E lì resta senza spegnersi

Alcune considerazioni dietro sollecitazione di questo librone che raccoglie l’opera in versi di Giorgio Caproni in ben 1996 pagine complessive, di cui 825 solo per l’apparato critico. Nella stessa collana de “I meridiani” dell’editore Mondadori – mausoleo selettivo e autorevole di scrittori e poeti antichi e moderni – ho voluto per scrupolo riscontrare un paio di volumi fra quelli che avevo subito a portata di mano.

Virgilio, con l’Eneide, ha 916 pagine complessive fra le quali 225 di commento; Rimbaud, Opere (con traduzione a fronte), ha 907 pagine fra cui 118 di introduzione e note; Goethe, Faust I e II, ha 1138 pagine fra cui 77 di note. Mi chiedo allora con sorpresa ma senza ironia, come mai Caproni sia stato travolto da una micidiale slavina annotatoria di tale dimensione, lui così severo nella sua affascinante semplicità; lui così cauto rigoroso e asciutto. E mi concedo questa motivata ma del tutto personale risposta, sia pure sommaria.

Le istituzioni universitarie gestiscono ormai, quasi in regime di monopolio, le fabbriche in cui si lavora criticamente (professori e, giustamente, allievi) sui testi letterari del Novecento (un tempo neanche troppo lontano poco frequentati, a parte il solito gruppetto di autori stranoti), arrivando per necessità di auto-alimentazione testuale fino alle opere degli ultimi cinquant’anni. Questo, perché sono scarsi e dispersi i critici letterari di prima linea – quelli che combattono con convinzione e partecipazione sul campo e a ogni scontro-incontro, dopo avere ferito, escono essi stessi feriti; compagni quasi viscerali e impagabili di strada, di polvere, di avventura.

Ripeto, le faccende della poesia, nello specifico, sono gestione quasi unica di quelle mani autorevoli; le quali hanno la necessità di reperire cadaveri, tanto meglio se eccellenti, per le pressanti esercitazioni e investigazioni di anatomia critico-letteraria, indispensabili al regolare corso delle lezioni e al prestigio delle stesse istituzioni.

Capita che in siffatto regime di monopolio, si perde talvolta il controllo delle buone maniere e delle rispettose caute affermazioni. Per esempio: come posso valutare l’affermazione, ad apertura di libro, che Caproni sia tra i massimi e più originali poeti del dopo-Montale? Intanto, e subito, quale concilio ecumenico ha stabilito per dogma che Montale debba essere il bivio unico e inevitabile per garantire e smistare il percorso della nostra ultima poesia? E quale spessore critico vincolante devo assegnare al termine “massimo”? È detto, ripeto, tra i massimi; quindi devo intendere che altri a quella altezza partecipino dello stesso fulgore, dato che tutti i vocabolari riscontrati, enunciano per spiegare il termine: grandissimo, sommo, estremo, principalissimo, il più grande. Vivremmo dunque in un fortunato e benefico momento della poesia, come al tempo di Pericle in Grecia. Ora, in un momento come questo, decisamente sboccato e traboccante senza misura, approssimato ed esasperato, è forse troppo richiedere dai centri culturali severi, che hanno il dovere di servire d’esempio, annotazioni critiche meno totalizzanti?

Liberato dalle oppressioni eccessive – come incrostazioni intorno a un sasso ripescato o a una conchiglia di mare – poco rispettose della sua riservatezza esemplare, Caproni dovrebbe ritrovarsi nella sua cella quasi conventuale, lui che a me sembra alle volte l’unico Alfonso de’ Liguori del nostro tempo – il grande prete poeta che faceva cantare i morenti con la poesia.

Mi serve un rapido ricordo personale. L’avevo pur letto ma l’ho incontrato più tardi, due volte, fra altri, al tempo di “Officina” (anni ’55-’56). Lo puntai con interesse, perché non parlava, come ritratto in sé con cautela, non per difesa ma credevo di capire per concentrarsi meglio, tutto intero; per non lasciare andare niente disperso di ciò che lo circondava: parole, voci, suoni, luci, concetti. Gli occhi intensi e sempre fissi a qualcosa, sembravano una lingua che ogni tanto si avventasse senza violenza ma precisa ad afferrare una parola, un gesto, un’argomentazione concisa per cibarsene poi. Appariva minuto e integro, vibrante dentro una riservatezza di forte misurato rigore, ma quasi affettuosa, con dentro una istintiva gaiezza (briciole di lucente ironia).

Riscontro, per entrare nel merito delle sue poesie, che è prevalente nei primi testi (anni ’32-’35) una intitolazione temporale: Alba; Ricordo; Vento di prima estate; Vespro; Primaluce; Spiaggia di sera; Fine di giorno; Sera di Maremma – un guardare a fondo, graffiando il tempo con il sentimento. Poi nelle successive raccolte entrano immagini o ritratti di donne in tenerissime pose di luce, mescolati ancora a scorrere di notti e di giorni e volgere più ampio di stagioni quasi fossero fiati su un vetro lucente, e spazi aperti su città che si muovono ed entrano: Udine, Pisa, Roma, Assisi e, sempre, la sovrana Genova. Con i Sonetti dell’anniversario (1942) il registro metrico a me sembra simile al respiro di uno che sale e porta addosso un peso e tuttavia si lamenta con cautela, resistendo in sé; il discorso si agglutina quasi attorcigliandosi intorno a un tronco e si fa più denso; l’occhio che scruta si fissa su pochi punti e da lì non trascende. Mi avvicina al magistrale ritmo interiore di Campana: “Poco più su d’adolescenza ahi mite / fidanzata così completamente morta. / Sulle compagini sfinite…”; “Oh fu / anche il tuo nome una paglia in estate / strinata fra i papaveri”; “Brucerà dalla bocca dei cavalli / rossi di fuga l’alito rovente / delle sere che accendono le valli”. C’è molto lume di sera, dentro a questo gruppo di testi concentrato sapiente (in qualche modo solenne, direi) e donne severe, quasi contrite; e la terra tenuta presente in attesa di ricevere drammatiche offerte. Un altro trapasso ancora, ma non un rovesciamento; anzi un proseguimento, come a buttarsi di proposito dentro una caverna, con i testi de Gli anni tedeschi,le poesie degli anni bui a cui una voce – si può dire una luce – vera l’ha data anche Caproni.

Il suo lavoro accanito e di scavo, in seguito, proseguirà secondo il rigore di sentimenti sempre più sottilmente individuati e precisati, nel sobbalzo di contrastanti vicende speculative ed esistenziali, restringendosi magari nel ferreo delirio di poesie di quattro versi (che tanti degustano e mandano a memoria, ignari che c’è un veleno di sottilissima alchimia sotteso fra le parole).

È proprio ricollegandomi a Gli anni tedeschi che mi domando e poi mi spiego come mai Caproni (estensore, soprattutto dopo, di una micidiale combinazione di testi brevi – poesia di quattro versi, di cui cantava anche Sandro Penna – accentrati su pochi e calcolatissimi elementi esistenziali e riflessivi, orafo di un parlato essenziale dispensatore di brividi), ripeto, come mai Caproni ci abbia consegnato, in una prosa di straordinaria asciutta precisione, un capolavoro letterario sulla Resistenza italiana, le ventotto pagine de Il labirinto. Ancora più alte del giocoso profondo epicismo di Fenoglio, che però sembra a me attestato in mezzo a un fiume turbolento, con le mani che scrivono appoggiate alle due rive contrapposte, indecise quale nella scrittura debba prevalere.

Caproni è uno che cammina, in fila, sul bordo di una montagna alta e guarda giù carpendo voce passi respiri dagli uomini che sono dentro a un faticoso destino, impegnati in un faticoso lavoro; inoltre consegnandoci l’unica figura di donna combattente co-protagonista ambigua tormentosa e drammatica. Lui è dentro al terrore universale, inesorabile, perciò scava con le mani delle parole per guardare gli altri, per guardare se stesso e per capire le ragioni e le occasioni di una speranza in mezzo al mondo che brucia. Questo lucido filo luminoso ci conforta anche con le sue pagine seguenti, fino alle postume di Res amissa. E lì resta, senza spegnersi.

 

 

 

Alias, supplemento a “il manifesto”, 4 luglio 1998.

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: Alias, supplemento a “il manifesto”
  • Anno di pubblicazione: 4 luglio 1998
Letto 7680 volte Ultima modifica il Mercoledì, 13 Marzo 2013 10:55