La macchina da guerra più formidabile. Testo per il teatro (1970)
Testo per il teatro [1970]
Nota del 1970
Quella di «macchina da guerra più formidabile» fu (è) la definizione data dal De Sanctis all’impresa dell’Encyclopédie di Diderot (1772), ventotto volumi in folio, di cui undici di tavole; un lavoro fantastico e un risultato fantastico, vale a dire: un autentico terremoto. Ebbene questo testo cerca di cogliere il lavoro di Diderot (Did), di Voltaire (Volty), di d’Alembert (Dal), di Rousseau (Roos) in una dimensione temporalmente disarticolata dissociata molto mescolata; dato che da allora troppo tempo non è passato e ci può essere (come deve esserci) uno scambio continuo di riferimenti e ammicchi, addirittura la possibilità (lecita) di interferire.
Allora (1772), adesso (1970); e dentro, inzeppate in un sacco, altre faccende accadute nel contempo, altre che accadono, altre che possono accadere se non provvediamo: Passanante e il suo coltello, Bresci e la sua rivoltella, l’assassinio in carcere di Bresci, Bava il beccaio di Milano e via via per i viali del secolo XIX fino alle ultime sconcezze. Tutto è esemplificato con concentrazione (tale e quale nel Crack) e con voluta e calcolata ovvietà (tale e quale nel Crack), in quanto proprio l’ovvietà in teatro, quella tale ovvietà, a mio parere altro non è che un dato spesso fulminante e quasi sempre una provocazione inevitabile quando si ha il coraggio delle idee; e qualche volta perfino una provocazione che travolge (è chiaro che si parla in generale). Il vero errore, e il vero orrore, è di tipicizzare sentimenti e facce per la falsa coscienza dei reggitori mondani; indossare i calzoni di scena come un rito e avviare il sacrosanto birignao; che può essere per la madama, ma c’è anche il birignao dell’impegno e della guerra nel Vietnam.
Chi ricorda più il Biafra? Dicevo: tutto è esemplificato con concentrazione ma con altrettanta semplicità; sicché le cose da dire e da dirsi (tutte quelle che si volevano dire) dovrebbero essere «subito» chiare a un tipo di lettore (che è quello che si cerca) e dovrebbero «subito» apparire torbide-nauseanti per l’altro tipo di lettore, eccellentissimo, che si vuole nauseare e provocare perché se ne vada al diavolo o almeno ci ignori; sicché un egregio Mico da Siena possa magari parlare di sbobba, dandone il più giusto e dovuto rilievo politico (tale è la sbobba, rifiutandosi perfino il cibo, della stramaledetta naia!). Così si voleva e perché non ci sia alcun equivoco, di qua e di là. Se fare teatro, dunque, è secondo i miei propositi trascinare l’ovvietà in piazza e lasciarla riempire di significati; è anche questo tracciare una linea rossa diritta per terra, inchiodare insieme agli altri le travi e le assi, e a seconda delle circostanze serrare la porta della stalla o della stanza (buco pertugio rimessa o luogo pubblico dato agli spettacoli diurni) con qualche chiodo perché non entrino spifferi a spegnere il lume; altro che accontentare tutti, riempire gli stadi, lo scroscio degli applausi, il consenso delle lustrissime gazzette in questo paese che cambia, sempre, poco o niente nella sostanza.
L’estensore di questo testo ha voluto proporre ancora una argomentazione (con qualche piccola invenzione, qualche arbitrio personale; ma, spera, almeno rigorosi nei termini); e se questa bozza argomentata potesse venire intesa come una lettura odierna di terribili cose che accadono e di alcune violente speranze che soffiano sul fuoco e fanno accapponare la pelle; insomma, se il testo potesse valere proprio per quel che dice e soltanto per questo (e se non ci sarà alcun parrucchino in giro o calzamaglia o arietta di Verdi) chi scrive avrebbe raggiunto lo scopo e per una volta si dichiarerebbe almeno rassicurato nei fini ottenuti.
R. R.
Elenco dei personaggi
– Prologo
– Sellius
– Millius
– Breton (Le Breton)
– Did (Diderot)
– Sofia (Sophie Volland)
– D’Agnesseau
– Volty (Voltaire)
– Roos (Rousseau)
– Dal (d’Alembert)
– Provocatore
– D’Holbach
– Madame d’Aine
– Il commissario Perrault
– Il curato di Saint-Médard
– Gente per strada
– Straccioni
– Scherano capo
– Abate De Predes
– Sindaco della Facoltà
(Sorbona)
– Gran Maestro degli Studi
– Presidente di Tesi
– Belbuch
– Zeombuch
– Cacouacs
Parte prima: leggi violenza
I. La premessa o prologo è di uno che si inchina (un poco) tutto infiorato, un hippy del settecento. Egli dice così:
Perché questa rappresentazione di cose accadute
di cose da accadere
perché questa rappresentazione sia specificata
dall’a alla zeta
[5] lui è tedesco lui è inglese
a Parigi in un anno
nella Francia rossa gialla d’autunno
e tutta dipinta di nuovo
regna un tale re;
[10] lui è tedesco lui è inglese
propongono un codice (nuovo) dell’idee
concatenazione di tutto
circolo istituzione scienza conoscenza
archetipo del mondo
[15] che è prossimo anche a venire
con bombe le pistole fucili
con teste (molte) che cascano nei barili.
Tale idea e progetto d’idea espongono propongono a un galante uomo riverito ossequiato concupito applaudito avveduto molto rispettato
lui tedesco Sellius
[20] lui inglese Millius
chi ha l’oro è Breton.
II. Due scene simultanee. Da una parte (A) c’è una specie di bastonatura, rituale della sopraffazione (piccola e gustosa guerra, assai violenta nei gesti, mentre il discorso è rivolto all’ironia acida, a un riso stretto fra i denti). Dall’altra parte (B) Did e Sofia, aria arietta d’amore, o d’amorosi sensi; come a dire (e si può immaginare) un giardino, verde; il ruscello, azzurro; stormire di fronde, verdi; canto di rosignolo, azzurro.
(A)
Le Breton (che bastona con vigore e una certa allegria, ma ben deciso in ciò):
Questo modo è consentito
è decoroso anche è un modo movimentato
di volere e poi di accettare un compenso
fifthy-fifthy fra il dare e l’avere.
[5] Mondo cane non direte che
non ci sia onestà
un po’ di ironia e liberalità
che non fa mai male in tutto questo.
Intendo nell’atto della bastonatura.
[10] La vostra idea non ha prezzo, certamente;
perché pagarla allora?
Millius:
Io me ne intendo
venti luigi a testa si dovrebbe dare almeno come compenso
un’idea è un’idea.
Sellius:
[15] Almeno scudi cento (aggiungo)
cento scudi
cento
per questa idea che non si vede ma scotta.
Millius:
Perora, su perora, dài.
Le Breton:
[20] Il bastone vi compensa (e il bastone vi compensi)
del mancato guadagno
egli poi vi rende ben disposti e disponibili
per avventure future. Per il futuro.
Infatti perché i giovani devono impigrirsi
[25] con il peso dell’oro?
e sedere in cadrega?
Essi che sono giovani volare debbono
via andare
andare tornare (eh! oh!)
[30] cercare ricercare scalpitare impegnarsi
senza la nausea che dà la sazietà.
Il peso del benessere lasciatelo
ai vecchi
un peso insopportabile
[35] e quell’angoscia che il benessere dà.
Io, così, vi aiuto a guarire. E poi!
e poi, ah!, dissacriamo, fra di noi, magari fra le quattro mura,
sul davanzale di una sola finestra, una volta per
tutte, con la violenza, questa
[40] volontà di prevaricare.
Le idee che sono opera di dio
a dio ritornano, così, in letizia. Necessariamente.
(B)
Did a Sofia (seduti vicini):
Mi trovano accigliato, stanco, pensieroso, disattento, distratto.
Mi trovano così.
[45] Non un essere che mi attragga.
Mai una parola che mi interessi.
Una indifferenza uno sdegno
che non conosce eccezioni.
Amica mia parlatemi di voi
[50] parlatemi della vostra cara sorella.
È perché voi partite.
Cara Sofia.
Ho passato i primi giorni morto rinchiuso:
non stavo abbastanza bene per essere espansivo.
[55] Non potrò mai costringere questo
cuore a tacere
sempre trasalisce e si scalda
al nome della mia Sofia.
Non conoscete forse la provincia quanto me?
[60] Perché ritornarci e partire?
e quell’aria di provincia…
Con tutti…
Lontano da voi jo moro cara.
III. Sellius e Millius, soli e doloranti per strada.
Millius:
Lo uccido
Sellius:
Non l’ucciderai.
Non si uccide dopo non aver ucciso.
Le abbiamo prese con quella tal pazienza che ci vuole.
[5] Diciamo la verità: Breton ci ha sorpreso.
Millius:
Lo denuncerò.
Sellius:
Figurati, per dei colpi di bastone.
I ricchi danno soltanto questo e
seminano i cadaveri
[10] ogni notte per i quattro cantoni. Quelle son le cose.
Ma la giustizia (che è di parte)
si è sempre legata al potere
per le soluzioni finali.
E parli di denunciare. Hai mai trovato un funzionario disposto
[a far giustizia?
[15] Da una mano la sapienza (condita)
dall’altra la potenza
(un vaso pieno di grana)
e il giudice che mangia piscia fotte
è pur sempre un uomo
[20] nonostante l’aria che ha da gallo sacro.
Guardagli l’occhietto cisposo
e dimmi se non è da ridere
quella bilancia in bilico sul bischero.
Millius:
Qualcosa voglio fare
[25] magari da solo,
cavarmi la voglia
di vendicare un sopruso.
Sellius:
Se non cerchi giustizia ma vuoi vendetta
se intendi agire da solo
[30] qualche probabilità l’hai in questo caso
di cavarti la voglia.
In tale modo e
senza troppi duelli con la legge.
IV. Il cancelliere d’Agnesseau, Did, Volty, Dal e Roos; questi ultimi tre si avvicinano dopo. Rinfresco, cerimonia, salotto, luogo di convenevoli; in lontananza, come sfuocate, ma leggere e brillanti, si scorgono sagome di dame.
D’Agnesseau:
Che giovane simpatico e con quale talento.
Did:
Ho detto che (e poi lo sostengo)
soltanto un secolo filosofico
poteva tentare un’enciclopedia
[5] e l’ho detto perché quest’opera
richiede un’audacia intellettuale superiore
superiore
superiore a quella che generalmente si richiede
(la voce si smorza adagio; egli continua a parlare; poi ricresce)
la citazione esatta delle fonti sarebbe assai utile;
[10] bisognerebbe imporsela come legge
(di nuovo la voce si smorza e poi riprende, come prima)
un’enciclopedia è un’esposizione rapida
e disinteressata delle scoperte umane
fatte in ogni luogo in ogni campo in tutti i secoli
senza alcun giudizio circa le persone.
Volty:
[15] Bisogna saper smembrare abilmente un’opera, condensarla
Roos:
Non bisogna spezzare le giunture ma rilassarle
Dal:
Qualche volta è bene menzionare le cose assurde
D’Agnesseau (a Volty):
Oh, Voltaire, dov’eravate?
Did:
Poiché non è meno importante rendere gli uomini migliori
[20] che renderli meno ignoranti…
V. Did e il cancelliere d’Agnesseau.
D’Agnesseau:
La giustizia ha le sue esigenze
d’altra parte riconosciamo tutti che non ci sono esigenze senza
giustizia.
Did:
Neppure la necessità è senza giustizia.
[5] C’è una giustizia delle necessità
da che mondo è mondo.
D’Agnesseau:
Chi è giovane e dunque chi è piuttosto debole
allora deve avere la pazienza
di diventare vecchio, vecchio e abbastanza forte;
[10] chi è giovane e non ha il potere
(il potere è giustamente tutto nelle mani dei vecchi signori
che hanno le redini del mondo)
chi è giovane e questo potere non ha
deve usare pazienza intelligenza strisciare leccare. Sennò
[che gusto
[15] c’è, a crescere poi e a diventare vecchio?
Ma sa essere prudente in questo senso il giovane?
Astuto come colomba
con quella tenerezza da colomba
perfida lucentezza da colomba
[20] con tutto quel candore da colomba?
Did:
Usare prudenza e intelligenza usare
usare anche un pizzico di paura
chi non è intelligente muore (o chi non è abbastanza vile).
L’intelligenza è un dovere.
[25] Questo non è il secolo dei lumi?
D’Agnesseau:
La giustizia è astuta
non si fa incastrare.
Did:
Essa giustizia, pardon,
incastra.
VI. Did e Sofia.
Did:
Quante volte mi sono alzato
quante volte vi ho detto buona sera alle nove
e non me ne ero ancora partito a mezzanotte.
Non si capisce nulla degli amanti
[5] sembrano non essere fatti
per essere sempre insieme
né per essere separati.
Guardate che cielo
Ho pranzato a casa mia con due uova fresche
[10] sono venuto qui verso le quattro ed ho
trovato il vostro biglietto.
Guardate che cielo
e vi rispondo adesso che non è possibile ad un uomo
(al quale la minima scossa
[15] può far gettare alte grida)
d’imbarcarsi,
per quanto grande sia l’attrazione ch’egli ha
per il viaggio e le viaggiatrici.
Guardate che cielo
[20] Buona sera, amica mia. Vi saluto
e vi abbraccio come ieri, così.
Diffiderò per l’avvenire dell’appetito che dà l’amore.
Buona sera, buona sera.
VII. Le Breton e d’Agnesseau.
Le Breton:
È vero ho picchiato. Ho picchiato
perché questa forza è testimone di alta giustizia
tanto più violenta è la forza
tanto più dolceamara la giustizia. Per i tempi che corrono.
D’Agnesseau:
[5] La giustizia! Sì, la giustizia, la giustizia è
Le Breton:
È la forza dei nervi distesi
D’Agnesseau:
Ordine pre-costituito
Le Breton:
Baluardo dei contrasti
D’Agnesseau:
Una zaffata d’allegria
Le Breton:
[10] È un ordine da costituire così e così quando occorre
D’Agnesseau:
È la giustizia della forza è un’ordinata insolenza
è una giusta camorra –
con la sua faccia di pietra la sua faccia di bronzo ecc.
Badate a questo sillogismo.
Le Breton:
[15] Ci bado, eccome.
D’Agnesseau:
Intendete dunque finanziare e
proseguire l’impresa?
C’è da lasciarci le penne.
Intorno a queste pagine si addensano nubi
[20] si affollano ombre
sopra vi cala (si può ben dirlo)
la collera del re. Tali
collere sono terribili in quanto
provengono da dieu.
Le Breton:
[25] È probabile, ma non sono solo e nemmeno debole. E
dopo aver bastonato ho anche trovato (voi lo sapete
oramai, conoscete i soggetti) ho trovato
i miei nuovi cavalli dai cervelli balzani
ma carichi fino agli occhi
[30] di cose da dire da fare. Giovani da spremere.
Io non mi sbaglio io.
D’Agnesseau:
Ed essi bravi cavalli distillano per avena queste pagine che ora vi leggo. Ho le bozze: paragrafo di venti righe, titolo: ARGENTO: Le più ricche e più abbondanti miniere d’argento sono in America. A poco a poco si fu costretti a scendere nelle viscere dei monti per seguire i filoni; e oggi la profondità è tale che occorrono più di quattrocento gradini per toccare il fondo della miniera. Spesso si trovano vene metalliche da cui emanano vapori così perniciosi che uccidono sul colpo e si è costretti a richiuderle subito e ad abbandonarle. Quasi tutti i minatori dopo un certo periodo di lavoro, sono completamente paralizzati. Il mondo si stupirebbe se sapesse quanti Indiani ci hanno rimesso la vita da quando si sfruttano queste miniere e quanti ne muoiono ancora ogni giorno.
Le Breton:
Già.
VIII. Did e Dal; ci sono anche Volty e Roos.
Dal:
È questo il nostro primo incontro
dopo la morte di vostro padre
e il vostro viaggio in provincia.
Did:
Sì lo è.
Dal:
[5] Vedo la mia tenera amica
vostra sorella e vostro fratello
che ammiro
ora soli in quella grande casa.
Did:
Già; ma è abbastanza accogliente
[10] ed è collocata come sapete
in un posto delizioso.
Dal:
Condoglianze amico per la morte di vostro padre.
Questa assenza ha dovuto rallentare un poco il vostro lavoro.
Did:
È vero. Ma da due mesi ho ben compensato
[15] il tempo perduto, se è perdere il tempo
assicurarsi la propria sorte avvenire.
Dal:
Siete dunque molto avanti?
Did:
Molto avanti. I miei articoli di filosofia sono tutti fatti;
non sono i meno difficili né i più corti;
[20] la maggior parte degli altri è abbozzata.
Dal:
Vedo che è tempo che anch’io mi ci metta.
Did:
Quando vorrete.
Dal:
Sì, non vi posso biasimare. Bisogna che ciascuno pensi a sé.
IX. Did e d’Agnesseau.
D’Agnesseau:
La forza della giustizia, si diceva.
Badate a questo sillogismo.
Did:
Ci bado. Così ho detto e promesso.
D’Agnesseau:
La prigione è l’ultima Thule, è un sacco di rete è
[5] l’incastro di un giuoco
è un jolly per il buon pastore
che raduna le pecore e lo è per
il giudice che mantiene l’ordine. O lo trattiene.
Non parlate?
Did:
[10] Dico solamente che
questa è una giornata deliziosa rispetto al clima
verso sera però fa freddo.
Dunque speriamo di sopravvivere
se dobbiamo lavorare.
D’Agnesseau:
[15] Non sconfinate e vivrete tranquillo.
Il lavoro è lavoro e poi chi ha mai perseguitato un
saggio al tavolino
oppure un filosofo con la penna in mano?
Siete forse fra’ Dolcino?
[20] Si ha rispetto per i dotti da tutte le parti
purché i dotti restino tale e quale i dotti
zitti con la loro pennuccia in mano
o fra le labbra.
Essi sono il pepe per ogni piatto
[25] buoni per l’antipasto e per le polpette del re.
Tutti hanno rispetto per chi
pensa
se pensa bene.
Did:
Non ribatto, ho capito la canzone.
[30] Spero di non stonare.
D’Agnesseau:
Stonare non dovete.
Solo in tempi barbari
si colpisce
il reato di opinione.
[35] Opinare è da tutti.
Ma le note sono sette, sette sono
le note in questi tempi. Attenti agli orecchi indiscreti.
Perché vi sono amico
sappiate che in ogni angolo a salvaguardia della pace c’è
[40] uno spiffero magari travestito da zio.
Addio.
X. Un sestetto parla in simultanea nelle scene A, B, C. Così:
A) Denuncia del curato di Saint-Médard contro Did, inoltrata alla police.
B) Did e Sofia.
C) L’agente provocatore sobilla Millius contro quel tale re.
(A)
Il curato di Saint-Médard è al commissariato di polizia dall’ispettore Perrault.
Il Curato:
Questa denuncia
sia anonima e segreta, pubblica e sottoscritta.
Essa canta e dichiara.
È un’istanza veloce
[5] contro il signor Did, lui soprattutto e anche contro gli amici
che ha e che collaborano con lui.
La giustizia deve intervenire
il governo deve agire
Did lavora a un’opera a stampa
[10] di molta diffusione
e a volumi bimestrali.
Perrault:
A dispense mensili?
Il Curato:
Inietta veleno negli scritti
sub specie di novità di pensiero.
Perrault:
[15] Sentivo questa puzza di una tal novità.
Il Curato:
Inquina disturba diffonde attenta distrugge
insinua veleno nella coppa del re.
Egli è
un perturbatore (sapete?)
[20] cioè egli
è
uomo turbolento
uomo inquieto
uomo sedizioso
[25] uomo che agita lo spirito dei cittadini
uomo che provoca disordine nella società.
Il commissario Perrault scrive e inoltra rapido la denuncia.
(B)
Did a Sofia:
Con voi io sento
io amo, ascolto, guardo, accarezzo
ho una specie d’esistenza che preferisco ad ogni altra.
[30] Se voi mi stringete fra le braccia godo di una felicità
che non concepisco superiore.
Sono passati quattro anni dal
giorno in cui voi mi appariste
così bella, oggi vi trovo più bella ancora;
[35] è la magia della costanza, la più difficile e la più
rara delle nostre virtù.
Suart ci presentò un francese, recentemente ritornato da Copenaghen. Quest’uomo ci raccontò cose incredibili sull’amore del popolo per il suo sovrano. Si direbbe che il patriottismo si sia rifugiato presso i Danesi. Ecco una scena di cui è stato testimone e che voi vorreste aver visto. Fu all’inaugurazione della statua equestre del re, il concorso del popolo era immenso. Non appena apparve, tutto a un tratto da due a trecentomila voci gridano in coro: «Viva il nostro re! viva il nostro buon re! Viva il nostro padrone, il nostro amico, il nostro padre!» ed il sovrano a un tratto apre la portiera della carrozza, si slancia tra la folla, getta il cappello in aria esclamando: «Viva il mio popolo! viva i miei sudditi! vivano i miei amici! vivano i miei figli» e abbraccia tutti coloro che si presentano a lui.
Questo racconto ci ha tutti ugualmente inteneriti.
(C)
Millius è solo per strada, gira e rigira, un poco parla tra sé. Poi ecco il provocatore.
Millius:
Passavo qua per caso
[40] come per caso là passavo
davo di volta in volta
con mille ragioni
i miei consigli.
E utili invenzioni.
[45] Tutte rubate.
Era una miniera d’oro
un filone incandescente
per noi hanno calcinato la porta d’ingresso
e usato solo il bastone.
Provocatore (che ha ascoltato):
[50] Così vi ritrovate
di qua e di là senza un soldo e scornato? Passate
le pene dell’inferno?
Millius:
Sellius mi ha lasciato; ma voi chi siete?
Provocatore:
Questo io sono, un cane bastonato
[55] un fornitore di uova
beccaio e un poco profeta. Ho però l’abitudine
di pagare sull’unghia.
Guardo osservo riporto
qualche volta, potendo, incalzo sostengo e trionfo.
Millius:
[60] Allora perché non scoprire
a palme aperte il futuro
leggendolo per coloro che non hanno altra speranza?
La linea della vita!
Ma oggi finalmente, nei paesi dove si sa pensare riflettere
[dubitare,
[65] il demonio giuoca una ben piccola parte. È bassa magia.
Provocatore:
Se è bassa magia voi stringete in pugno
invece
il modo di una giusta vendetta
appagamento d’odio
[70] con conseguente grana.
Voglio dire che vi leverete uno sfizio
e inoltre sarete ben pagato.
Il lavoro è pulito,
la salvezza sicura.
[75] Il domani felice.
Ma entriamo in questo caffè.
XI. In casa d’Holbach, ospiti nel salotto e in giardino, pomeriggio d’estate con una calda luce che si spegne, conversazione affabile fra gente di spirito, alcune vecchie brillano per intelligenza sulla fronte squamosa, bisbigli qua e là, e il respiro di un rio.
Did:
Qua sulla riva della Marna
al Grandval
dove tutto è così lieto (celestialmente lieto, con un pizzico
[di cattiveria)
dove tutto è così libero (nel fare e disfare)
[5] – voglio proprio ripeterlo e a proposito delle cose dello spirito –
caro d’Holbach
bisognerebbe che la Francia intera fosse come voi (i francesi)
anche se è difficile credere
alla bontà degli uomini. Al loro gusto o bisogno di adeguarsi.
[10] C’è un’infinità di cose che dovrebbero essere dette
mille fatti che dovrebbero essere compiuti
Madame d’Aine (arrivando):
Allora, filosofo, a che punto siamo?
Did:
A Maometto, madame.
Madame d’Aine:
A Maometto, il più grande nemico della ragione?
Did:
[15] Sì, e il più grande amico delle donne
Madame d’Aine:
Che osservazione impertinente (si allontana)
Did:
Quelle che mi occupano un’infinità di tempo
sono le lettere che devo
scrivere ai pigracci dei miei colleghi
[20] per mettergli un po’ di premura.
Quegli asini hanno la pelle così dura
D’Holbach:
Non temete per voi? Procedete procedete ma
ferite anche, offendete. Alle volte colpite a morte. C’è chi vi odia
ormai e cercherà prima o poi di nuocervi
[25] facendovi tacere.
Did:
Essere dolci non vuol dire essere pazienti
essere pazienti non vuol dire essere deboli
non vuol dire cedere né abbandonarsi né giacere.
Saremo certo trascinati qua e là
[30] ma diremo ciò che dobbiamo dire
terminando tutti gli articoli.
Puntualmente.
Si metteranno a posto le virgole
(pausa)
Sì, sento che una tempesta si avvicina
[35] avremo molto da temere (pericoli autentici).
Non soltanto per noi fra le quattro mura
ma per tutti, fuori, nelle piazze
(si avvicina Fréron. Did si allontana)
D’Holbach (a Fréron):
Bene, attaccate pure da tutte le parti
su e giù a colpi di parole (voi avete certe qualità) tali che
[sembrano
[40] colpi di pugnale; ma dovete provarle queste vostre accuse
rovesciate addosso a dei galantuomini.
Voi porterete Did diritto in prigione
se non smetterete di racimolare con la ramazza tante notizie
[inesatte
(con la vostra malizia), se non smetterete di attaccarlo anche
[alle spalle.
Fréron:
[45] Il calcolo è esatto e me lo confermerete (questo conto)
[al momento opportuno;
si addensa una gran buriana di venti e saette
su quella povera testa
e sulle teste dei sorci che seguono quel flauto
talché, come si dice, molti si mettono già in salvo,
[sbarcano e dileguano.
[50] Questa è la ragione dei ritardi nella consegna degli articoli,
questa è la ragione delle piccole sventure nella stampa che
preludono alle grosse
questo è l’antefatto per le cose che verranno.
Ci sono grossi litigi in famiglia (sapete?)
[55] pugni che vanno e vengono
il nervosismo che è segno
di un crack. Eh, ci vuole fiuto
XII. Il commissario Perrault rincara la dose contro Did, inviando un secondo e personale esposto al cancelliere. Egli scrive così:
Dopo quella dei giorni addietro
ho l’onore di informarvi che mi è stata data
notizia che il detto Did autore di un’opera che
mi è stato detto avere per titolo… che fu condannata
[5] dal parlamento ad essere bruciata insieme a un’
altra opera intitolata…, questo miserabile Did
sta ancora lavorando a finire un’opera che è un anno
che ci sta lavorando, nello stesso gusto di quelle in
cui ho appena
[10] avuto l’onore
di…
È un uomo
pericoloso
molto
[15] che parla di santi e misteri
corrompe i costumi
dice che
quando
l’ultima ora…
[20] Mi hanno assicurato che ci sono in casa molti manoscritti
[stampati dello stesso genere
abita in rue Moustard presso il signor
Guillot
salendo a destra al primo ecc.
XIII. Il curato di Saint-Médard e il commissario Perrault.
Perrault:
Ecco qua
appena ricevuto l’ordine di arrestare
e di portare a Vincennes
il signor Did.
[5] È un bel successo da spartire in parti uguali
fra voi e me.
Chi con criterio e a tempo
agisce di conseguenza
non ha non può avere de-
[10] lusioni dai pubblici poteri.
Il Curato:
La legge è vero è vero, le
buone testimonianze non vanno perse.
Perrault:
Ora volo lassù in rue Moustard
(già cammina con due gendarmi)
lassù da monsieur Guillot (è sulle scale)
[15] volo salgo a destra al primo piano
picchio busso grido impreco abbatto
entro entra la legge
hélas Signor Did, oilà signor Didrot
dentro al torrione al vecchio torrione
[20] dentro a questo torrione
(Did ammanettato lo segue).
XIV. Per strada, alcuni.
1 Did è arrestato a Versaglia
2 È arrestato a Vincennes
3 È anche arrestato a Parigi
4 È arrestato a Vincennes
[5] 1 Tutta intera la società degli scrivani
è messa sotto accusa
abati dotti dottori della
Sorbona
hanno qualche fastidio
[10] 2 Anche i professori impegnati
a dipingere di veleno
il bel quadro sociale
3 Libelli abbastanza sconci
spremuti contro il sovrano
[15] re dei re e cavaliere invitto
4 E le frasi fra i denti
1 Vilipendio delle istituzioni con
vilipendi di autorità. Gentili
autorità e istituzioni gentili
[20] 2 Che non vanno vilipese né si vilipendono
3 La satira che è sempre piuttosto volgare e senza misura
è limitata sbandita spappolata. Un
dietrofront della licenza
un tunnel che riporta all’ordine
Entra un gruppetto di straccioni.
Primo straccione:
[25] Parigi brucia
tumulti per le strade
anche è incendiata
qualche casa a Lione
Secondo straccione:
Il re di franza è un buffone
Terzo straccione:
[30] Chi è dunque un buffone?
Secondo straccione:
Il re di franza è un buffone
Primo straccione:
Tutta la colpa è l’ingordigia del re
Terzo straccione:
I re vanno macellati come si fa col porco
re di franza, di Danmark, roi de Belgique
[35] anche chisto d’España
ce n’è uno nell’England
un altro dentro la Russia
in Croazia dicono c’è
ce ne sono da spazzar via eccome, il gran turco
[40] il gran cane e
il principe di Floss.
Intanto appare Millius che esce dalla taverna col Provocatore.
XV. Millius con l’agente provocatore.
Millius:
Sì lo faccio. Sì lo faccio, lo faccio, lo faccio.
È una giusta vendetta.
Quel sacco di pattume. È stato lui, dunque, a impedire…
[45] Inoltre c’è subito il cavallo.
Provocatore:
Subito fuori il cavallo
motocicletta elicottero o una cinquecento
qualsiasi cosa si muove. Per fuggire
scappare tagliare una corda andare
[50] in frantumi con mille palanche dopo aver fatto cantare
il
pugnale.
Millius:
Io uso il temperino. Meglio questo temperino.
È affilato
[55] non lascia traccia
sprofonda (ha un taglio leggero)
arriva all’osso (la punta è affusolata).
Meglio di tutto è questo,
io uso il temperino.
Provocatore:
[60] Attento a non sbagliare
la posta è grossa
noi non ci conosciamo.
Non sbagliate il momento né l’ora.
Questo per le piccole spese (gli allunga una mazzetta di mille)
[65] e per la buona uscita.
In Franza non si lavora gratis.
Millius:
Grazie il mio bravuomo (che si è già allontanato)
ed ora
proviamoci a ottenere almeno questa
[70] intima soddisfazione
che è quella di accoppare un re
che ti ha buggerato. Che nessuno lo sappia.
Poi via col mio cavallo.
XVI. Rispettosamente: reggia di Versaglia. Grandi colori e cielo. Sua Maestà passeggia nel giardino col codazzo. Lo seguono riverenti.
Sorrisi, risi e bisi, sbattere di ciglia. Un sospiro. Cantano le cicale.
Millius si nasconde dietro un albero, sbircia; da albero ad albero, sempre più vicino, segue il passeggio del re.
Egli sovrano parla e declama
opprime e frascheggia
fa un cenno di saluto
maestoso rispettabile nobile e ignobile.
Egli re intravede Millius, seminascosto e appostato
fra albero e albero,
egli re si sofferma, guarda osserva con un cenno lo chiama
mentre Millius visibilmente impacciato si avvicina.
Il re di franza:
Aperto ai sudditi (sentite il cuore)
a coloro che si celano con intelligenza
e con intelligenza si svelano
(ci aggiungo il candore)
[5] – essendocché l’autorità
ha bisogno e ragione di sentirsi e
sapersi rispettata –
ora ben disposto in mezzo
a questo venticello
[10] ascolto la vostra supplica – se è orale
che se invece fosse scritta (o sottoscritta)
allora l’affido a un intendente
che segue la mia ombra.
Millius (rinfrancato):
Supplica non si dà mio sire
[15] né orale né scritta mio sire
nemmeno sottoscritta ma si dà
al re buffone
un colpo di questo temperino.
Il re di franza (lancia un urlo mentre Millius scappa):
Ah ah ah (si guarda una mano da cui scorre un filo di sangue)
[20] ferito alla mano
amputato alla mano
trafitto e anche torturato
il sangue corre la vita m’abbandona
bel suolo di franza adieu.
Parte seconda: leggi repressione
I. Sala con tutti gli armamentari sul muro e sui tavoli: bottoni, citofoni, mappe, bandiere, vera iconografia dantesca; entrano escono sgherri, facce di scherani siedono intorno a un tavolo; dietro cui ci sta ben rannicchiato e visibile, abbastanza comodo, lo scherano capo; intorno giornalisti, curiosi (uomini della televisione), popolo tout-court e anche politici.
Scherano capo (capo di polizia, sgherro, o più semplicemente «trou du cul»):
Come loro signori vedono, e concerne la
veduta alla cosa abominevole esemplata
cotidie – nella persona del sovrano
perversione sovversione invadono il paese
[5] il bel suolo, bruciano
bruciano affumicano eccetera
la sovversione dell’ordine
la propensione a sovvertire queste
fermissime leggi
[10] autentiche balsamiche
ciascuna società
si dà
le leggi che sa
ebbene: quali deduzioni cavare
[15] simpliciter con giusto intuito
dal marasma delle cose accadute?
un sovrano assassinato
quasi assassinato
forse assassinato
[20] assassinato un poco, a spizzichi e bocconi,
trucidato forte ferito macellato
ebbene sfiorato appena da quel sospetto di assassinio
con un coltello?
con un temperino?
[25] dalle carni regali
un rivolo di quel sangue augusto
(e lo sfregio permanente e la vergogna)
è rifluito per terra mescolandosi
al fango in una storica turpitudine
[30] che ci sarà rimproverata (rinfacciata nei secoli à paraître)
se intervenendo con fermezza non scancelliamo il reato.
Il popolo vuole un colpevole
tale e quale
che penda dalle forche
[35] ma il popolo sa (forse) che non
c’è non ci sarà non ci fu mai un colpevole solo
solo un colpevole
ma che tutti i colpevoli sono subito imbottigliati calpestati
[inseguiti braccati
schedati identificati fotografati segnati
[40] con lapis rosso blu
tutti e soltanto in una direzione determinata
perché laddove c’è licenza delle idee (e nelle idee)
c’è pure anarchia nelle azioni
volontà di sopraffare.
[45] Abbiamo le prove signori
le quali scottano
come
patate bollenti spellate.
Bruciano la bocca e chi le neglige
[50] o sottintende si rende colpevole di
favoreggiamento con
II. Una tribuna (in effetti siamo alla Sorbona), siedono in circolo giudici e giurati – che sono ecclesiastici e accademici. L’abate De Predes nel mezzo. Molto tranquillo egli è. In primo piano: a) Sindaco della Facoltà; b) Gran Maestro degli Studi; c) Presidente di Tesi.
Sindaco della Facoltà:
Fatto, o detto da voi, è un colpo basso.
Mal tirato, basso; e mal diretto.
Occorre subito correre ai ripari. Mio caro
mio caro
[5] voi così saggio, in un certo senso, e subito sapiente
intelligente e profilato – e con quell’avvenire davanti.
Un errore madornale.
De Predes (molto dolcemente):
Per avere scritto alcuni articoli in quella tale enciclopedia.
Perché la vecchiaia (e mi limito a voi monsignore)
[10] è così poco decorosa
mentre dovrebbe (essere) solenne quel tanto
generosa perché sapiente
e tutta avvolta con gioia
dai fumi (e dai fiori) della vita?
[15] perché è quella cloaca che è, avida lercia resistente impaziente
idiota, carica di soldi soltanto per fare fruttare i soldi
carica d’odio per fare fruttare l’odio
e con sole piume e pulci nella testa?
perché il vecchio si difende coi vecchi amuleti
[20] cavilli pressioni e occulte truffe invece di
di
di…
Ma il vecchio non è più un uomo già.
Gran Maestro degli Studi:
Torniamo all’argomento
[25] non della disputa (che disputa non si dà)
ma dell’accusa (che un’accusa pesante
nell’ambito del particolare e del generale già si profila
[in prospettiva).
Di un’accusa precisa parliamo mentre intera la Franza
trema è sgomenta geme sull’assassinio del re
[30] sulla sua mano ferita sul
regale sangue versato.
De Predes:
Si tratta in fondo di un semplice temperino;
piuttosto un’intenzione che un atto vero e proprio.
Sindaco della Facoltà:
Un complotto che cercava di togliere pace e sostituire alla pace
[il disordine
[35] e pescando nel torbido
sovvertire rubare massacrare.
A poco a poco parlando
a poco a poco argomentando sulla fede dei fatti (precisi)
[e sull’ordine delle cose
accadute – anche su quelle pensate –
[40] ebbene capita di convincersi che
Uno dei presenti (a voce alta):
L’ordine
Un secondo:
L’ordine
Un terzo:
L’ordine
Sindaco della Facoltà:
Badiamo a questo (ed è un esempio che io porto, un saggio soltanto di infinite possibilità e altrettanto infiniti o vari meccanismi)
[45] bastano poche parole
per rovesciare il mondo (mondo che conosciamo, amandolo
[e che vogliamo che duri)
se a queste parole non si mette da
parte di chi può e sa
un
[50] riparo. Argine di fiume bastione fortezza o forca o cannone.
E voi così giovane.
Capita di convincersi che
un piano generale
di sovversione in apocalittica sintesi è (o era) in atto
[55] per sommuovere rimestare distorcere calpestare e che noi
dobbiamo subito provvedere in merito alla questione
[nell’ambito particolare
e abbiamo provveduto.
Una bella tempestività
che merita un grazie.
[60] Poiché le cose accadono come devono
dirette da ciò che è provvidenza non affatto arcana
ma conosciuta e pregata
e perché ciò che accade accada secondo giustizia e con ragione
secondo i meriti e col vantaggio comune
[65] esorbitando nei dati
commisurando le idee
spiriti ritorti e conseguenti spiriti universali
il corno e il bicorno del sillogismo
si potrebbe procedendo per analogia argomentare così
[70] e con il lucido dente dell’allegoria sovrana
(a poco a poco la scena si oscura, in primo piano sotto la luce cangiante e sfavillante risaltano due troni con le due divinità antitetiche e contendenti. Intorno ci sono, protagonisti-spettatori, i partecipanti, integri, della scena precedente).
III. Quella è la scena. Belbuch giudica – Zeombuch è giudicato; Belbuch è autorevole – Zeombuch è senza autorità; Zeombuch è picchiato – Belbuch è applaudito; Belbuch è il dio buono – Zeombuch è il dio cattivo. Il fischio di un treno.
Zeombuch:
La vostra giustizia è un rifiuto organico
essa giustizia piscia a comando
questa giustizia di vacca
è una giustizia in coma eppure
[5] incorna il rosso
se il drappo gli è messo per benino
davanti agli occhi.
Io sono nero Zeombuch
tu sei bianco Belbuch.
Belbuch (ridendo):
[10] Contrapposizioni assurde e con le tue argomentazioni fai
[poca strada.
Io ho la gente dalla mia
il potere il beneficio il bacio dei potenti;
tu, tu hai – come si dice? – il destino di scomparire
o tutt’al più di servire, modesto e squallido, la speranza
[dei deboli.
[15] Io sono bianco Belbuch
tu sei nero Zeombuch.
La (tua) divinità è inesistente
la (tua) lingua non parla
nessuno ascolta perché hai una voce che non suona o risuona
[20] pensi di parlare eppure morto sei
io ti posso
stringere strizzare capovolgere rivoltare, ti zittisco con un cenno.
In verità non hai neppure la forza per dare forza alle offese.
Sei Zeombuch nero
[25] perché la coscienza degli uomini ti ha fatto nero
immaginandoti nero
a somiglianza degl’incubi della paura che neri sono;
poi subito ti ha cancellato, ti opprime, sopprime.
Credi che si amino gli spettri?
Zeombuch:
[30] Lo so: chi mi ha generato, pensandomi con la fantasia,
anche mi consuma.
Sono un fuoco (rapido) e altrettanto rapido svanisco.
Ma sono un fuoco, ecco. Non ho tempo per le malinconie.
Mi consumo; ma brucio.
[35] Non mi rassegno.
Ci scontriamo
e dobbiamo pure segnare qualche punto a favore o a sfavore
perché nonostante tutto
– io nero Zeombuch
[35] tu bianco Belbuch –
c’è qualcuno, qualcuno che ha bisogno di sapere
se, per una volta almeno, c’è giustizia vera,
una generale giustizia, un trionfo – oppure se
si connota ancora essa giustizia come
[40] la più grande ingiustizia, se soltanto
mortifica opprime
rode calpesta sibila infetta geme
morsica azzanna impesta e te frantuma.
Che cosa si potrebbe aspettare allora
[45] se non che tale giustizia
passo dopo passo
ti conduca all’inferno?
Belbuch:
Noi temiamo gli ingenui come i criminali. Li dobbiamo temere.
Taci per un momento.
[50] Chi può credere che si ha voglia di assolvere o di aspettare?
soprattutto quando una possibile vendetta è così vicina?
la concatenazione degli avvenimenti
così prossima ai nostri desideri
(e così calzante)
[55] non può essere disattesa – come dicono i politici che
parlano il linguaggio delle capre.
A chi ti rivolgi adesso, Zeombuch?
a poveri o a ricchi? a potenti? a coloro che non
hanno alcun potere visibile (essendo il potere visibile il più caduco dei poteri) e hanno l’autentico potere invisibile che determina?
[60] a magistrati di mille magistrature
a medici di mille medicine
a fisici e ingegneri di mille pensieri frenetici sulla fisica e
[sui ponti?
Tu nero, Zeombuch
io bianco, Belbuch
(il fischio di un treno)
[65] e la notte è profonda
chi rincalza la voce e ribatte la tua orma
chi procede passo passo?
In bilico sul trono. Ma tu
non sei sul trono ma in bilico
[70] sul davanzale della finestra (una)
dove in bilico stanno i galantuomini
per scampare fuggire precipitare
come scampano fuggono o precipitano tutti quelli indicati segnati
sottoscritti condannati.
[75] Sta in noi di prolungare
in qualche modo la durata di una vita, di un’azione e di far
[durare nell’immaginazione
il ricordo di un dio.
Il fatto è che, per il momento,
tu sei utile come antagonista
[80] Zeombuch, sibilla parigina che piange, Zeombuch nottambulo
ma che, scancellato appena torna il conto,
ritornerai alla tua inutilità che sarà molto fantastica.
[Se mi capisci.
Essendo
tu nero Zeombuch
[85] io bianco Belbuch.
IV. Lo scherano capo nella sala e con le stesse persone in proseguo della scena prima.
Scherano capo:
Io che sono bianco.
E io che sono bianco. Adesso
abbiamo le prove miei signori.
Vi è del putrido nel nostro paese
[5] il male c’è, il germe si rivela nei bubboni del…
Io che sono bianco
essi che sono neri;
bisogna cercare l’assassino i mandanti tutta l’organizzazione
[dell’inghippo
e dell’infernale piagnisteo in una sola direzione
[10] bombe di parole, bombe di realtà,
bombe nelle cose,
massacri simulati e discussi, là dove
c’è l’ossessione del nuovo e di non accettare le regole
dove si balla e discute e sulle carte stampate si odora il veleno.
[15] Chi muove i fili
chi detiene il bandolo
(mormorio)
Smosse le acque e in anticipo sui tempi.
Era appena avvenuto l’attentato che la macchina della giustizia
simile a un oliato marchingegno, simile anche a una colomba
[20] tenera veloce sorridente astuta
interrogando circoscrivendo deducendo annusando
essa macchina carica dei possibili addendi e dei risultati
[clandestini
essa macchina
(mormorio)
Smosse le acque e in anticipo sui tempi.
[25] La macchina era oliata
fu prima una denuncia inoltrata da un bon-homme
di quelli per intenderci che fidandosi nella giustizia perseguono
[il bene
pubblico e un poco anche il bene
privato come si deve. Ma quanti sono?
[30] Seguirono alcune denunce lettere (clandestine) foglietti vergati
alla polizia locale
da persone quali
un curato (che sa)
un maestro (che sa)
[35] infine anche stinco di dio un magistrato (che sa)
e il gran guerriero (che sa)
gran turco e gran cane. Allora è arrivato il momento
– sì è arrivato il momento bella bionda –
di sbarbare
[40] anarchici e bastardi seminatori di zizzania e chi scrive su carte
[e sui muri
e chi parla e ragiona
e chi ascolta soltanto
fino alle radici del riso
fino alla radice del riso.
[45] Fréron sul suo giornale
egli che svicola nei meandri delle idee
ha
in articoli ben congegnati e con un po’ di sale
giustamente attaccato questi seminatori di peste e autentici
[assassini.
Voce:
[50] Fréron è importante?
Fréron è attendibile?
Voce:
Non è importante? Certamente è zelante.
Chi nega che sia zelante?
Non è attendibile? Certamente è convinto.
[55] Di quel che scrive, intendo. O si lascia convincere.
Egli provvede sui fogli della gazzetta
ogni volta che le notizie ingenerano timori.
Altre voci:
Chi vale e chi non vale
chi ha le mani pulite e chi invece con le mani sporche ha riempito
[60] in gran fretta le tasche e i cassetti di casa e sembra pronto a
godersela questa vita
dopo aver trafficato
con la signora giustizia.
Voce:
I delatori
Voce:
[65] Che cos’è mai la giustizia.
Un pregiudizio con ottanta cavilli.
Voce:
Ben misera cosa.
Semplicemente un cannone con la bocca
puntata contro gli oppressi.
Voce:
[70] È un comizio
Scherano capo:
L’inattaccabile Fréron
chi soltanto lo sfiora è subito incriminato mi pare
e qua il caso non è diverso. Moderate la lingua
i miei signori.
[75] Egli è protetto in alto loco
dice disdice confonde riscrive e può
se vuole anche correggere e omettere
alcune verità.
Via! le verità son mille non una sola. O crediamo ancora
[a queste balle?
Voci:
[80] Viva questa libertà d’opinione
Scherano capo (indicando Fréron che entra):
Ma ecco Fréron in persona. Olà, Fréron.
Fréron:
Altro che.
Sentite.
La macchina del terrore è saltata
[85] ormai si tratta soltanto di raccogliere le schegge. La bestia
umana è stata presa, e inchiodata
la sua faccia è qui, su
questa pagina di giornale (sventola un foglio fresco di stampa)
non la dimenticheremo mai, la bestia ci ha fatto piangere
[90] ci ha fatto sentire fino in fondo l’amarissimo sapore del dolore
e della rabbia. Il massacratore si chiama…
V. Ripresa e conclusione della scena terza, alla Sorbona.
Sindaco della Facoltà:
Il corno e il bicorno del sillogismo
commisurando le idee
e perché ciò che accade accada secondo giustizia…
Gran Maestro degli Studi:
Voi comprenderete, cortese abate, che
[5] non è possibile accettare l’offesa quando
l’offesa vuole di proposito recare un danno specifico
a cui si aggiunge (si unisce) la malizia dell’intenzione
e la perfidia, che arriva al sadismo, dell’atto.
Perciò sarete messo in condizione di non nuocere.
Sindaco della Facoltà:
[10] … e tale esempio divulgato
sarà un giusto tempestivo monito.
Voi avreste potuto e avreste saputo eccellere qua dentro
vi ha tradito la lingua
la penna altrimenti agile e inconsulta vi ha male compensato
[15] noi qua attorno che fino a ieri vi applaudivamo
siamo giustamente severi.
Lascerete Parigi
lascerete la Sorbona
ritornerete a La Flan dove vi aspettano le oche verdi prati
[e il silenzio.
[20] La vostra penna è
sul ginocchio spezzata
come una sciabola
Presidente di Tesi:
Non avete capito nonostante abbiate molti meriti
che l’università non è luogo da contrasti
[25] non è un ammennicolo in cui far la punta alla matita
no no
profferire minacce
adattare le sedie.
Essa è luogo di eccezionali silenzi
[30] dove le menti si adattano a speculare il cosmo
a strologare il passato.
Luogo di un laborioso formicaio.
Ma chi volta al futuro
tralasciando il metodo sperimentale e abbandonando la fede
[come un cappello
[35] sulla sedia e si affida tutto intero alla magia
gongola coi diavoli
è chiaro che costui è subito identificato circondato e condannato.
Che cosa avete fatto ragazzo mio!
De Predes:
Una buona risata concluda la giornata.
[40] Si alzano gli aquiloni.
Le mani sono pulite
il berretto è cavato è scomparso il rossore dalla faccia
chissà poi che non si trovi prima di sera un cavallo
per trottare a La Flan. Sennò vi prometto
[45] di ritornarci a piedi.
Ma non chiedete che vi creda o che mi sottometta
nessuno può chiedere a un uomo
altro che la sua pazienza, se questa pazienza ce l’ha.
In quanto alla gloria che mi aspettava
[50] chissà miei signori che essa non sia
già
e sparsa
su quei volumi che odiate. Addio.
VI. Scena con Did, Dal, Volty. In casa, in campagna, magari per strada. Poi entra Roos come una furia.
Did:
De Predes è partito ieri marcato come un vitello
non è stato distrutto (nel modo che sono soliti vincere loro)
ma sicuramente è condannato al silenzio per un bel po’ di tempo.
Dal:
A meno che non scelga l’esilio in England
Volty:
[5] A meno che non parta lasciando chisto paese
che di giorno in giorno diventa sempre più fetente
nonostante i suoi lumi.
Did:
Tutto quello che accade
guazzabuglio di fatti misfatti marachelle delitti è come
[10] fosse rivolto contro di noi; è come si avventasse contro
ci spingesse con la punta della spada. Insomma
a parte De Predes sento il temporale che avanza
e il gallo che si volta in cima al campanile.
Dal:
È savio correre al riparo.
[15] In questo caso l’ombrello
è il silenzio.
Volty:
Tacere per un poco, disperdendoci, sospendendo l’uscita
del volume settimo e facendo intendere che ci siamo impauriti.
Un bel po’ di terrore ostentato.
[20] In questo modo ripigliamo fiato e si sfoga l’attacco
Dal:
La corte, i gesuiti, perseguitano, non ne possono più.
Dovunque mi volto vedo sguardi d’odio di sospetto o di
terrore. Non ho paura ma certamente sono stanco sono stanco
[sono stanco e
inoltre per tanto fiele da trangugiare ogni giorno in privato
[25] e in pubblico e da bere
in un sorso solo
il guadagno è poco.
Did:
Ma questa è paura, signore
Dal:
Per me è finita, addio (esce).
Volty:
[30] Non ha torto. Anzi, egli ha ragione.
Non è più un lavoro adesso è un pericolo.
Non è più un lavoro adesso è una missione.
Non è più un lavoro adesso è una condanna a morte.
Chi vi dice, amico, che dopo la prigione a voi non spetti
[una prigione
[35] ancora e con voi anche i vostri amici e a me (questa volta)
e che un articolo sull’arguzia, sullo spirito dei tempi, sul discorso della montagna, sulla cosmogonia, non comporti anziché un gruzzolo di denaro sudato mesi di galera o anni o forse l’esilio?
Le idee fanno tanta paura da ritorcersi contro noi che le
[divulghiamo.
Si può amare e essere felici
[40] si può rischiare e essere felici (in un certo modo)
si può morire e essere felici, se la morte è questa felicità
ma quando si rischia si fatica si muore senza felicità
è meglio, più vantaggioso dopotutto, abbandonare l’impresa.
[Continueremo poi appena
il tempo
[45] è maturo. Questa che facciamo arricchisce solo Breton.
Addio.
(Entra Roos come una furia, agita un foglio, è imbestialito).
Roos:
«Così; quando sono messi alle strette a proposito della necessità della rivelazione, dogma d’importanza tanto essenziale per il cristianesimo, parecchi vi sostituiscono il termine utilità, che sembra loro più idoneo. In questo, se non sono ortodossi, si dimostrano almeno coerenti coi loro principi»
Voi avete permesso che si stampasse
questo e altro alla voce «Ginevra»
[50] voi che sapete valutare ogni ombra sfumata. Così lo scherno
[è peggiore.
E poi: «Nella cattedrale è stato da poco installato un organo
e forse col tempo si arriverà a lodare dio in una lingua migliore
[e con migliore musica».
È come giocare a bocce con le idee.
E ora vi sgomentate se vi attaccano, vi insultano e qualche
[volta anche vi
[55] lisciano con qualche autentica frustata?
Solo allora vi arrangiate a chiedere aiuto.
Affogate pure nel mare
io non vi sono più amico
VII. Did e Sofia. Mari, monti, campagna, interno di città. Qualche sedia.
Did:
Dolce viso di cielo.
Proprio in contrasto a questo cielo che si fa scuro
a questo cielo così rosso
a questo cielo di primavera. Ebbene
[5] erano le nove di sera passate.
Parlavo con Grimm che mi era di fronte;
ciò non ci accadeva da tempo, benché sempre abbiam trovato,
[nel ritirarci
dalla folla e chiudendo la porta su di noi, una dolcezza infinita.
Noi esaminiamo la condotta degli uomini e la nostra.
[10] Li scusiamo; siamo meno indulgenti per noi.
La riga scritta bene è la sola cosa che rimanga;
il resto è dimenticato
a volte vado a chiacchierare in via dei Vieux-Augustins
a tentare di dimenticare gli sgarbi della vita.
[15] Ma cosa vi dico.
Anche se volessi mentirvi voi leggereste bene sulla mia fronte.
Ogni ruga un pensiero
ma quelli tristi, quelli che ammazzano.
Sono come un generale sul campo
[20] in quadrato contro il nemico
fioccano cannonate da ogni parte
e devo mostrarmi tranquillo e devo cantare, devo
sissignori lavorare finire ma sempre
con questo viso spianato
[25] nonostante tutto a un sorriso. Se questo non c’è dicono
che Did è sotterrato ed è tutto finito.
VIII. D’Holbach e Did.
D’Holbach:
Badate a voi
tenetevi nascosto se volete
restate libero. Temo che abbiate le ore contate.
Did:
Non posso nascondermi e poi non voglio.
[5] Lo so, mi schiacciano con facilità
ma alle volte penso
d’avere una forza maggiore di quanto credo e credono, almeno in questo momento e di dovere quindi esigere in un certo modo il rispetto di questa forza. Non fosse altro che per tranquillizzare gli amici e i lettori.
D’Holbach:
È vero che essi non possono toccarvi senza nuocere a loro stessi.
Conficcano aghi nel cuore dei vostri amici
[10] maneggiano e sobillano
ma più che arrestarvi non possono
e forse neppure questo possono almeno per ora. Ma sono
[minuti fugaci, attimi; essi che sbavano come lumache
sono pronti a saltare.
Did:
Il riflusso della seconda ondata non è ancora arrivato,
[15] so bene che sarà terribile. Potrò resistere?
Mi chiedo se saprò resistere. Non è tanto questione di testa o
doti d’animo o di mani (lestezza o fragilità) quanto
di agire (saper agire) e argomentare in modo
da tagliare il filo (lungo filo) di queste trame. Sgherro capo, sindaco della facoltà, presidente di tribunale e d’Agnesseau con i suoi denti lucenti e tali parole di miele; poi provocatori e sbirri. Questa è la società.
D’Holbach:
[20] Stanno giocando la loro partita a scacchi, si concentrano,
[trattengono il respiro
Poi scoppiano in risate e applausi. Alle volte
credono d’avere già vinto
ombre di ombre tarocchi finestre aperte trabocchetti veleni
[(quando occorre)
moschetti sicari. Uno sbirro si trova sempre.
[25] Eppure è proprio quando hanno paura
che diventano pericolosi atroci
[quattrocento morti e più nelle quattro giornate di Milano
[anno 1898
con Bava Beccaris il beccaio
il bersagliere napoletano che stanava con la baionetta
[l’operaio della Pirelli
[30] l’alpino del Garda (noi summa alpin con la penna) si butta all’arma bianca contro la barricata di Porta Ticinese
sbudella l’operaio della Stigler della Grondona della Vago
[dell’Elvetica
È a sua volta (palla rimanda palla) l’operaio di Porta Monforte e di Porta Vittoria col suo colbacco argentato
che a fucilate stana insegue bracca uccide
il bracciante di Foggia il contadino di Caserta il lazzarone
[napoletano.
[35] Una bella medaglia sul petto e
oh mia regina
oh mio re
oh patria mia
Lo stato dispone della pura forza repressiva
[40] esercito polizia carabinieri
e della ignoranza delle masse
Al calar della notte i ventimila uomini del
[gen. Bava Beccaris il beccaio
tengono saldamente ogni strada della città. Il governo telegrafa a mezzo del Di Rudinì al gen. Bava: «Dalla quiete di Milano da lei
così prontamente ristabilita dipende forse la quiete di tutto il regno». La morte di centinaia e centinaia di milanesi era il prezzo pagato per la quiete borghese…]
[45] Diventano atroci quando la quiete del regno è in discussione.
[Così inventano
le loro miserie
e amministrano così anche la loro giusta giustizia.
Did:
È importante che in ogni occasione
ci sia un rifugio o la mano di un amico.
[50] Capiterebbe altrimenti
d’essere subito presi e serrati
IX. Ancora la scena quarta che continua o riprende, con scherano capo, Fréron e gli altri. È trascinato dentro Millius; con lui è il provocatore in divisa da sbirro.
Scherano capo:
Il massacratore è Millius
inglese di Parigi
nobile spiantato
amico di Did
[5] a cui ha venduto l’idea del gran vocabolario.
Le prove si stringono e parli il provocatore.
Provocatore:
È montato sul mio calesse ed era tale il suo odio e tale era
[la frenesia
che mi ha spifferato tutto
dopo un bicchiere di vino
[10] e una mia mezza parola. Si è incastrato da solo e io volevo dissuaderlo: non farlo non farlo è uno scherzo. Il re è sacro. Ma lui
[intanto scappava
e ha ucciso il re
avendo per complici i banditi di Did. Millius ha confessato
d’avere pensato a questo attentato per suggerimento di costoro
con l’oro di costoro
[15] per volontà di costoro
i quali con la morte del re credevano di portare la Franza
[al casino
anarchia assai utile per fare ciò che volevano e pensare
[egualmente ciò che volevano ecc.
Millius:
È falso. Lui mi ha convinto fornendomi anche il cavallo.
Il re semplicemente è stato
[20] graffiato dal mio temperino.
Scherano capo:
Andiamo! Temperino o cannone. Il reato è
che abbiate soltanto tentato, pensandolo,
questo misfatto. Atroce. L’atrocità del misfatto è nell’averlo
[pensato in quanto pensandolo
(tale misfatto) voi già lo compivate
[25] realizzandolo sulla tenera augusta carne del nostro sovrano.
Non conoscete le regole?
Così per voi e per noi l’assassinio è compiuto
voi siete spacciato. Perché non possiate inquinare le prove
che raduneremo a vostro carico
[30] e perché parlandovi mi sembrate un poco stranito e spiritoso
avrete una cella isolata in cui meditare
ai casi vostri.
I complici sono a posto; De Predes sta trottando verso
[la campagna
ma sbirri soldati lo inseguono per sentieri
[35] qua a Paris la ramazza agirà in un baleno.
Il cervello di Did deve essere messo in condizione di non pensare.
È compito nostro anche questo.
Fréron:
Tiriamo qualche somma? Dove si vede che il giornalismo quando
si mette a servizio della nazione
[40] fornendo le notizie alle forze dell’ordine
(salvaguardia della patria e di tutti gli utili trofei quali marmi
[e bandiere)
esercita la sua alta funzione
è vindice
incrollabile
[45] contro gli opposti estremisti che sommuovono
la giusta quiete del popolo laborioso
il quale popolo altro non chiede che lavorare in quiete
per sé, naturalmente, e per l’economia competitiva di
[codesta nazione.
Scriverò tali cose in dettaglio domani.
Scherano capo:
[50] Tali cose scriverete
domani
perché gli onesti sappiano
e i meno buoni riflettano.
ai perfidi poi
[55] c’è qualcuno che bada.
Ma ecco che vi presento i miei bravi collaboratori (un gruppo di sbirri si schiera su una fila, con sorrisi TV).
X. Millius in prigione è visitato da Sellius.
Millius:
Non dovevo farlo? Ero deciso a farlo.
E forse non dovevo farlo. Ma ieri mi sembrava giusto
ed è giusto. La causa di tutti i guai…
Sellius:
Non dovevi farlo in quel modo.
[5] Perché non ti sei consigliato?
Altro che accoppare il re! con un temperino, poi.
Stai attento a te adesso, al mangiare e al bere.
Millius:
Ci baderò ma voglio riuscire a dire in pubblico
come stanno le cose.
[10] Sono colpevole a metà
e per un pio desiderio. Il re è vivo e vegeto.
Scriverò il mio promemoria.
(Sellius esce; Millius siede a un tavolo e comincia a scrivere; entrano tre sbirri e chiudono la porta a chiave)
Sbirro (a Millius):
Alzati e stenditi a letto.
Millius:
Perché? Non sono mica ammalato.
Sbirro:
[15] E invece sei ammalato, signor mio e principe delle tenebre.
Stenditi e non fiatare
topo di fogna
adesso ti visitiamo come fa il dottore.
Millius (che intanto si è messo a letto):
Dopo vi consegnerò una memoria
[20] da passare allo scherano capo. Egli deve leggere e riflettere
poiché mi accusa
in fretta e furia
d’essere un assassino
(i tre sbirri si avventano su Millius e gli fanno un «santantonio». Lo coprono cioè con le coperte e mentre uno lo preme perché soffochi e non si avvolga, gli altri con grossi bastoni picchiano picchiano picchiano. Gemiti poi silenzio. Gli sbirri si fermano ansimando).
Sbirro:
Presto, accomodate le coperte, con questo lenzuolo
[25] avvolgete il collo del morto. Deve apparire
come giusta causa
un suicidio per impiccagione.
(Spalanca la porta e grida: Millius si è impiccato, l’assassino del re si è impiccato. Accorre la sbirraglia, un medico, Fréron. Arriva anche lo scherano capo).
Scherano capo:
Questo momento (ore sedici) impiccossi inferriata mediante asciugamano detenuto Millius. Vado farne denuncia telegrafica autorità giudiziaria riservandomi inviare particolari dopo accesso qui pretore.
XI. Fréron, lo scherano capo e altra gente ancora. Il cadavere di Millius è disteso per terra.
Scherano capo:
Giace lungo disteso.
Tali e quali giacciono distesi
i furfanti d’ogni risma d’ogni nazione in qualsiasi epoca; a cui manca anche il coraggio d’offrirsi vivi per essere considerati e
[pesati.
Il suicidio di Millius è la conferma della sua colpa
[5] responsabilità singola nel complotto di molti
insomma ciascuno è già etichettato col proprio cartellino.
Fréron:
Tollerare è un dovere
della società ordinata
ma se si incrina un ordine
[10] che è poi quel tal bandolo che lega gli uni agli altri
e tanto più quelli che stanno in basso
a quelli che siedono alti ciascuno attento alla propria tela
ebbene se questo (è l’ordine) si incrina – come dicevo tollerare
[diventa un reato grave quanto…
Lo vedete da voi, qua in terra,
[15] disteso nel lenzuolo il sicario
che ha insultato con un temperino il braccio del nostro sovrano.
Preso, custodito egli ha
scelto di darsi una morte
piuttosto che affrontare realisticamente e con un po’ di coraggio
[il giudizio quindi la condanna che segue.
[20] Pietrificato egli non conta più
ma prima con la voce aveva accusato Did
soprattutto Did aveva accusato
artefice e commodoro della strage
vicenda epilogo di una più vasta congiura.
Scherano capo:
[25] Evidentemente per ritornare alla pace ubiqua
dopo tanto finimondo
è urgente rendere Did innocuo
spazzolare le strade setacciando i facinorosi
ispezionare qua e là negli angoli
[30] considerare con sospetto…
Un uomo:
Millius per terra come il cadavere di Cesare
Fréron:
L’antico romano aveva vagato in su
e giù mendicando un po’ di gloria
mentre questo pezzente
[35] straniero per giunta
è morto per autocombustione e senza gloria
Un uomo:
Cesare crolla sulla scalinata
col coltello alla schiena
perdendo poco sangue
Un uomo:
[40] Lo scherano capo è Antonio
che conta le ferite.
Egli poi celebra Cesare con un poco di ironia.
Fréron:
I poeti sono fantasiosi
cantano cantano cantano suonano senza fine cicale esacordi
[accordeon o spinetta
[45] magari perdono il fiato ma non si accorgono che
si fa tempesta.
Il tempo di passare
dall’armonium da camera all’archibugio.
Scherano capo:
È così è così
[50] mai la smettono
per quel tale gorgheggio alle volte
sono fastidiosi ma può anche capitare come in questa occasione
[di diventare addirittura pericolosi.
Fréron:
Grano allora
che si taglia alla radice
[55] – la radice del grano.
Una voce:
Ecco un parlare fiorito
per anticipare fatti atroci
Scherano capo:
Chi vi dice signore
che anche noi non abbiamo talvolta un po’ di poesia?
[60] O fantasia per queste cose?
Da piccolo avrei voluto diventare pittore
bei cieli azzurri
bei cieli sereni
oasi di pace
[65] e lunghi
lunghi
nei campi
silenzi sereni
Fréron:
Poi questo cadavere puzza come puzza
[70] il cadavere di Cesare che era un eroe e
grande capitano fu oliato e coperto di rose
mentre questo occorre rimirarlo in fretta e poi
seppellirlo
Scherano capo:
Come i signori hanno visto e rivisto considerando il corpo
[di reato davanti didietro qua e là
[75] su giù
questo Millius ha il sapore di impiccato
per autodeterminazione.
Ciascheduno si prenda le rispettive responsabilità e non si venga poi a dire che l’abbiamo accoppato. Tali cose
nella camera della giustizia (che è antiporta dell’eternità)
[80] non si fanno. Come sapete, dovete sapere, saprete.
[Il cancello, vigilato da sei soldati, si chiude alle sue spalle e più nessuno ne parla, più nessuno gli parla, anche se l’arcivescovo insiste per portargli la parola della fede e l’ambasciatore d’Inghilterra ed altri fanno domanda per vederlo.
Molto più tardi A. B., valendosi della qualità di deputato e di un vivace scambio di telegrammi col ministro e col direttore generale delle case di pena, riuscirà a penetrare nel maschio: lo spettacolo che si presenta ai suoi occhi è orribile.
Per i primi due anni e mezzo Passanante è stato rinchiuso in una cella posta sotto il livello del mare, nel buio totale, e l’assalto dell’umidità, delle infiltrazioni saline e dello scorbuto gli ha fatto perdere tutti i peli, perdere il colore, rovesciare le palpebre sugli occhi, gonfiare il corpo. In questo stato venne portato in una cella sopra il livello del mare, avendo cura di non permettergli di vedere il cielo nemmeno durante il trasferimento.
Ormai non riesce più a sopportare la catena di 18 chili che
[gli opprime in permanenza le reni
i battellieri che passano vicino alla torre
[85] odono giorno e notte il rumore della catena trascinata
e un lamento
a volte di dolore
a volte di rabbia]
XII. Per la strada, popolo di Parigi.
Un uomo:
Ci tormentano spintonando per le strade
Un uomo:
Soppesano scrutano e
sei incastrato. A destra non puoi andare
a sinistra devi dritto procedere
[5] non voltare il collo
e passo dopo passo per non dare sospetto
di fuggire
Un uomo:
Una città si spopola
dalle finestre serrate cento occhi ti guardano
Un uomo:
[10] Passo dopo passo, certo. Le galere sono piene (già)
per strada passano ripassano soltanto sbirri vecchi
giovani sbirri e intriganti sbirri
sbirri assoldati per ascoltare provocare riferire qualche volta
[anche uccidere evitando di perdere il tempo e
dare giustificazioni.
Un uomo:
[15] Tutto cominciò per un temperino
Un uomo:
Cominciò tempo fa
Did ha voluto strafare evitando
di correre nel seminato, scegliendo cogliendo censurando
non si può pensare in modo diverso
[20] se non sono diversi gli uomini. Li sorprendi, li offendi
alcuni indifferenti non ascoltano
altri vivono lontani nella loro ignoranza (che è felice, perfetta)
alcuni pigliano l’imbeccata
ma i nemici veri
[25] fra le colonne all’oscuro sono
i signori della guerra coloro
che ti colpiscono al cuore nel safari
al posto del leone.
È un incidente di caccia
Un uomo:
[30] Il processo a Millius non si poteva fare né
si doveva
così garrotato è stato meglio per tutti
per lui che è morto
per coloro che cercano
[35] e per noi che restiamo
Un uomo:
Alle volte è più difficile reperire un pretesto o il pretesto
[delle cose
che raggiungere in fretta il cuore del fatto e dell’azione o come
[dire il cuore del carciofo
Un uomo:
Il fiore resta in mano
radunando con la sua puzza
[40] frotte di moscerini.
Il fatto è che alle volte bisogna (è necessario) dare
una giustificazione.
XIII. D’Agnesseau. Scherano capo, Provocatore.
D’Agnesseau:
Giustificarsi è da imbecilli.
Così è sciocco (anche pericoloso)
scambiare o lasciare scambiare il corpo di un ladrone
per quello di Cesare.
[5] Ma siamo matti?
si perde anche il senso delle proporzioni.
Scherano capo:
Uno scherzo, soltanto uno scherzo e l’episodio
era riportato con malizia. Noi
non verremo meno all’impegno di camuffare la verità
[10] poi il travestimento della verità d’altra parte oltre che un
impegno professionale
è molto divertente. La verità della realtà
è così noiosa. È così vuota infine
la vita dello scherano
D’Agnesseau:
[15] Travestitevi se volete purché portiate a termine
questa operazione. La quale, con ogni incastro al momento
[stabilito,
porterà la Franza all’ordine
che durerà.
Voi con noi e voi insieme ad altri
[20] avrete questo onore e qualche pratico riconoscimento.
Per nulla si fa nulla e questa gentile proporzione
è valida al nostro fine
e al caso particolare.
Scherano capo:
Did è libero
[25] passeggia
se ne fotte
quello è il cervello della banda
bisogna metterlo in condizione di non funzionare.
D’Agnesseau:
Con un po’ di educazione.
XIV. Did e Sofia.
Did:
Mi sono convinto che mi rimangono pieni, integri,
tutta la fantasia e il calore dei trent’anni, con un fondo
di conoscenza e di giudizio che non avevo punto allora;
ho preso la penna;
[5] ho scritto per quindici giorni di seguito, dalla sera alla mattina,
ho riempito d’idee e di stile più di duecento pagine
con la scrittura piccola minuta con cui vi scrivo le mie lunghe
[lettere e sulla stessa carta
Voi fate troppe lodi alla mia penetrazione.
Quando si ha un poco l’abitudine di leggere nel proprio cuore
[10] si è consci di quel che passa nel cuore degli altri.
Quanti degni pretesti ho
preso nella mia vita per buone ragioni!
Son tre giorni che Rousseau è a Parigi.
Io non mi aspetto una sua visita
[15] ma non vi nascondo che mi farebbe molto piacere
e sarei ben lieto di vedere
come giustificherebbe la sua condotta nei miei confronti.
Ah
Suart si è sposato ieri
[20] Suart mi è caro
Alcuni mi dicono anche di fuggire
di stare nascosto
mi avvertono di un grande pericolo
Non ci posso credere
[25] in quanto devo continuare a lavorare
con la stessa lena.
E poi, perché fuggire?
Parte terza: leggi conclusione
I. Ancora l’hippy del prologo, sub specie aeternitatis, che appare e confabula quasi fra sé e sé, con convinzione; mentre nella scena d’inizio era sulla declamazione (alquanto didascalica). Cammina, ed è tutto convinto, sconvolto. Dice:
Passanante, non ti pentire.
Questa terra tinta (una volta) d’autunno
si colora di sangue
la tortura è questa
[5] oppure la tortura è quest’altra (non si dice)
c’è molta felicità per certi uomini
per altri uomini c’è molta infelicità.
Il ludibrio di una società:
cani i cani
[10] cani i cani sono più felici degli uomini.
Ora hanno ordito una congiura
i cani della santa inquisizione,
smantellando pietra su pietra
a colpi di codici che sono santi
[15] di lemmi, di cavilli
di mandi e rimandi, di botti e chiose vespertine
di sofismi esecrabili
– il re mangia col ministro e fatica a pensare (coprofago)
il ministro mangia col re e fatica a pensare (coprofago)
[20] il ministro chiede al sovrano una marsina (ah, quella marsina)
il sovrano largisce lire 50.000 per spese di rappresentanza
al suo primo ministro e gli regala
anche
una marsina (quale marsina!)
[25] in fine el-rey parla ironicamente di tutte le volte che ha dovuto
[ricomperare la spada di Garibaldi dai figli.Ma la congiura è nell’aria.
La pace sociale è conseguenza (dicono i potenti)
di una battaglia vinta
– a colpi di spingarda e di cannoni
[30] uccidi uccidili uccidere i
cafoni
Alle volte è anche accaduto può anche accadere
che c’è pace sociale perché
tutti gli avversari morti, per terra, distesi, hanno gli occhi rivolti
[35] agli occhi del re
[Il cav. Angelelli che era stato trasferito apposta quale direttore a Santo Stefano per ordire la trama e che poi era stato lasciato nella peste, ora che è in pensione vuole vuotare il gozzo e pubblica i nomi dei tre commendatori che gli avevano impartito le direttive: Beltrami-Scalia, allora direttore generale delle carceri, il suo successore Cavenelli e l’ispettore generale Doria.
La lettera passionale di Pasqua Venaruba, amante di Acciarito, era stata scritta dal comm. Doria, firmata per la Venaruba dal comm. Cavenelli e indirizzata al cav. Angelelli, direttore del penitenziario di Santo Stefano]
Tuttavia alle volte accade è anche accaduto può accadere che
allora
allora
[40] allora
II. Scherano capo, sbirri. Gli sbirri sono in alta uniforme con scarabattole di gas tossici, esilaranti, defolianti, venefici, accecanti, raggi mortali, bombe, schioppi, scudi, trombe, baionette, mitragliatrici, mortai, elicotteri, carri, gieppe gieppine gieppone visiere. Pronto intervento delle forze di un ordine – in questo lontano secolo dei lumi.
Scherano capo:
Tu con questi, là.
Tu con questi, qua.
Tu con quelli, su.
Tu con quelli, giù.
[5] Tu qua qua e qua
tu con voi e voi
tu con quelli e quelli
là su giù indove pertanto
postergo presumo indulgo esplico resurgo auspico.
[10] Ogni buco della città
di questo faro di questa culla e vero tabernacolo
sia presidiato e
nottempo se s’alza
il grido del-
[15] la civetta
si faccia in modo che (in quell’ombra) gli impiccati dondolino
per dare il senso di uno scuotimento di corpi d’averno
di corpi di fuorivia
di un valzer d’anime dannate
[20] Vogliamo salvare (preservandole) le istituzioni?
Gli sbirri (escono cantando):
Nel caldo dei deserti
e tra la rena ardente
insegneremo a vivere
ai negri civilmente.
III. Entrano in forma di balletto, tuta nera (?), con maschere abbastanza stilizzate, torve, i cacouacs. Costoro sono molti, uguali, altimagri, sui trent’anni.
Cacouacs:
Oro inglese
Braccio italiano
Libro francese
Ci disponiamo a vincere
[5] perché abbiamo l’arma segreta qua (mostrano la lingua)
un veleno che si coagula
e possiamo sputare
in faccia addosso negli occhi sul collo uccidendo
nessuno può resistere all’attacco e
[10] terrorizzato s’arrende si convince cede decade alza le mani
[muore
La forza della lingua
come dire la forza della spada
e di conseguenza dello sputo
Un veleno (nero) contro le argomentazioni e il casino
[della questua
[15] andare fare disfare
un’azione pulita discreta immediata che rimetta in riposo le ali di quei tali che credono di trascinare il mondo a pancia in su.
Non ci vuole poi tanto.
Una gabbia per questi uccellini perfidi o
soltanto irriducibili,
[20] proprio come una malattia.
IV. Gli scontri per le strade. I cacouacs e il popolo che si batte.
Uno:
Ecco che tornano con
fuori la lingua
sputano
Uno:
Sputano lungo ma basta
[5] calcolare la traiettoria dello sputo
se non colpiscono subito
puoi batterli con il bastone
Uno:
Restiamo sparpagliati
a due per volta
[10] uno sta alle spalle pronto con il bastone
uno provoca e attira
Uno:
Uno, uno
(guardate, guardate qua)
è il terzo che cade
[15] ha lo sputo nero
va per terra come il fiele della seppia
Cacouac:
Eppure con lo sputo
devo pur colpire qualcuno
ucciderlo intimorirlo
[20] farmi rispettare
così (sputa addosso a uno che lo evita mentre un secondo lo sorprende alle spalle e l’abbatte).
Uno:
I cacouacs sono in fuga
i cacouacs sono in fuga
come i topi nelle fogne
(La zuffa si accende e si spegne. S’accendono e spengono fuochi).
V. In qualche luogo: sottoportico, calle, rua o stanza privata. Il gruppo ansimante, stanco ma soprattutto sbalordito dei cacouacs. Si guardano l’un l’altro, voltano e rivoltano la testa senza parlare.
Muovono le mani
la schiena
il collo
i piedi
ed è coi gesti che dicono (si dicono) tutto. Non sembrano ancora sconfitti ma in quella soporosa meraviglia che è l’ombra di un dubbio già
lo sputo
gli sputi
oppure col mio sputo
PER TERRA COME IL FIELE DELLA SEPPIA.
VI. D’Agnesseau e Scherano capo.
D’Agnesseau:
Sarete tenuto responsabile
se questa operazione di polizia che avrebbe dovuto concludersi
[in poche ore
avendo di fronte piccole teste d’uovo
qualche gaglioffo, giovani di primo pelo
[5] non avrà non darà
il risultato sperato in alto loco.
Scherano capo:
I cacouacs hanno deluso, hanno retto male alla prova
i loro sputi (come i loro fiati) erano
carichi di poco veleno, sbiaditi e innocui.
[10] Proveremo e riproveremo con cacouacs più rodati sperimentati
[addestrati
e se non serve ancora proveremo poi con bo e fu e mi e ga, agiremo per servire il paese servire il re ridurre ogni cosa all’ordine preservare la specie tutelare il paesaggio.
Tutto è dovuto alle circostanze.
VII. Alcuni borghesi che leggono sulla gazzetta un articolo di Fréron.
Uno (legge):
Tutto il popolo benpensante
dalle classi responsabili e colte
alla classe più modesta ma altrettanto utile e docile (quando
[resta docile)
deve colludere
[5] perché i rossi maledetti siano scancellati dal bel paese
ciurma appestata che ha attentato al re
con un temperino. Buon popolo
per strade e sentieri batti ribatti vinci convinci
in sintonia coi cacouacs
[10] per qualche giorno
ma un po’ di sangue versato
non ha mai fatto male ad alcuno.
Uno:
Dice bene ma questi cacouacs che dovevano
sputare forte e diritto
[15] non sono poi…
Uno:
Scrive bene ma questi cacouacs baldi giovanotti generosi e fedeli
ieri l’altro in loco
sopraffatti dall’emozione (forse)
non hanno poi sputato forte diritto e allora
[20] non sono poi
Uno:
È così e così, un po’ di sangue
versato non ha mai fatto
Lo sputo dei cacouacs deve essere più forte e diritto
così preciso mortale feroce
[25] da tranquillizzare
Non sembra che
Eppure se Fréron ha scritto batti e ribatti deve avere fiducia
sapendo le cose
Egli insomma convince
VIII. Did e Sofia.
Did:
Sono andato da d’Agnessau e non mi ha ricevuto.
Il mio studio è stato perquisito
tutte le carte all’aria
alcune perfino bruciate.
[5] Per fortuna che i fogli dell’enciclopedia
pronti per essere stampati
li ho nascosti per bene e non saranno scovati.
Poi mi cercavano e non mi hanno trovato.
Ho usato qualche astuzia.
[10] Ho scritto e stampato questo volantino
che spiega le nostre ragioni e dà qualche buona idea
almeno credo.
Ormai è venuto il tempo di una giusta vendetta, di una giusta
[forza, di un giusto coraggio.
Ricordate, un tempo?
[15] «E dove andate con quell’abito color mattone?
A cena dalla baronessa, e di lì in campagna.
A che ora volete arrivarci?
L’ora non ha importanza; e voi, cosa farete?
Vado a chiacchierare in via dei Vieux-Augustins, a tentar
[di dimenticare
[20] Gli sgarbi della vita, e riconciliarmi con gli uomini».
Come tutto è lontano, oggi.
Come è giusto che tutto questo sia lontano, oggi.
IX. Popolo, quello che non ha paura, sulla strada a battersi (ancora) contro i cacouacs e contro gli altri sbirri che corrono suonano sparano gridano. Il popolo attacca o si difende in silenzio. Fra loro c’è Did – poco smanioso, quasi intimidito.
Did:
Questa violenza è orribile
eppure questa violenza è necessaria.
I cacouacs sputano nero
col veleno sotto la lingua
[5] perché hanno una rabbia addosso,
chiamano sbobba le nostre idee
come dire sbobba a una cosa che si mangia o a una cosa
[che si legge
Uno:
È feroce la rabbia, questa rabbia è feroce
segno tempestivo e particolare
[10] che abbiamo più forza nelle cose dette, cioè nella sbobba
[che diciamo, di quanto immaginavo
Uno (che si è appena battuto):
Non accarezziamola questa forza e poche storie.
Indicandoci di bene pensare
io mi sento proprio una forza nel braccio
una spinta nel fare e quella tale speranza
[15] che la giornata di oggi sia meglio di ieri e sia molto utile
[per domani.
Did:
Così argomentava Ep nelle lotte del giorno, per il senso delle cose e sul sentiero di guerra
(anche Did adesso s’azzuffa con un cacouac. Lottano per terra poi il cacouac sputa, Did schiva e con un pugno l’abbatte).
X. D’Agnesseau e Fréron.
Fréron:
La città è un’enorme arena
quasi tutti si battono e non vogliono cedere. Anche se poi cederanno o finiranno per cedere. Ma la forza di questo esempio!
Chi avrebbe creduto che quattro esaltati
avrebbero potuto fare questo macello
[5] darci questa noia – non solo, ma avere tanti amici?
D’Agnesseau:
Calcoliamo premesse risultati.
È che tutti, e mi metto nel mazzo,
avevamo sottovalutato Did e la sua corte, quel manipolo
[di strambi individui che si aggiravano,
la sua opera che continua
[10] quel fare e disfare
Abbiamo cercato di fotterlo nel modo tradizionale.
Non era proprio il caso.
Fréron:
A noi conviene per un poco di star zitti
e di ammettere d’aver perso la faccia. Per un poco.
[15] Converrà ritoccare sulla gazzetta
il ritrattino di Did
non più squartatore ma santo
e fior di cherubino.
XI. Did per la strada, con altri.
Did:
Vi siete mai chiesti com’è accaduto
che dai romani (antichi)
siano usciti gli italiani? È un’ipotesi, un esempio.
Da un popolo così fiero, orgoglioso, così sicuro della sua
[superiorità sugli altri
[5] com’è potuto accadere che sia seguito un popolo così fragile,
[incerto imprevedibile, futile litigioso così maldestro
mal governato
indifferente
tenero indifeso, disgraziato?
Confrontare la maschera di un Cesare
[10] con quella di Bruto
contemporaneo.
Quale orrore
E che errore
Ebbene, per noi, la novità
[15] deve essere quella di non avere
antenati e di segnarci
giorno per giorno la nostra faccia nuova (non un’opera
[di restauro ma un condensato di anatemi). Di
non avere i piccoli busti al Pincio
i grandi antenati a cavallo
[20] o splendidi quadri al Louvre.
Sul nostro specchio (che è l’identico specchio)
e con la stessa matita
ci ricalchiamo le ciglia
per essere più marziali – e un poco più misteriosi.
XII. Did e Sofia.
Did (euforico):
Se solo alcuni anni fa
m’avessero detto che tutto sarebbe successo in questo modo
quando presi in pugno il grande lavoro
ed ebbi le prime minacce
[5] le prime mortificazioni
gli amici che mi lasciavano
Passo passo siamo qui e
niente aria di vincitori
però dicevano del sottoscritto:
[10] una testa enfatica
un entusiasmo da pitonessa
un disordine nelle idee simile a quello del caos
una penna che segue tutti gli slanci del cervello
ebbene sì, ma gli slanci del cervello di tutti
[15] per dargli un poco d’ordine
e una certa maniera.
Eccomi liberato da un gran numero di potenti nemici
e invece ho amici
per le strade
[20] distribuiti qua e là
XIII. Radunata di sbirri e cacouacs nel salone dello scherano capo.
Scherano capo:
Siete mosci
vi capisco
non ho alcuna censura per voi
se la censura s’intende per una cosa non accaduta o male
[accaduta.
[5] Oltre non si andava.
Le previsioni degli esperti erano altre
rilevamenti d’agenzia davano per certo
che la gente annoiata stanca disattenta se ne sarebbe fregata
e che lo sputo dei cacouacs così preciso nell’intento
[10] e forte nella direzione
avrebbe sbalordito;
che il 68% o solo il 12% invece
o anche il 24% così e per dove…
Andate a leccarvi le spalle
[15] a pigliare fiato
ad asciugarvi i piedi
che adesso fate un poco pietà bravi ragazzi.
XIV. Entrano nel salone dello Scherano capo prima d’Agnesseau e poi Fréron.
In seguito entra Did.
D’Agnesseau:
Legge e pubblica opinione
insieme alla pulizia dei cantoni.
I gesuiti sono i veri sconfitti (col re)
la loro campagna di stampa è naufragata
[5] avendo perso potere l’ordine è soppresso
le rendite incorporate
i frati obbligati a svestirsi o a scendere in Italy
– quello è il loro posto.
Senza scoppi o feriti, cioè senza troppi scoppi e feriti
[10] e senza troppi morti
c’è da una parte chi ha vinto
dall’altra un perdente.
Oggi come oggi dobbiamo lasciare tale e tale e tal altro
liberi di scrivere e stampare
[15] dopotutto perché stampare è anche una necessità.
Fréron:
Stampare bene è una necessità
pensare bene è una necessità
ora dobbiamo rassegnarci ad ascoltare soltanto
le lagne di quei quattro gatti
[20] che rifanno il mondo
e questo perché lo sputo di qualcuno non è zolfo
non è piombo fuso
D’Agnesseau:
È che le idee hanno le gambe lunghe
Scherano capo:
Da parte mia conclamo
[25] che le forze di polizia
hanno fatto tutto intero il proprio dovere.
XV. Per la strada.
Uno:
Sputavano sputavano sputavano e le pietre
erano nere per terra
un filo di sputo
eppure tutti cadevano colpiti alle spalle, con una botta giù
Uno:
[5] Una battaglia
Uno:
Altri sparavano dai tetti
cercando di colpirci
ed erano sostenuti dalle grida dei ricchi
che urlavano «accoppateli, accoppateli»
[10] e battevano le mani, gettavano fiori se…
Uno:
Una rabbia feroce e un’autentica paura
XVI. Did e Sofia.
Did:
Lungo il fiume camminiamo
contro le acque quiete
guardiamo il cielo
in quest’ora di tramonto.
[5] Lontano dalla guerra
abbiamo appena ieri terminato una guerra
così almeno ci parevae stamattina come un reduce
faccio progetti per domani.
[10] Vi ho narrato, credo, come qualmente il signor Le Gendre
[e Gaschon si eran
trovati a casa mia la stessa mattina
Gaschon non si sedette nemmeno, il mio focolare freddo
[lo mise in fuga.
Dovendo il signor Le Gendre sbrigare molte faccende
[e disponendo di poco
tempo per restare a Parigi, uscimmo insieme
[15] e fummo subito nella battaglia.
Insomma, l’imprevisto una coincidenza ci aveva unito
ed essa stessa ci ha fatto battere insieme e diventare amici.
Spero che ci rivedremo domani e che non avrete alcun rimprovero per i prossimi giorni.
XVII. In piedi e gesticolanti i cacouacs superstiti che si medicano le ferite, prendono fiato, sospirano. Al margine, quasi (o certo) a conclusione della scena III della seconda parte, Belbuch e Zeombuch questionano ancora fra di loro, a voce un poco roca e con manifesta stanchezza.
Belbuch:
Non alzare la cresta,
la vittoria (la supremazia) di un momento
non dà alcun diritto a sperare in eterno
e crea soltanto piccoli privilegi
Zeombuch:
[5] Sto in un angolo sperando di aumentare la mia attuale fortuna
[con qualche buon colpo ancora
e se mi è possibile vedo di farmi qualche nuovo amico.
Vincere, in questa forma, è già qualcosa di più (di più duraturo
[intendo)
non dà, questa vittoria, i piccoli privilegi che dici e che servono
[a pochi pagamenti
ma libera soprattutto dagli errori che si facevano
[10] e dai nemici che sembravano amici.
Insomma questa vittoria è un piccolo pandemonio
è l’inizio (soltanto l’inizio) di giorni un poco diversi
senza gli stessi grugni
(i cacouacs lo guardano mentre parla, si avvicinano, ascoltano poi gli saltano addosso e a colpi di sputi l’uccidono).
Belbuch:
Come sanno anche i cani
[15] una vittoria non è mai definitiva (per nessuno)
e non si può mai contestare che lo sputo sia innocuo
quello dei cacouacs adesso uccide per davvero
(avete visto la documentazione)
forse era soltanto la mancanza
[20] di specifica carica emotiva
che annacquava il veleno.
Abbiamo corso un pericolo
il pericolo permane
per parte nostra, mentre gli altri grondano felicità
[25] grondano solidarietà (dovizia di particolari)
cercheremo di riportare adagio le cose
adagio con un po’ di malizia
adagio queste cose
alla nostra misura ad hoc (voglio dire al punto di prima)
[30] mentre il suffragio è universale
ad hoc
alla nostra misura
eccetera eccetera
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: testi teatrali
- Editore: Pendragon
- Anno di pubblicazione: 2002
- link_esterno: http://www.pendragon.it/libro.do?id=2038