 Con questo numero si canta, a bocca spalancata. È il do di petto del tenore. E se cantare non è peccato e neanche reato, questo numero canta tutto solo, con un grande lenzuolo aperto lì vicino. È un numero piccino, è un numero da poco. Sembra un topo, anzi un topolino addormentato al sole. Chi lo vuole?
59 Piove piove. Piove sulle mani, poi viene il sole e la pioggia scompare. Resta la voglia di ballare. Ma entrambi i numeri sono stati feriti alla testa durante i primi giorni della fiesta a Pamplona; feriti da un toro che era scappato. E loro non hanno saputo neanche scappare. Oppure, in un modo grottesco, per fare presto, correvano su un piede. Un piede solo. E il toro, con le corna, li ha centrati a volo.
66 È meglio il primo o il secondo di questa coppia normale? Non dico altro. Basti pensare che io li sto a guardare e non riesco a decidermi. Perché uno solo di loro? Perché questo e non quello? Che male mi ha fatto? Queste budelle al gatto proprio non le voglio dare. Sono due ruote di scorta o due pietre del focolare. Due ciliegie appena raccolte, ancora calde di sole. Parole, parole, parole, per dire le cose.
81 C’è il tondo rotondo, c’è il magro. Chi tende a ingrassare, chi tende a fuggire. Uno è lungo, l’altro è corto. Due finestre per lasciar vedere il panorama e un uomo allampanato che si stringe la mani per il freddo. Questo uomo è tutto raccolto fra sé, non riesce né a piangere né a scomparire. Suona una tromba nel deserto. L’amico grasso lo sostiene un po’, lo guarda un po’, gli mormora due parole poi ritorna ai suoi pensieri e l’abbandona.
88 È un numero di cioccolata ma non è un numero discreto. È nero, proprio come due uova pasquali con il nastrino. Stanno insieme con piacere ma senza guardarsi mai. Passeggiano adagio per il corso. Mangiano solo un panino per non ingrassare. Dicono che fa male fumare. Sono curiosi e molto parsimoniosi. Hanno paura di invecchiare.
90 Basta solo una parola… la parola che uno stringe in gola… per definirlo. O raccontarlo agli uccelli. Ma io sono come l’albero di fico, che è un albero traditore. E questa parola intera non la dico. Intanto non è il sei, se vi può servire. Aggiungo che è la ruota di una bicicletta con una suora in sella… o è una vecchia befana arrivata con la scopa insieme al vento di tramontana. Se fossi in treno, sapendo aspettare, sarei arrivato alla fine della corsa. Prenderei la mia borsa e via. Ma invece non mi arrendo. Così non scendo.
Indovinelli per la tombola
1) Tu ce l’hai e io l’adopero (il nome)
2) Ho una stalla di cavalli bianchi
e uno rosso che scalcia a tutti quanti (i denti e la lingua)
3) Cammino in campagna e non sono un pellegrino
porto la sega e non sono un falegname
batto le ore e non sono campanaro
porto gli speroni e non sono un cavaliere (il gallo)
4) Cosa vuol dire “mettere le barbe al sole?” (morire)
Proverbi
1) Rèmin da navighê / Cesena da cantê / Furlê da ballê / Ravena da magnê /
Lugh da imbrujê / Fenza da lavurê / Jémula… da fê l’amor.
(Rimini da navigare / Cesena da cantare / Forlì da ballare / Ravenna da mangiare /
Lugo da imbrogliare / Faenza da lavorare / Imola… per fare l’amore).
2) Piò che la zenta i pê santòcc in piò i v’fòt.
(Più la gente sembra tutta casa e chiesa e più vi imbroglia).
3) Ignia chìlz e’ manda avanti un pass.
(Ogni calcio manda vanti un passo).
4) Cavêss la sed cun e’ parsòt.
(Cavarsi la sete col prosciutto).
5) Al busì deti ben a gli è coma al varité.
(Le bugie dette bene sono come verità).
6) Clù che là e’ scurgareb e’ bdòcc par vendar la pêla.
(Quello là scorticherebbe il pidocchio per venderne la pelle).
7) Brusê e’ cumò par vendar la zendra.
(Bruciare il comò per vendere la cenere. Cioè fare affari senza usare la testa).
8) Chi ch’a n’ s’inzegna u n’ s’impregna.
(Chi non s’ingegna non guadagna).
9) I quatrèn j è coma i dulur, chi ch’j ha i si ten.
(I soldi sono come i dolori, chi li ha se li tiene).
10) La furtuna l’è fata a cavéj, la s’insteca int e’ cul a quest o a quej.
(La fortuna è fatta come un cavicchio, si ficca nel sedere a questo o a quello).
11) Quand ch’u s’ zuga u n’ s’ sapa.
(Quando si gioca non si zappa).
Comizi volanti
Che giorno è oggi
Una stecca di torrone, pronta cassa, a chi mi sa dire subito subitissimo che giorno è oggi… Quale giorno si rappresenta sotto questo giorno… È rappresentato il gatto? il nano Baconghi? o Mariolina la calva, che digiunò centoventi giorni senza morire, trent’anni fa, qua dalle nostre parti?… Oppure c’è dell’altro, che ci cova sotto a questo giorno che ha dieci code?… Eh, nessuno parla, nessuno fiata?… Allora per principiare a riscaldarci, e tanto per dire, facciamo un discorso fra noi… come si fa per le corse, proprio per sciogliere i muscoli… Cominciamo col dire che questo è un giorno d’aprile… È un giorno d’aprile e non è un giorno di maggio… Se fosse un giorno di maggio non sarebbe un giorno d’aprile, si capisce, e il nostro, il mio discorso sarebbe diverso… Tutto diverso… e noi dovremmo interrogarci sopra un giorno di maggio… Perché maggio è il mese delle rose mentre aprile ogni giorno un barile… quindi maggio è un giorno, no, è un mese di sole e aprile invece è un mese bagnato… Zuppo… E anche questo giorno, dato che è d’aprile, è un giorno bagnato… È bagnato? Guardate un po’ voi… È un cielo azzurro? senza nuvole? col sole? o piove a catinelle? Ma io dico… statemi a sentire… dico che dentro a questo giorno ci dovrebbe essere un ricordo… un lungo ricordo e qualcuno dovrebbe ricordare… Ah, aspettate! Siro Buvalelli potrebbe essere qui a ricordare …ma ricordare che cosa io non ve lo voglio dire… dovete arrivarci da soli, un poco per volta… anche se la memoria è corta…
Cosa? cosa dice quell’uomo laggiù?… Che oggi è il giorno in cui si dovrebbe seminare il radicchio? Eh, no, non va bene… Sì, magari oggi è il giorno per i radicchi ma io vi chiedevo un’altra cosa… Volevo spingervi a un altro ricordo… Un ricordo di necessità… Direi quasi un ricordo di dovere… Sentiamo qualche altro… Tu, ragazzo, sai dirmi qualcosa, per vincere il torrone? No? Dai, sforzati… fai uno sforzo, almeno… Cosa dice quello?… Che è il giorno in cui gli italiani sono entrati in Addis Abeba?… Sbagliato… Sotto un altro e vediamo se ci piglia… Ecco, quella nonnina là in fondo che alza la mano… Venga avanti, avanti… venga vicino al microfono… Dica, su, che giorno è?… Come?… Ah giusto, giustissimo… Finalmente! Parli pure a voce alta… No, lei parla e io ripeto ad alta voce.
Dunque: oggi è il giorno 25, il giorno venticinque d’aprile e i tedeschi non c’erano più perché erano entrati i partigiani e così il brutto terribile della guerra era passato e tanti ragazzi tornavano felici. Ma in questo giorno in cui la gioia era tanta e tanta era la speranza Gaetanino che era mio nipote lui non ritornava con gli altri perché morto era… ucciso da una mina negli ultimi giorni… nelle ultime ore… E così è il destino, non bisogna lamentarsi… C’era tanta speranza quanto grano e i ragazzi e le ragazze si tenevano per mano… Era davvero una grande cosa di felicità… Perché la volete dimenticare?… Oggi è il giorno del 25 aprile e io ho ottantasei anni e il giorno del 25 aprile di quando i tedeschi non c’erano più e entravano i partigiani io sì che ero tanto più giovane e camminavo svelta dentro la mia sottana… Io non l’ho dimenticato mica Gaetanino e non ho dimenticato mica i ragazzi che pendevano dai rami qua in Romagna in quegli anni che sembrava che il fuoco e la cenere camminassero dentro agli occhi della gente… Quanta bella gioventù è andata perduta… è andata perduta… Ma ecco che mi viene da piangere e non posso più andare avanti… Chiedetelo a un altro… Chiedetelo a un altro…
Il monumento ai caduti del ’15-’18
Credo proprio che questa cosa era da dire prima o poi… E magari la dico adesso, dentro a questa occasione di festa. Così nessuno si arrabbia… Tanto, non si può nasconderla come si fa con il bisogno dei gatti… E anche se volessimo, dopotutto, la cosa, la chose come dicono i francesi, non si potrebbe nascondere perché non c’è più polvere in giro… e non c’è più cenere. Non c’è più niente di niente per nascondere le cose se non la carta dei giornali… Dentro a quella carta tutte le cose stanno nascoste… Ma oggi io non ho carta e così la cosa devo buttarla in giro… Beh, stavo dicendo che non c’è più polvere e cenere, in giro… Tutto è liscio e pinto che sembra lucidato da poco… e le strade si possono leccare con la lingua, come un gelato alla crema… Anche Imola, datosi che noi siamo a Imola?… Anche Imola, sissignori… anche Imola, doce doce come zibibbo di Pantelleria… sta Imola piccina piccina che fa venire voglia. Col suo autodromo, le sue acque tisane, i suoi mulini a vento, le sue porcellane, le sue nuvole che sembrano quelle di Raffaello e con la puzza di mare che viene da Rimini… Pardon, che viene da Ravenna… Ma lasciamo perdere. Io divago… divago sempre e così perdo il filo… Perché a parlare si divaga ed è inevitabile che si perde il filo… Se uno il filo non lo perde e va diritto al sodo, cosa divaga a fare e soprattutto cosa parla a fare?… Si è mai visto che uno a parlare conclude qualcosa?… Bla bla di qua, bla bla di là e poi tutti a casa a fare un sonnellino mentre le cose restano come sono… Ma cosa volevo dire? Cosa dovevo dire? Aiutatemi, suggerite… Perché parlare molto serve soltanto fra moglie e marito, come ho letto in un libro… solo fra marito e moglie; che, se non parlano di tutto, il matrimonio salta via e invece se parlano dalla mattina alla sera magari si graffiano ma poi tornano a letto insieme… Non sono io a dirlo, questo. Lo dicono i dottori, ecco. Lo dicono i dottori. Anche i dottori di Imola lo dicono… non è vero?…Ma dove ero rimasto? Le porcellane, le strade pulite, le nuvole di Imola, Ravenna… ah, ecco, ci sono… Dovevo dirvi che vi devo dire una cosa che è un poco difficile da dire ma che però è una cosa che devo dire di dirvi… È chiaro?… Trattasi di una cosa sui caduti della guerra del ’15-’18 che sono tutti eroi e naturalmente noi li rispettiamo… anzi, è giusto che li amiamo… nessuno può dimenticarli… E poi non si tratta mica dei caduti del ’15-’18, che certamente nessuno vuole dimenticarli… Io non volevo parlare di questo… non ce l’ho con loro, poverini… che mi commuovo a pensarci… Io li amo, li venero e poi neanche li conosco… Sono morti per la patria, questo so… e mi metto sull’attenti. Non mi muovo. No… È ai monumenti relativi a questi caduti del ’15-’18 che mi permetterei di spendere una parolina… Ecco, erano proprio queste cose relative ai sopracitati monumenti che mi dovevo ricordare di dirvi perché erano cosa da dire… Le ho pensate queste cose… Anzi, ve le voglio dire in fretta, tutte in una volta così mi libero e così non mi dimentico… e poi non mi vergogno, perché mi hanno anche insegnato che queste cose non bisogna neanche toccarle… Ma non voglio mica toccarli… neanche per sogno… Voglio dire le cose solo sui monumenti che ci sono in mezzo alla piazza di tutti i paesi dell’Itaglia e stanno lì con i piccioni che fanno i loro bisogni sulla bandiera e con la panchina di ferro intorno dove i vecchi siedono a prendere aria quando la stagione è buona… Ma che aria e aria se sempre ci stanno questi monumenti del ’15-’18 che rompono l’aria e rompono il vento e rompono l’ombra e neanche si vede al di là del naso perché sti monumenti sono tutti di ferro e hanno fucili e bandiere e elmi e soldati che si gettano e cantano e tutto come ho detto è di ferro battuto ed è tanto alto che sembra una montagna sul serio… Il panorama dei monti con quel coso davanti mica si vede… Capite?… Ma lor signori potrebbero rispondere… potrebbe domandare: ma cosa vuole questo uomo che vuole sopprimere difilato i caduti del ’15-’18? Cosa cerca? È forse un sovversivo? Ah, certamente è un anarchico che al posto dei gloriosi eroi ci vuole mettere a cavallo il gran pancione del mago Bakunin, il re di tutte le menzogne… Ma neanche per sogno, rispondo… questa è solo una questione gentile di vento… e di ombra dolce d’estate… La politica non c’entra… La politica non entra dalla porta e non entra dalla finestra… È solo in riferimento al meriggiare pallido e assorto, nei pomeriggi d’estate… per i poveri vecchi e le altrettanto amabili vecchierelle… Io a lor signori chiedo soltanto attenzione in merito a codesto problema… Che è un problema di vecchi… Di vecchi… E di vento… di vento.
Viva la bicicletta
Viva la bicicletta! Evviva la bicicletta! Viva viva evviva la bicicletta!
Era scomparsa… quasi scomparsa, ve lo ricordate?… Ci ridevano sopra, anche… Oh, quello lì va ancora in bicicletta!… Roba da bambini!… o da poveri, che andavano in giro con le biciclette nere da donna… E invece mò, la bicicletta salta fuori di nuovo… Tutti in bicicletta e a piedi, altro che auto… Vanno di nuovo in bicicletta, gli stronzi… e se la godono… perché bisogna pur dirlo, ma andare in bicicletta è un andare da re. Sì, proprio da re… Un andare da signori, voglio dire. Tanto che adesso le biciclette costano più di un biroccio d’una volta… e sono leggere leggere che neanche la bicicletta di Coppi era così leggera… Si alzano con l’indice di una mano… le ruote, poi! non hanno peso… sembra che a montarci sopra uno debba cadere col culo a terra invece quelle ti portan lontano che neanche te ne accorgi… Mah, a pensarci bene sono contento… sono molto contento, voglio proprio dirlo, che la bicicletta è tornata in cresta all’onda come una barca… Qua da noi a Imola la domenica mattina, ci sono più biciclette che uccelli così uno può anche sperare di non essere diventato vecchio del tutto… Perché io in bicicletta sono anche capace di andare a Savignano sul Rubicone o di arrivare addirittura a Sant’Arcangelo, che lì ci stanno dei poeti che scrivono delle strane favole in dialetto. Li vado ad ascoltare… e ci arrivo in bicicletta… Senza bicicletta chi ci arriverebbe a Sant’Arcangelo, quando c’è il trebbo?… La macchina non la so guidare… è difficile da imparare e vi vogliono i soldi per la benzina che costa… Va bene, che adesso che qui a Imola hanno trovato il petrolio la benzina non deve mancare e dicono che ce la daranno gratis… gratis la benzina a tutti quelli che sono nati a Imola prima della seconda guerra… perché poi ci è arrivata l’immigrazione e allora all’immigrazione la benzina non ce la vogliamo dare, perché la teniamo noi tutta la benzina, non è vero, Cristo re?… Così se diamo via la benzina a l’immigrazione è capace che l’immigrazione si prende tutta la benzina e toh! ce lo mettono nel didietro… perché l’immigrazione è furba, ve lo dico io… E l’immigrazione non va mica in bicicletta… E invece questo è il punto, che l’immigrazione dorrebbe andare anche lei in bicicletta qua a Imola e non andare in macchina, così se va in bicicletta l’immigrazione impara ad andare in bicicletta e siccome le biciclette si fanno su da noi e non al sud, ecco toh! che l’immigrazione è fottuta e se lo prende, perché deve comperare le biciclette da noi… Mentre al tempo di Coppi e di Bartali la bicicletta mica era in mano alla immigrazione… Coppi non era terrone e Bartali?… Bartali era forse un terrone?… L’immigrazione gridava forza Coppi e forza Bartali ma non sapeva andare in bicicletta… ché a quei tempi la bicicletta era una cosa da ricchi e l’immigrazione era povera in canna… cazzo, vi dico che non aveva neanche la camicia, l’immigrazione… altro che bicicletta… Ma cosa volevo dire?… Me lo sono dimenticato… Ricordo che dovevo ricordarmi di dirvi qualcosa sulla bicicletta… Ah, ecco… era proprio un grido, quasi una canzone… anzi, era una canzone vera e propria che faceva: “Mia cara bicicletta / non andar troppo in fretta / Mia cara bici / noi siam felici / quando voliamo / portati da te…”. C’era anche un’altra canzone in dialetto, che faceva: Sa vut andé a Marradi / a tor tartof par tera / prema va a far la guera / con la bicicletta / che le là in fond che aspetta / d’partir d’partir d’partir… Il grido era viva evviva la bicicletta… Perché adesso la bicicletta è tornata sulla terra dopo un lungo cammino nell’inferno… era scomparsae noi oggi la ritroviamo… Cara bicicletta zuccherino… caro cavallino di cioccolata… cara limonata… cara bambina… mia dolce Maria… poesia della vita, di tutta la vita… così leggera che sembri una pera Williams appena cavata dal frigo… cioccolata di mele, tartufo bianco, olio d’oliva, natica giovane di suora… bicicletta biciclettina mia… E poi sapete che cosa vado a dirvi? Voglio proprio dirvi questa cosa… che adesso con la bicicletta si può andare anche nella luna… Basta pedalare un po’ più in fretta e ci si trova subito nel buco nero del cielo… Si poteva pensare a ciò anche soltanto dieci anni fa? …Io me la godo perché prima di morire vedo che la bicicletta torna signora delle danze e vedo che l’immigrazione mica può fottere la bicicletta… L’immigrazione, se vuole star sana, deve farsi furba e pedalare sul serio, senza tante storie, e andare su e giù, anche la domenica… Perché anche l’immigrazione se vuole può arrivare alla luna in bicicletta… Possono prendere un tandem, se vogliono… per arrivare prima perché è furba l’immigrazione come vi ho detto… e se non state attenti, dico soprattutto a voi giovani, vi fotte in un baleno e addio imolesi, addio prestigio, addio glorie… Perché l’immigrazione non scherza e io so sul serio, da uno che è vicino a un ministro, che l’immigrazione ci sta proprio pensando di arrivarci sulla luna in bicicletta… E dopo? che figura facciamo se un napoli arriva prima di uno di noi, che stiamo a Imola da cent’anni?… Io, se capita, giuro di tapparmi in casa per sempre… non voglio sentirmi gridare dietro da un napoli che l’immigrazione ci ha fottuto di brutto… Perché capita così prima o poi, se non ci stiamo attenti… Quindi evviva la bicicletta… ma pedalare, pedalare, allenarsi, cronometrare il tempo da Imola a Savignano e ritorno… oppure da Imola a Marradi… Ma insomma fare qualcosa… perché questa bicicletta leggera leggera che sembra un sogno, con le ruote che suona, e sembra Dalla quando sospira Gesù Bambino… sta’ battona, appena arrivata se la fila con l’immigrazione e porta un napoli in orbita… Lassù nella luna, che ci guarda con un sorriso da lenza… Perché l’immigrazione, quando vuole, sa sfotterti bene… Non è vero? Eh?
C’è il diavolo?
Ma si può essere così matti?… Se c’è il diavolo? questo m’ha chiesto mia moglie stamattina, che c’era appena il sole… Mo dimmi sù, sai se il diavolo c’è davvero? mi ha chiesto. Eravamo ancora a letto datosi che l’ora era antelucana e l’alba sembrava lontana e io ci avrei fatto sopra ancora una bella dormitina… perché non sono poi tanto giovane adesso e dormire un poco mi piacerebbe dopo che ho fatto la guerra e la guerra non faceva dormire. Così mia moglie mi chiede del diavolo e io non capivo la sua domanda. Ripetere, le ho detto, io mica capisco a quest’ora del giorno. A quest’ora della notte, ha risposto lei. E io le ho detto: Signora, se è notte ebbene notte sia e allora parliamo di questo diavolo mentre è ancora notte. Wiligelmo, ha detto mia moglie, mi sono insognata il diavolo adesso e ti chiedo se è un sogno vero o fasullo, se devo ridere o piangere. Ma va là, ho risposto, dormi mia bella dormi e lascia che il diavolo vada in campagna… Mica è una cosa vera, mica è una cosa seria questo diavolo che entra nel sogno delle spose nottetempo… Che sia un diavolo guardone? Fai sempre lo scemo, ha detto mia moglie… la mia signora si chiama Gisa ma il suo nome vero sarebbe Adalgisa però datosi che è troppo lungo così in casa la mia signora la chiamiamo Gisa ma fuori la chiamano signora Adalgisa, perché fuori casa il nome deve essere detto tutto intero per rispetto… così la mia signora mi dice che faccio lo scemo, che quando lei parla io mi diverto a sfotterla, che era meglio se sposava Matteo che adesso ha fatto fortuna e che alla domenica la portava a mangiare gli agnolotti nell’osteria lungo il Savena che adesso non c’è più ma lui era un signore e tu cioè io sei uno stronzo che ti dimentichi sempre anche l’anniversario del nostro matrimonio e la prima notte di nozze hai pisciato nel vaso senza neanche un po’ di sentimento… La mia signora comincia a piangere e dice fra i singulti cosa si vive se si vive senza cuore, il cuore è tutto e tu più che mangiare bere e fare quella cosa non pensi ad altro e io sono molto infelice ed è perciò che sogno i diavoli… Io questa notte sono stata con un diavolo e tu mi devi dire una volta per tutte… devi darmi almeno una volta una risposta interessante e con un po’ di intelligenza… devi dirmi insomma se il diavolo c’è o non c’è, se bisogna crederci almeno un poco a questo diavolo… Al diavolo non ci credo no, io non ci credo… nessuno ci crede al diavolo… Ma mia moglie mi dice che il papa polacco al diavolo ci crede… Al diavolo con la coda, le chiedo?… Certo, al diavolo con la coda… Boh, se lo dice il papa… la cosa mi preoccupa… un papa non ci può scherzare col diavolo… Lui sa le cose del cielo e della terra e un diavolo è una cosa della terra profonda e non si spreca in dettagli… un diavolo se c’è fa cose grosse…
Così rispondo a mia moglie: cara Gisa, guarda l’alba verde come copre il cielo… sembra fieno di paglia… ma bada che se il diavolo c’è deve fare cose grosse… Faceva cose grosse questo tuo diavolo nel sogno? Mia moglie con la testa fa sì e comincia di nuovo a frignare… La coperta andava su e giù sollevata dal petto che ha due tette mica male devo dirlo, perché, per dire le cose come sono, mia moglie ha due mondi che sembrano la testa di due neonati… Così friggeva e piagneva, la mia signora… Cosa faceva, le chiedo? e intanto accendo una sigaretta perché mi sentivo di fumare e l’ebbrezza del sonno era tutta scomparsa… Doveva pur fare qualcosa sto diavolo, se ti viene da piangere, le dico… Lei risponde: faceva cose che mi vergogno a dichiarare e che faceva il sonno tutto vergognoso… Di che vergogna parli, Gisa bella? le chiedo io… Parlo di questa unica vergogna del diavolo che non faceva cose belle in sto’ mio sogno… Ti vergogni per questo? le chiedo. Per le cose del diavolo? chiede lei. Sì, rispondo. E lei: Non mi vergogno per le cose del diavolo, ma per il senso di vergogna che queste cose facevano… Non capisco, dico… Fa’ conto, risponde lei e si alza a sedere sul letto, di vedere non un albero grande ma l’ombra grande dell’albero. L’albero rinfresca e la sua ombra grande ti porta lontano e ti mette paura… Quando la mia signora parla difficile è segno che bisogna stare attenti a che aria tira… È capace che ti frega e ti fa passare per fesso… A me, poi, gode a incastrarmi… perché così fa il confronto con Amadeo… no, con Matteo… che è quello che la portava a mangiare i tortelli sul fiume nel momento della gioventù…. Così le rispondo duro duro: “Non mi rompere col tuo diavolo. È già mattina e il diavolo se ne è ito. Ne parleremo se vuoi la prossima notte… La prossima notte se il diavolo si ripresenta, dice lei, io mi faccio la pipì nel letto per la paura… Ma se il diavolo non c’è, di che cosa avrai mai paura… Sei nel letto, ci sono io vicino… Oh, in quanto a te, dice lei, è come se il diavolo fosse solo a tormentarmi, perché te la russi che sembri un bue quando fa molto caldo… Ma il fatto è, insisto io, che il diavolo non c’è e se non c’è il diavolo neanche c’è ragione per la sua paura… Ma chi ti ha detto che il diavolo non c’è, replica lei… O almeno che non c’è questo diavolo mio che mi entra nel sonno con tutte le corna e col suo ghigno? Lo dicono i dotti, lo dicono i sapienti, azzardo io; lo dice anche il giornale che il diavolo è stato per sempre sconfitto e se ne è andato lontano dagli uomini dentro all’ombelico della terra… Ma là in fondo cosa ci sta a fare? chiede mia moglie. Là in fondo, tutto solo, fischia e mette i marroni arrosto… Non ci credo, dice lei, tu mi pigli in giro e adesso sono sicura che il diavolo c’è proprio, che salta fuori alla notte e si butta dentro al mio sogno… Io adesso alla notte non voglio più sognare, anzi non voglio più dormire perché se no ci entra il diavolo e dentro al sogno fa cose vergognose… Ma quali cose vergognose, chiedo io… Le cose vergognose non si dicono e neanche si vedono, sicché quando il diavolo nel sonno me le fa io chiudo gli occhi.
Io adesso chiedo a voi cosa devo fare… Ma un consiglio svelto svelto e preciso prima di notte… perché ho già impressione all’idea di andare a letto stasera con una matta che si sogna il diavolo e vede il diavolo e ha paura del diavolo… Ma ditemi almeno, sul serio; il diavolo c’è davvero o non c’è? bisogna essere sicuri? tranquilli? Parlate, cazzo!
Il futuro
Io vi voglio parlare del futuro non come di un uovo sodo ma come di un uovo di pasqua… Pazienza, capisco che la frase sembra involuta e ve la chiarisco subito… Chi ha le idee chiare chiarisce le frasi scure in quattro e quattr’otto… E poi anche in casa moglie e figli, e anche gli amici, dicono che dico cose profonde e oscure che nessuno capisce mentre potrei anzi dovrei dire cose meno profonde ma chiare che tutti possano capire… Ma le cose profonde, dico io, sono profonde appunto perché pochi possano intendere datosi che se tutti potessero intendere allora vorrebbe dire che le cose oscure sono così poco profonde da non essere più oscure e tutti potrebbero alzare le spalle dicendo: ma cosa ci fa perdere tempo questo stronzo con cose tanto chiare che non riescono nemmeno a essere oscure, figuriamoci poi profonde!… Ma ripiglio il mio discorso dal principio, all’esempio dell’uovo sodo e dell’uomo di pasqua riferito al futuro… cioè al nostro futuro… e parto con questa premessa che poi non è una premessa ma è una domanda… si intende una domanda così detta retorica, che io faccio a me stesso per le ragioni di svolgere il discorso e tale domanda è la seguente: ma il futuro cos’è?… Anzi, meglio: cos’è il futuro? E la domanda è disposta per parlare del futuro in generale prima di scendere nel particolare di questo futuro… Prima di tutto occorre precisare bene che il futuro è il futuro e che non c’è nessun futuro che non sia futuro… Così che la prima considerazione da accantonare come un dato reale è che non c’è nessun futuro che sia passato… oppure, se si dà un futuro che sia passato questo è un passato e non più un futuro…
Così resta la certezza che il futuro è tutto un futuro intero e che niente può entrarci dentro a sfrugugliarlo… Allora la domanda conseguente è questa: se il futuro è il futuro e non il passato, questo futuro com’è? questo futuro cos’è?… Vi apparirà chiaro a tutti voi che ascoltate che la domanda è schiccia, come diciamo, cioè piena di arzigogoli e fregature… Bisogna risponderci dentro molto precisi e colpirla al cuore, se no, si fa la figura dell’asino… E allora io rispondo che il futuro è la cosa che non si è ancora risolta… cioè, per un esempio, il futuro è l’uovo di gallina fresco che deve diventare sodo ma ancora sodo non è.
Qualcuno potrebbe replicare anzi chiedermi oppure domandarmi ma che cosa è sta’ pirlata dell’uovo di pasqua che lei ha messo come enunciazione del suo dire iniziale?… cosa c’entra, mi scusi, l’uovo sodo e l’uovo di cioccolata col futuro? mica siamo a teatro… e poi il futuro è una cosa seria, si preannuncia assai tremendo e noi non possiamo star qui in piazza e scherzarci addosso… Mica siamo bambini, ma uomini posati e col futuro abbiamo uno scontro diretto… Mi scusi, qualcuno potrebbe ancora continuare, me lei è una persona molto poco seria e anche se siamo dentro a un divertimento di piazza ci sono cose da non toccare e allora la saluto e me ne vado… La lascio lì col suo futuro sodo o dolce… Ma guarda un po’ che gente…
E va beh! replico io, pazienza. Avete ragione tutti… Vi amo tutti. Vi benedico. Vi bacio in bocca come fanno i russi. O sull’orecchio, come fanno i francesi che sono più peccaminosi. O sul naso, come gli esquimesi che hanno soltanto freddo. Ma lasciatemi un po’ continuare.
È mai possibile che in sto’ cazzo di paese non si riesce mai a concludere un discorso perché ti interrompono con mille pernacchi?… Lasciatemi finire, sacchi di merda, e poi decidete in merito… Chi vi dice che non dica cose intelligenti o cose nuove.
Beh! perché lei grida?… Venga pure avanti, parli, parli, non è impedito da nessuno… Cosa? parli più adagio. Ma che dialetto parla, lei? È romagnolo? io non la capisco. Ah, lei è bolognese, viene da lontano. Bene, parli adagio, misuri le parole, vediamo se riusciamo a capirci. Ah, sono semplicemente un fregnone? A Bologna il futuro è già tutto pinto e dipinto e noi stiamo perdendo tempo dietro a falsi programmi? Ma cosa vuol sapere lei, ma si tolga dai piedi, ma vada a vangare… Sti bolognesi! Ma chi li conosce? Da dove vengono? Sono gente di città o di pianura, mangiano carne o pesce? Boh! Il futuro? …Ma sa che quasi le mollo un pugno sui denti, a lei bolognese? A chi vuole insegnare? E poi in un giorno di festa, dove tutti se ne stanno tranquilli dentro a grandi discorsi sulla vita e sul futuro… Perché queste cose sono serie e noi non regaliamo il vento… Se a Imola si fa qualcosa questo qualcosa è subito preciso concreto difficile. Dunque lei non ci rompa e mi lasci continuare… Il futuro, dicevo, il futuro. Che cosa è il futuro? Non ricordo se ero io che lo dovevo spiegare a voi o se io vi proponevo una domanda a cui voi dovete rispondere… Ecco, io risponderei che il futuro è l’ombra dell’albero grande… no, l’ho già detto… che il futuro, ah, sì, questo era le cima del mio discorso… che il futuro non è dolce e fragile come un uovo di pasqua ma è necessario e duro, anzi meglio, è compatto come un uomo sodo, vale a dire come un uovo cotto lungamente sulla fiamma. Vale a dire che il futuro è qualcosa che si deve lentamente preparare ma che si deve anche attendere con attenzione e parsimonia nell’ordine dei minuti che scorrono via… Così a questo punto io non so più cosa dire in proposito di questo futuro se non che datosi e conclusosi che è un uovo sodo, detto futuro non va poi mangiato col sale e bevuto col vino. Ma va conservato con grande cura e con grande premura osservato… Può anche darsi che dentro a questo futuro ci stiamo anche noi… oppure che il futuro lo guardiamo di lontano… mentre gli altri lo navigano come pesci rossi… E forse sarebbe la cosa migliore di guardare svolgersi il futuro sotto i nostri occhi come una corsa all’autodromo o alla televisione… goderla senza parteciparvi, senza correre i rischi… guardare il futuro che arriva e noi seduti in poltrona, i piedi su una sedia, la boccia fresca del vino accanto, accanto il bicchiere e guardare guardare guardare la fatica degli altri dentro alla nostra noia riposata. O alla nostra gioia tranquilla… Decidete un po’ voi cosa è il meglio… io ormai mi sono impelagato e non ci capisco più niente… Sì, forse ha ragione quel signore che grida: pochi discorsi, coglione, è senz’altro meglio il passato… Ma poi non è vero, non ci credo non ci credo non ci credo, che tutto il passato sia meglio di tutto il futuro. Quel buco nero che ancora deve riempirsi mi dà un brivido che è una meraviglia. Un brivido freddo che è voglia, non è paura… Addio a tutti. Buonasera.
Sulla pensione di invalidità e vecchiaia (INPS) ai poeti
Io non sono certo uno che vuol togliere il pane dalla bocca alla gente. Tantomeno a questi poeti, che neanche li conosco. Perché io non sono cattivo. Soltanto cerco di stare al sodo, ecco tutto e di badare alle cose mie, se è possibile. Ma questa mattina ho letto sul giornale che la Camera dei Deputati ieri ha votato una legge che concede a sti’ poeti, uno per uno, e purché abbiano la qualifica di poeti, una pensione di invalidità e vecchiaia di tre milioni al mese, esentasse. Avete capito bene; tre milioni e niente tasse. Ogni ventisette del mese. E due stipendi a natale.
Beh! dico io: a parte che in questo momento… eh, lo sappiamo, ma poi, sì, è vero, in ogni momento… una pensione di questo peso mi sembra eccessiva… sì, insomma mi sembra fuori luogo… una cosa che ti fa incazzare, che poi ci vengono a dire che bisogna tirare la cinghia di qua e di là e che la classe lavoratrice deve stringere i calzoni e non stare a rognare tanto e poi loro… Ma lasciamo perdere… Perché, badate, dire con la voce tre milioni è dire niente… tre milioni… è niente. Con la voce. Ma se adesso pensate a quanti poeti ci sono in Italia, a quante persone ha la categoria dei poeti, allora viene freddo e comincia a girare la testa… Sono più di due milioni questi poeti… Anzi, per dire meglio, insomma più esatto, sono due milioni e diciassette, come scrive il giornale… Provate adesso a moltiplicare due milioni e diciassette per tre milioni e sentite il botto che ogni mese vien fuori… Avete fatto il conto?… Cosa? Eh, sì, è proprio la somma giusta… Ma poi, tanto per dire, e dato che la pensione è da re, facciamo una domanda: come sono reclutati e schedati e rubricati sti’ poeti? Chi è che stabilisce tu sei un poeta, anche tu sei un poeta, tu no, pussa via o va’ a lavorare? Chi è che lo dice?… Ho chiesto in giro, mi sono documentato su questo problema… mi hanno dato anche uno stampato… mica son venuto qua per dar aria alla bocca. Ho le cifre. Aspettate, che cavo il foglietto dalla tasca… Dove l’ho messo?… Qua no… qua no… sta a vedere che mi è scappato fuori quando ho preso il fazzoletto per… Sta buono, è qua, per fortuna… Ecco. Sono i professori dell’università quelli che decidono e questo almeno mi sembra giusto. Se non lo sanno loro, queste cose!… Professori dell’università di Torino, Padova, Ferrara, Camerino e Messina… Invece non mi sembra giusto… non mi sembra molto giusto il modo di dare il giudizio… perché loro decidono solo sulle cose stampate. Fogli scritti a mano o robaccia ciclostilata, nisba… E chi poi non le vuole stampare? Chi questa poesia la dice solo a voce? o la canta con la chitarra? Questi, almeno come stanno le cose adesso, restano fuori dalle scatole e i tre milioni se li cuccano gli altri… Perché gli altri, basta che non siano cani soltanto capaci di abbaiare, un qualche giudizio a favore di questo e di quello se lo pigliano e allora entrano difilato nella lista… Quando ha il tesserino e il benestare per il bonifico mensile, può cavarsi le scarpe, mettersi le pantofole e davanti alla tivù aspettare l’inverno… Tre milioni! La vecchiaia è assicurata… può tirare un sospiro di sollievo…
Però, a pensarci bene, tre milioni sono poi troppi… Una vera esagerazione… Forse che Andreotti è un poeta?… Un poeta, oltre che pittore, è Fanfani?… Secondo me un milione al mese bastava… Con un milione al mese si vive bene, da re… E così si potevano accontentare tante più persone… e magari dare un milione al mese anche ai giovani che ciclostilano… Ma non c’è più niente da fare, la legge è passata, e hanno già rilasciato 77442 tessere definitive… Il primo a ricevere tessera, attestato e grana è stato il signor… pardon, l’artista Adelmo Buonafonte Silvestris, che abita a Scardonecchia in provincia di Avellino… Io non lo conosco ma lo ripeto, non sono intendente dei giornali di poesia… sarà magari anche molto bravo ma io non lo conosco… Ma lui intanto è già passato alla cassa… Cosa farete d’ora in avanti? gli hanno chiesto. Vivrò di rendita, ha risposto sogghignando e mostrando la copertina del suo libro intitolato “Come può pensare che basti chiamare”… Non mi pare giusto… A voi pare giusto?… Due milioni e diciassette persone… ma è la città di Milano tutta intera, compreso Sesto san Giovanni e la Bovisa… O è la città di Roma, se togli via il Vaticano ma con Fiumicino nel conto… E come se Roma e Milano scrivessero scrivessero scrivessero… e cantassero poi dalla mattina alla sera… Viene paura, angoscia… Un mare di parole lì dietro i muri pronte a scattar fuori appena una finestra si apre. Come l’acqua del fiume. Un alluvione? Un terremoto. Un maremoto. Una slavina. Parole e carta, carta e parole… Cristo, e via le case, gli alberi, le pietre perché su tutto cadono le parole… È come se la città intera fosse sepolta dalle foglie. Un cumulo… Parole e carta, mi capite?… (si allontana)… parole che salgono, parole che scendono… la carta come la schiuma dei lavapiatti quando si rovescia nel mare… e intanto questi si beccano tre milioni al mese… Ma chi sono, poi?… Come sono fatti?… Sono almeno belli?… Io mica li conosco, sti’ poeti… Sono uomini?… Ah, sì, io una volta ne ho visto uno di lontano, che veniva dai viali… Camminava come un pollo… Dite niente? Tre milioni al mese…
La Rutelli
È bella ma ha circa cinquant’anni. Ha paura di invecchiare. Perde molto tempo al trucco. Teme fotografi e tivù per via delle rughe. Si sottrae, è un poco misteriosa.
Una specie di Callas, di Duse.
Attrice di teatro leggero, di operetta. Cantante (deliziosa) di delizie.
Ha abbandonato le scene da circa sei/sette anni, al culmine della carriera, per un amore travolgente con un principe siamese conosciuto a New York.
Attualmente è in una forma smagliante, appagata nel cuore, nel denaro, nella fortuna.
È venuta (è ritornata) a Imola dove è nata, per acquistare il palazzo Arrivabene nella piazza maggiore. Non sa ancora se ci verrà ad abitare, se ci farà un albergo oppure, una fondazione di beneficenza per gli artisti di circo invalidati sul lavoro. La decisione in proposito sarà presa proprio durante la sua permanenza in città.
Non ha figli e ne vorrebbe adottare uno; lo cerca; lo sta cercando. Ogni tanto va in giro a vederne uno.
Lo vuole biondo, lo vuole subito.
A un certo momento della festa è anche annunciato l’arrivo del principe suo marito.
Annuncio per la radio
Il Comune di Imola, al centro del programma di feste spettacoli e divertimenti che ha organizzato a partire da oggi, mercoledì, fino a domenica prossima – secondo un calendario che è già stato reso noto – ha invitato come ospite d’onore la signora Imola Rutelli, nostra concittadina, celebre artista del teatro e del circo, che tanti ricorderanno fino a sei anni fa quando, nel pieno fulgore di una carriera che passava di successo in successo, si ritirò improvvisamente dalle scene dopo un amore travolgente, un amore fantastico con un principe siriano di cui divenne sposa.
Questa storia d’amore, affascinante a dolcissima e nello stesso tempo
(cosa c’è? …non adesso, dopo, dai, dopo; aspetta
un momento)
…Scusatemi. Dicevo: e nello stesso tempo dolorosa perché ha privato le scene internazionali di una ballerina, di una cantante e di un’attrice di grandissimo talento, interessò i giornali, i rotocalchi, le tivù; e diede lo spunto al film di Fellini “Imola Rutelli, adieu”… Ci dicono che Imola Rutelli è ancora bellissima ma noi sappiamo che non si mostra in pubblico dal giorno del suo matrimonio… e sappiamo anche che è tornata proprio in questi giorni a Imola per acquistare il palazzo Arrivabene, che dà sulla piazza. Si mormora che voglia venirci ad abitare
un momento, cristo… non vedi che sto parlando…
lasciami finire)
…ad abitare. Altri dicono che ubbidendo ai moti di un cuore generosissimo questa famosa figlia della nostra città voglia farne un ricovero per artisti di circo anziani o invalidi.
Sappiamo inoltre che non ha figli e che ne vorrebbe avere oppure adottare uno… e noi speriamo che scelga magari un bamboccio romagnolo… Bisogna aggiungere che da alcuni anni ha una ripulsione quasi forsennata per gli specchi. Quanti ne incontra tanti ne rompe… Tuttavia noi speriamo al più presto di poterla intervistare e… Scusatemi ma devo interrompermi. Riprenderò appena possibile
(Cosa c’è?… m’avete rotto! …Sono in diretta, perdio!… E allora fammi vedere… Cosa? ma sei sicuro? No, no, io non leggo niente se prima non ho qualcosa di firmato… La notizia è troppo grossa; e se poi risulta falsa?… Chi vi ha dato il testo? Comune? Fa’ vedere… già, c’è la firma del Sindaco… Allora a me sta bene, adesso la leggo… Accidenti, però è grossa. Incredibile…)
Scusate ancora una volta l’interruzione. Riprenderemo dopo il discorso su Imola Rutelli… Adesso devo leggervi questa notizia che si può definire senz’altro eccezionale… soprattutto imprevedibile… Per esempio, io non me la sarei mai immaginata… È una notizia che coinvolge la città intera e chissà per quanto tempo… Una buona notizia? Giudicate da voi… Io ve la leggo così come me l’hanno passata.
“Con delibera 546 del 22 aprile 1982 la Giunta Comunale ha deciso di rendere pubblico quanto segue
premesso che ogni dato inerente ai comma I, 2, 2/A, 2/B, 3, 3/A, 3/B, 3/C è stato rigorosamente vagliato
e premesso inoltre che i riferimenti al capitolato 24/3/677768 in data 30 gennaio 1981 debbono essere considerati come vincolanti e preposti a una giusta applicazione intuitiva e deduttiva.
La Giunta Comunale, dopo attenta valutazione della documentazione in corso e agli atti, rende noto con validati fondamenti di verità, che nel sottosuolo dell’intero comprensorio imolese, nonché nei Comuni viciniori di S. Agata, Casola Valsenio, Merdocca e Caraso, è stato identificato e circoscritto un giacimento di petrolio grezzo, con grana al decilitro 004/3 per mille, per qualità densità e quantità certamente da annoverare subito fra i maggiori del mondo. Il punto nevralgico del giacimento fa capo alla zona dell’autodromo.
Specialisti americani, inglesi, rumeni e afgani hanno potuto apprezzare e valutare in dettaglio la qualità preclara del giacimento.
La Giunta Comunale deve inoltre rendere atto che il primo ad accorgersi di ciò e a darne notificazione immediata alle autorità competenti è stato il signor Olivino Zanoli, abitante in via Begatto 185/B. Il signor Zanoli, avendo degustato le acque curative nell’ambito della zona dell’autodromo, ebbe ad avvertire una vischiosità sospetta e un sapore amarognolo vivo che furono subito identificati come una infiltrazione petrolifera.
Tale infiltrazione è tutt’ora evidente a chiunque intenda degustare dette acque curative, che il locale Ufficio d’Igiene non ritiene necessario proibire al pubblico.
La Giunta Comunale rende infine noto che nei giorni prossimi saranno ospiti graditi d’Imola, funzionari di compagnie petrolifere nord-americane, agenti di cambio svizzeri e uomini d’affari del Kuwait.
Fin da ora si può ritenere per certo che Imola è seduta sopra un grande lago che può diventare tutto d’oro per i suoi abitanti.
Evviva Imola, evviva il petrolio.
Per la Giunta Comunale, il Sindaco…
Imola, dalla Sede Comunale, il 22 Aprile 1981”.
Questa è la notizia, un autentico scoop giornalistico… Ecco, sentite, cominciano a trillare i telefoni… sono i giornali di mezzo mondo… Chiudiamo per un poco la trasmissione in attesa di riprenderla con le ultime notizie… A presto…
Prologo alla tombola
(Si bandisce a voce la tombola.
Vendita diretta dei biglietti.
Si illumina il balcone, poi di seguito si illuminano la piazza e le finestre delle case circostanti, a un’ora precisa.
Si stende il panno con grande solennità ecc. di fronte alla gente che già si sta radunando.
L’inizio della tombola vera e propria è preceduta dal prologo di cui, di seguito, si suggeriscono alcuni spunti).
Allé allé allé incomincia il recevé… Comincia la tombola degna di un re… Anzi di tre re messi insieme, che valgono di più… Una tombola degna del re del Portogallo, del re di Spagna, di quello d’Inghilterra… Beh? In Portogallo il re non c’è e in Inghilterra ci sta la regina? Va bene, pazienza. Cominciamo lo stesso una tombola dal principio alla fine. La tombola è la tombola, comincia con la speranza e finisce con un pernacchio… Cioè, io do e tu pigli poi io piglio e tu dai; ti piglio ti do, non so, lo sai… e così si arriva alla fine ruzzolando. Appena metto la mano nel sacco per cavare il primo numero, la fortuna che è bendata e canterina, zac, mi piglia e mi taglia via la mano… Zac, zac, e via.
Ma senza le mani, o una mano, non posso cavare i numeri… e senza numeri tombola non c’è.
E invece la tombola deve cominciare e io, ecco, vado a rovesciare i numeri nel gran secchio della fortuna.
Chi vince? chi perde? Io non lo so ma la fortuna ha già scritto tutto di tutto ma proprio tutto, tutto fino in fondo. E si può già dire che tombola la farà il gatto della Checca e la prima quaterna la farà una bambina piccina piccina picciò.
La signora Checca ha i capelli corti e rossi
ha gli occhi celesti
e la bambina piccina piccina si chiama Federica ed è chiamata Cà… sta lì giù fra la gente… guardatela, è là, seduta vicino alla colonna, con quella maglietta bianca, là… non quella, ma no, l’altra, quella ragazzina bionda… Federica fa un saluto con la mano… ma no, dove scappi… Federica… Beh, tanto vince lo stesso, coi numeri sulla mano; e sono 11 21 13 41…
Se chi vince, anzi chi deve vincere va via, allora restano in piazza solo quelli che perdono. Perdono tempo e i soldi… A noi va bene. E allora, se è già scritto lassù chi vince la tombola quaggiù, io faccio in modo mescolando carte e numeri e poi imbrogliando sottraendo sostituendo capovolgendo sgominando tagliuzzando riscrivendo trafficando componendo supplicando cancellando sommando sottraendo moltiplicando dividendo registrando falsificando motivando… faccio in modo come dicevo che il gioco vero non si concluda così e che il gatto della Checca non vinca la tombola e che la bambina bellina e piccina che si chiama Federica detta Cà neanche lei vinca la quartina… La tombola la farò vincere ad Adelmo, che suona la tromba nella banda di Casale… e la quartina, pardon la quaterna, la fo vincere a mia sorella Lea che è appena tornata do Brasil… Lea vieni qua, almeno tu e mostra la cartella con i numeri… ecco, vedete come sono in fila… adesso torna pure seduta e dio bonino che gran pateracchio stasera e mai tombola è stata più ricca e forsennata… Forsennatissima… E anche più fortunata. Perché chi vince vince assai… E per un po’ si mette fuori dai guai.
Eh, la bontà di una tombola non ha fine… è infinita… Varia come il vino, come la luna lunella di marzo o come la pelle di una suora, all’aurora, quando il grano è giallo. E canta il gallo… Perché una tombola può essere settimina o silvestrina o zodiacale o maniacale… Può essere ispida o solitaria come
l’aria
giocosa come una rosa con la guazza
può essere pazza d’amore
falsa come un fiore
diritta come la montagna.
La tombola si bagna
sogna e si vergogna
la tombola ha pazienza e sa aspettare…
Ma adesso andiamo a taroccare
in mezzo a questi numeri
e cominciamo a giocare.
Infatti come dice il cuoco
tutto è gioco… Il gioco della vita è uguale a questo.
Dentro a un cesto
c’è tutto.
Bello e brutto
sopra sotto
su, giù…
Anche se sono cose vecchie di quando ero giovane, sì che me la ricordo, Imola… Imola, Imolina… Questo nome, guardate, mi apre sentimenti di anni lontani.
Imola o Mollina… Oppure Pop Corn, come la chiamavo allora… Aveva un caratterino, come dire?, parecchio brillante… Come quello dei cavalli, quando si dice che hanno il morbino… Ecco, sì, anche lei aveva il morbino… Inquieta, abbastanza incostante… Anche un poco – o forse, adesso che ci penso – anche parecchio vanitosa… Anche incoerente nei gradi del sentimento (infatti i sentimenti li sbandierava come un nastro colorato)… Ma era poi giocosa, fantasiosa, estrosa… poi varia d’umore, come ho detto… insomma, d’umor cangiante… e spesso ridente, piangente, imprevedibile.
Veniva col treno due volte la settimana perché, fra l’altro, cantava in una orchestrina di sole donne che alla sera del sabato e di domenica suonava in piazza Maggiore, sotto il palazzo di Re Enzo… Aspettate, era il ’47 o il ’48… Ma io non sapevo mai, quando veniva, se quel giorno era leggera o pesante, farfalla o mattone; se avremmo litigato o giocato… Oppure cantato – che quando c’è amore è un canto senza voce, senza parole; un canto che non si canta ma si ricorda soltanto… E lei cantava con una voce acerba e dura, da prussiano; ma era una voce vera, che lasciava sperare grandi cose. E ci metteva tanto miele, dentro, da fare un poco lacrimare… Si potrebbe addirittura parlare di usignolo… un usignolo tedesco… Lei cantava spesso una canzone che diceva, con grande vivacità e quasi con una ebbrezza: “I miei capelli son belli / sono anelli del cielo / o tali sembrano almeno”.
Ma io divago. Com’era cominciata, fra noi? In piazza 8 agosto, un venerdì giorno di mercato… Cercavo, mi ricordo, un paio di calzoni e vidi lei, così bellina, così lucida e furba che camminava adagio… sembrava un poco annoiata, un poco indifferente…
È un angelo, pensai… bene, quell’angelo, a un tratto, zac! allunga una mano, afferra un bel golfino rosso su un banchetto e se lo ficca nella borsa… Eh, no! dico io… La seguo, mi avvicino, le dico: “Ti ho vista”. Lei mi guarda, sembra stia per piangere, io mi commuovo, le dico: “posso offrire un caffè?”… Così è cominciato il nostro amore… Poco romantico? Ma io gli ho fatto delle poesie intorno, a questo amore… che girava, girava… Fino a che è durato. Molte gliele mandavo per telegramma, direttamente a casa… Una me la ricordo bene. Faceva… anzi, diceva:
La successione dei sentimenti
è pura convenzione
io non posso lunedì amare
e martedì disperare.
Un amore val nulla
se è così maldisposto.
Ti amo
ma oggi sono molto molto triste.
Pensami, biscia del cielo dentro il fuoco d’agosto.
Lei mi rispose con un altro telegramma. Era circa una poesia che diceva:
Fra tanti che potevo aspettare
mi sei capitato proprio te
che non finisci mai di taroccare,
Ti sparerei con il fucile.
Ahimè!
Domattina vengo a Bologna.
Firmato: Mollina.
Se poteva diventare una cosa seria? No, mai!… Era un amore di anni freschi, come si può dire. Lei veniva a Bologna due volte la settimana… Oh, ma questo l’ho già detto… Per cantare… anche questo l’ho già detto… ah!, anche perché andava a lezione di danza in via Farini… Ballava sulle punte… Si può dire che la sua carriera d’artista era già cominciata… Su questo mi sembrava molto decisa. Diceva: “Farò la ballerina, la cantante, passeggerò sul filo, danzerò ai quattro venti, diventerò famosa anche in Russia e in Australia”… “Perché in Russia?” le chiedevo… “Perché la Russia è la patria della danza” rispondeva.
Un giorno, verso sera, la vidi passare per piazza Santo Stefano sottobraccio a un ragazzotto… Costui era duro e denso, sembrava un muratore. Seppi poi che studiava, invece, da ballerino… Mi avvicinai e le dissi: “Adesso ci sono io… vieni con. me”. Lei mi rispose: “Un corno”… Trasportato da grande ira e da grande disperazione, sul momento, cominciai a picchiarla, povera Mollina… Quando mi sono pentito, poi… Le davo sberle, non botte. E mica la picchiavo in faccia… la picchiavo sulle spalle… Non volevo farle male… Lei mi guardava con odio e ad ogni colpo sibilava: “Poi me la paghi, bastardo… poi me la paghi; poetastro ghibellino”.
La sera stessa le mandai per espresso una poesia che diceva… non me la ricordo più… ah, no, aspettate… diceva:
Cara Mollina
Mi sono tagliata la mano
che stamattina ti ha picchiata.
E stasera sono dolce come l’acqua alta del mare
sotto la luna d’agosto.
Ti chiedo scusa, mia adorata.
Mi rispose con una cartolina postale:
Brutto cretino
neanche ti conosco.
Altro che luna di agosto
sei appena un fanale di San Marino.
Firmato: Rutelli Imola, celibe.
Celibe! e voleva dir nubile. Senza più uomini, cioè senza più me.
Non l’ho più rivista. Telefonai a casa sua e mi risposero: “La signorina Rutelli fa dire che è partita per lavoro di danza”.
Il suo destino era segnato fin da allora… Ballare sulle punte, cantare, essere incostante in amore, avere piccole ma precise vanità e molto desiderio di gloria… tutto era già segnato, per lei.
Sono stato contento che abbia avuto successo… E adesso mi dite che è tornata… Per restare? Bene, comunque… E allora voglio dedicarle questa breve poesia improvvisata… Sono pochi versi che dicono:
A Mollina che è tornata
per una giornata o per sempre.
Un amico di anni lontani
le manda un saluto e un ricordo
e le bacia le mani.
Il mio nome non lo dico, non è affatto necessario.
E il tempo della nostra amicizia
è indicato per sempre sul calendario.
A questo punto non mi sembra di dovere aggiungere altro.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: testi teatrali
- Testata: Testo per lo spettacolo “La Tombola” del “Teatro della Valdoca”
- Editore: inedito
- Anno di pubblicazione: 1981