Roberto Roversi, poeta. Intellettuali: chi, dove e come

Zizzi: Da qualche mese lei ha ripreso la pubblicazione della rivista letteraria “Rendiconti” dopo un’interruzione di diciassette anni. Gli scrittori oggi considerando la ricchissima produzione di carta stampata, di cosa si devono occupare oltre che della creazione?

Roversi: I giovani che scrivono, per lo più identificano la distribuzione delle proprie comunicazioni nei canali ufficiali; cioè un libro di poesie viene spedito a Mondadori, a Einaudi, al critico Luzi, a Zanzotto. Quando decidono in modo susseguente alle prime delusioni, secondo il mio parere, di pubblicare in proprio, loro pensano di mandare per posta a questo o a quello il loro libretto indirizzandolo in alcuni luoghi deputati, di avere esaurito il loro impegno. Hanno una sostanziale disapplicazione teorica in riferimento al problema della comunicazione in quanto tale. Non sanno quale enorme tempesta di carta stampata ci giri sopra la testa, in questo momento. Questa quantità di materiale (scritto) si agita e si muove in un situazione culturale che è ottocentesca. Non depreco il fatto che ci sia tanta scrittura in alto sopra le nostre teste, ma che in basso, cioè nella nostra società, non ci sia un’organizzazione aggiornata a recepire e a distribuire queste quantità di comunicazione, e per questo è destinata a bloccarsi.

 

Teresio: Perché succede questo?

Posso dare dal mio punto di vista una risposta poco sociologica e un pochettino sentimentale-culturale. La nostra società letteraria è ancora attestata su parametri che definirei petrarcheschi. Ritiene la letteratura una comunicazione privilegiata che riguarda solamente i grandi, coloro che primeggiano, mentre nello stesso tempo irride l’altro tipo di poesia e di scrittura che non riesce ad affermarsi a quel livello. Perciò, anche nella nostra storia letteraria vediamo ad esempio che i satirici, gli ironici, gli umoristi sono tutti relegati ai margini, fuori dei circuiti editoriali e dei riconoscimenti ufficiali dei nostri critici.

Di tanti importantissimi poeti del ’500 e del ’600 non ci sono edizioni disponibili, bisogna reperirle in vecchie edizioni dell’800 in biblioteche o in alcune antologie scolastiche ben fatte, che alle volte riproducono un sonetto oppure un componimento. Quindi, viene riconosciuto il diritto di esistere solamente ai grandi, e i poveracci, cosiddetti minori, vengono tenuti ai margini o addirittura scartati, si ha la valutazione immediata della situazione organizzativa della nostra cultura.

 

Zizzi: In questo non hanno una responsabilità gli artisti nella loro incapacità di aggregarsi, oggi?

La responsabilità è di tutti. Quindi anche all’interno degli operatori letterari, che non si sono mai impegnati a proporre questo problema come determinante.

Già negli anni ’60, nel momento violento della contestazione, decisi, riconoscendo una situazione drammatica che era in atto, di venire fuori dalle istituzioni ufficiali.

Io ho pubblicato con Mondadori, Feltrinelli, Einaudi. Era il momento di scegliere se star dentro, e quindi di adattarsi ad accettare una serie di regole, oppure uscirne in modo deliberato. Le regole alle quali avrei dovuto adempiere non mi soddisfacevano affatto, non appartenevano al mio modo di ragionare, ne uscii. In quel momento cominciai assieme ad altri a impegnarmi direttamente su questo problema, partendo dalla grossa novità degli anni ’60: la fondazione del “Manifesto” ed altri giornali politici di allora. Questi proponevano già la soluzione di un aspetto determinante del problema, cioè la gestione della propria comunicazione, che veniva sottratta agli obblighi ufficiali e tradizionali per essere assegnata a chi a queste comunicazione faceva capo, a chi voleva che queste potessero continuare, cioè ò lettore e a chi faceva giornale, e allora gestione diretta.

In quel momento non fu altrettanto chiaro che mentre si risolveva il problema della comunicazione, veniva disatteso come problema secondario, ma per me importante, la gestione della distribuzione delle comunicazioni. Questo ha portato a una serie di ingorghi e di contraddizioni, fino ad annullare completamente quella parte di autonomia che si era ottenuta nel corso delle lotte studentesche, operaie, politiche, degli anni ’60 e ’70.

 

Zizzi: Lei però viene da più lontano, cioè dagli anni ’50, com’era la realtà di allora?

Era una situazione completamente diversa, in equivoca ascesa. Cioè, c’era tutta una serie di riferimenti a venire che sembravano abbastanza immediati, se pur da conquistare con difficoltà, interruzioni, errori, ecc.

La nostra situazione era piuttosto di tensione in avanti, pur mantenendo sempre quel minimo di autonomia. “Il Mulino”, ad esempio, che nasceva contemporaneamente, fece un’altra scelta; era fatto con persone giovani, di grande talento, ma subito si appoggiò alle istituzioni, potendo così ottenere quegli appoggi politici che gli consentirono poi di svilupparsi.

Con “Officina”, che facemmo allora, si tentò in una forma abbastanza convinta ma non così rigorosamente precisata come si farà poi con “Rendiconti” che seguì dopo, di operare nella direzione dell’autonomia e della sottrazione della propria comunicazione ad ogni tipo di rapporto ufficiale. Infatti, sia l’una che l’altra rivista non hanno mai avuto una riga di pubblicità.

 

Zizzi: Qual era la forma di finanziamento adottata?

Ce la toglievamo dalla bocca, anzi me la toglievo dalla bocca io perché era un’operazione che non poteva andare avanti se non in questa direzione. Si poteva anche se con grosse difficoltà perché le spese erano ancora accettabili.

Quando, appunto a metà egli anni ’60, decisi di uscire, io avevo pronta una raccolta di poesie “La descrizione in atto” che decisi di ciclostilare in proprio e di distribuire gratuitamente, quasi 5.000 copie nel corso di alcuni anni. Me la chiedevano e io spedivo.

 

Zizzi: Sempre in forma di ciclostile?

Sì, ben chiaro e leggibile.

 

Teresio: La distribuzione gratuita porta a una maggiore popolarità?

Non lo so. Forse un po’ di più. Le 5.000 copie furono anche un po’ avviate da un articolo comparso su “Paese Sera” e da un altro sull’“Espresso”. Non so quanti di questi lettori furono suggestionati dal fatto che il testo veniva distribuito gratuitamente, o l’avessero richiesto per curiosità, per poi non leggerlo, o quanti l’abbiano letto veramente.

Questa distribuzione l’ho potuta fare perché, in ciclostile, una risma di carta costava quattrocento lire, un barattolo d’inchiostro mi pare cinquecentottanta lire, spedire costava trentadue lire. Potevo spedire come libreria, quindi con tariffa ridotta.

Dovessi farlo adesso, come spese, non riuscirei nemmeno più a trovare carta per ciclostile poiché superato come strumento di riproduzione. Oggi ci sono strumenti molto più costosi (ci vogliono milioni), la spedizione ora verrebbe a costare 1.750 lire. Quindi, porterebbe tutta l’operazione a costi tali che converrebbe piuttosto stampare.

 

Teresio: La veste grafica tradizionale, in forma di rivista o di libro, è ancora efficace considerando che ci si rivolge anche alle nuove generazioni?

C’è un trapasso, sicuramente, nell’ambito della comunicazione. Il problema nasce dal fatto che i giovani hanno una formazione di lettura e di visione completamente condizionata dall’immagine. I giovani non leggono meno, per esempio “Dylan Dog”, che è un fumetto che vende 900.000 copie ogni settimana (e non si può dire che sia scherzoso o divertente), è pieno di sostanza, va letto con una certa attenzione, è molto problematico seppur discutibilissimo.

Il libro, la pagina tradizionale, la pagina stampata, non è più così coinvolgente rispetto all’attenzione del giovane che si stanca facilmente, che ha bisogno dell’immagine, del segno colorato, di emozioni visive. Questo è dovuto sia all’educazione televisiva, e poi perché tutta la città è sempre colorata nei suoi messaggi, i tabelloni, le pubblicità, tutto è fortemente colorato e condizionante. Perciò il giovane recepisce la comunicazione prevalentemente in quella direzione.

 

Teresio: Una rivista come “Rendiconti” si pone l’obiettivo di arrivare anche ai giovani?

No. Di arrivare ai giovani è un problema che non mi sono posto, cioè di arrivare prevalentemente a loro. Mi sono posto di arrivare, con qualche fischio sparso nel bosco, a personaggi che sono qua e là, essi stessi sono disperati, e di cercare di radunare qualcheduno che abbia bisogno di assemblarsi con gli altri.

Quindi, il pubblico iniziale di questi primi numeri è un po’ indeterminato. Può essere anche giovane, misteriosamente interessato a questa sorta di problematica.

 

Zizzi: Da un lato lei dice che le forme di comunicazione sono cambiate, la pagina tradizionale anche non è più tanto efficace. Dall’altra, però, ripropone una rivista completamente tradizionale…

Perché non so fare altro, esplicitando tutti i miei limiti, quindi la mia debolezza. Sapessi ben disegnare farei fumetti, userei anch’io questi mezzi. Mi sono anche interessato alla realtà virtuale, senza lasciarmi travolgere, cercando di rapportarla alla letteratura e alla poesia (che sono sempre stati campi un po’ chiusi), alla tecnologia, senza cedere nulla.

 

Teresio: Esistono, a livello di fumetto, riviste quali il “Grandevetro”, “Città d’Utopia”, “Rendiconti”?

Non conosco una pubblicazione di questo genere anche se sarebbe interessante. Nei primi fascicoli di “Rendiconti”, usciti negli anni ’60, volevo fare con Forti, maestro del fumetto (che insegna all’università di Bologna e che scrive anche sul “Manifesto”), la critica letteraria attraverso i fumetti. Mi parrebbe davvero interessante se ci fosse, in questo senso, qualcuno disposto a lavorare con me.

 

Zizzi: Non pensa che si dovrebbe tornare, nel campo della scrittura e della comunicazione, a un atteggiamento di maggior verità parlando soltanto di ciò che realmente si conosce e che si è andati a verificare, al contrario della comunicazione borghese, che parla ormai soltanto per dispacci d’agenzia, o per sentito dire?

Questo è anche vero; solo io redo che in questo momento, proprio perché tutto è in movimento, sia quasi impossibile riuscire a fare, come è stato fatto in tempi passati, delle enciclopedie che fissino la situazione della cultura e della scienza in un certo periodo storico, con la certezza di una durata decennale. Risulta anche impossibile essere medico, avvocato, scrittore proprio perché la realtà si mescola vorticosamente con le cose; quindi, a meno che non si vogliano chiuder nevroticamente le finestre guardando soltanto al proprio cuore, è necessario per un poeta non solo scrivere, ma prestare attenzione a tutti i problemi della società.

 

Zizzi: Un’azione di verità, dunque, non solo nella produzione artistico-letteraria, ma comportamentale…

Penso anch’io questo. La verità e la fruizione di un artista è determinata dal suo modo di essere al mondo, nella società.

 

Zizzi: Bene, la realtà è complessa. E a Bologna?

Anche Bologna è una realtà estremamente complessa. Se noi siamo senza curiosità, percepiamo la verità del nostro essere nel sociale soltanto in modo parziale. Per quale ragione? Bologna, ad esempio, ha una città del centro storico con una struttura, organizzazione, cultura ed amministrazione, e poi ha una terrificante, enorme periferia, dimenticata e non vista.

 

Teresio: Ho sempre seguito il suo percorso già da quando è partito con “Caccia all’uomo”, “Diecimila cavalli”. Con la sua poesia e letteratura lei ha proseguito in concomitanza con quello che accadeva…

Partendo da concetti marxiani, per me tutt’ora validi, uno dei quali di estrema semplicità e ovvietà (e per me di estrema importanza attuale e futura, che stabiliva che la ricchezza degli uni è fatta sulla povertà e sulle spalle degli altri), se c’è una ricchezza determinante che non abbia un rapporto con una vincita al lotto, va immediatamente verificata perché è stata sicuramente sottratta. Questo nostro impressionante e ossessivo e volgare arricchimento nel corso degli ultimi venticinque anni dell’Occidente, va a scapito (ce lo diceva non solamente la sinistra), ma anche i cattolici del dissenso, del Terzo Mondo e dell’America latina, portando agli sfaceli attuali. Quindi l’attenzione a questi problemi non è solo dovuta, bensì naturale perché non si appaga di vivere in una società come l’attuale, competitiva dell’americanismo più sfrontato e più volgare, riportando il vivere sociale alla foresta, dove il più forte prevale e il più debole viene azzannato e lasciato morire.

 

Teresio: È sgomentante, siamo arrivati al livello di vero e proprio cannibalismo.

Certo, questa società, così com’è divenuta, è la più ignobile nella quale ci è dato di vivere nel corso degli ultimi cinque-seicento anni. Ci sono state in passato aggressioni di uomini verso altri uomini, di stati ad altri stati, ma mai così globalmente ossessive e generalizzate. Ormai ci viene prospettato come solo modo di vivere possibile.

 

Teresio: Ormai non è più un degrado soltanto locale, ma planetario…

Arricchiamo, succhiando e degradando la terra ma anche l’altro che ci sta vicino, sopraffacendolo, riducendolo nella miseria e nella desolazione, nella tristezza e nella morte.

Questo modo di vivere produce una violentissima emarginazione e separazione per cui sopra vivono solamente i forti.

 

Teresio: Stiamo entrando in quella che già negli anni ’70 si chiamava incomunicabilità. A che punto siamo oggi?

L’incomunicabilità è generalizzata, anche se sembra che il mondo si trovi in un momento di massima comunicabilità, di massima informazione, ma a mio modo di vedere questo è più pericoloso dell’informazione censurata perché mentre l’informazione scritta, cancellata col pennarello nero che stava a indicare ciò che non potevi dire, ti permetteva di identificare il punto della censura, quindi avevi con essa un rapporto preciso, ora ti è detto tutto di tutti, non c’è più una censura sostanziale, e questo crea un tale ingorgo di informazioni che non si riesce più nemmeno a selezionare le proprie emozioni.

 

Zizzi: Non si riesce più nemmeno a formarsi eticamente.

Non si ha nemmeno tempo di immagazzinare razionalmente quel che ci viene detto.

 

Zizzi: Non c’è tensione.

E non c’è il tempo, perché tutto viene sopraffatto da altre informazioni che ti sommergono. La sola salvezza, a livello personale, è di produrre una propria censura.

 

Zizzi: Una sorta di auto-censura come un nuovo codice espressivo…

Non leggere più tanto, ascoltare sempre meno, selezionare.

 

Teresio: Bisogna inventarsi tutti i giorni un proprio momento di autodifesa intellettuale, salvaguardare la propria integrità mentale.

Prendiamo, ad esempio, un grande quotidiano italiano quale “Repubblica”: leggerlo è estremamente pericoloso, è talmente pieno di contraddizioni, di agglutinamenti informativi, che se non hai altri strumenti che ti consentono di decodificare l’informazione, sei totalmente alla sua mercé. Una lettura di questo genere andrebbe corretta con altre cose; siccome non si possono leggere cinquanta quotidiani al giorno, bisogna selezionare determinati giornalisti cui si assegna una certa fiducia.

 

Teresio: Questo vale anche per i libri?

Per i libri pubblicati dalla grande editoria ufficiale il problema non si pone. Ma c’è una grande quantità di opere pubblicate dall’editoria minore, spesso, prevalentemente, a livello saggistico, storico o filosofico, interessantissime e spesso è difficile procurarsele.

Ad esempio, un anno e mezzo fa circa, a Catania o Agrigento non ricordo bene, è stato pubblicato un libro su Elio Vittorini, della sorella, da una piccola casa editrice. Sono riuscito ad averlo dopo nove mesi.

Per dare una conferma delle contraddizioni in atto parlo della mia libreria “Antiquaria”. Non è una libreria di libri antichi ma di testi esauriti o no dell’800 e del ’900 (libreria di R. Roversi, via de’ Poeti n. 4, 40124 Bologna, agibile da chiunque, a cui ci si può rivolgere per ottenere il catalogo dei libri).

Lavoriamo prevalentemente con un catalogo che distribuiamo, molte copie del quale vanno all’estero, a studiosi, giapponesi, canadesi, americani… Avevamo l’abitudine di inserire un gruppo di opere nuove da offrire. Da qualche tempo ciò non può essere fatto perché non raggiungiamo il fatturato annuo richiesto dalle grandi case editrici, che ci consentirebbe di essere incorporati nella loro contabilità computerizzata. Se abbiamo bisogno di un testo, dobbiamo rivolgerci all’attigua libreria Minerva che lo ordina per conto nostro.

Altri piccoli librai sono in difficoltà per problemi di aggiornamento, perché la grossa distribuzione ha regole rigorosissime, e arriva dove ne ha la convenienza; e perciò tu, piccolino, sei fuori dal loro giro, non interessi.

 

 

Il Grandevetro. Bimestrale di politica e cultura, 1993.

Informazioni aggiuntive

  • Autore: Teresio Zaninetti e Roberto Zizzi
  • Tipologia di testo: intervista
  • Testata: Il Grandevetro. Bimestrale di politica e cultura
  • Anno di pubblicazione: 1993
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