Bravo Schumi, ma diamoci una calmata

Certamente, se è consentito ripeterlo ancora una volta, la nostra terra italiana è diventata il luogo privilegiato dei sentimenti smodati, delle esaltazioni, delle esternazioni a gola aperta. Tanto è vero che, alcune settimane fa, proprio Schumacher (con precipitazione affannosa incoronato re con il nome di Schumi I), Schumacher, ripeto, in una intervista fuori dalle grida, quindi quieta e motivata, si diceva frastornato e nello stesso tempo turbato e sorpreso dalla prorompente incombente pressione del tifo italiano, in ogni senso e in ogni luogo: dalla stampa famelica ai tifosi che non danno tregua e «se mi agguantano mi baciano perfino in bocca».

Lunedì, dato che domenica la Ferrari 310 di Schumacher ha vinto il Gran Premio a Monza dopo otto anni di tormentato digiuno, la esaltazione retorica è tornata ad esplodere: «un pilota, il destino e l’Italia»; «una Ferrari da sogno»; «fantaferrari»; «il sogno affascinante»; «l’amore appassionato»; «il brivido che eccita»; «l’invasione oceanica della pista»; «la marea rossa che urla il nome del Drake».

C’è da chiedersi, restando con i piedi per terra: non sarebbe opportuno, dentro una giusta soddisfazione tutta poi da verificare e da confermare, darsi una generale calmata? Considerando almeno che in vent’anni la Ferrari a Monza ha vinto solo quattro volte, con Regazzoni, Scheckter, Berger, Schumacher; come si vede, sempre con piloti stranieri; e che dal 1951 (prima vittoria con la Ferrari 375 di Ascari) ha vinto undici volte ma solo tre volte con piloti italiani (Ascari due volte e Scarfiotti). Semmai si dovrebbe concludere che la strada per un risultato davvero duraturo è ancora faticosa, impegnativa. Neppure dimenticando che domenica, a Monza, non c’è stato scontro duro e aperto ma che soltanto dieci macchine sono arrivate alla fine e soltanto cinque fra queste a giri pieni.

Allora, per uno sportivo acceso ma senza esaltazioni, i dati più confortanti e determinanti della gara (se il tifo deve cercare sempre di affidarsi alla valutazione obiettiva, al riscontro culturale e reale) dovrebbero essere due, ai fini di una corretta lettura; uno negativo e specifico, l’altro positivo: le assurde e deleterie cataste di pneumatici collocate con frettolosa risoluzione alle varianti, e contro cui sono andati a impattare un po’ tutti, da Hill a Villeneuve, a Irvine e lo stesso Schumacher, stravolgendo l’interesse del Gran Premio; invece, il nuovo record della pista stabilito da Schumacher a 236.064, contro il precedente di Herbert ottenuto l’anno scorso sulla Benetton Renault a 233.844.

Questo è veramente un risultato confortante, confermato dal terzo posto a cui era arrivato l’eccellente ma emarginato e snobbato da stampa e pubblico Eddy Irvine con la seconda Ferrari fino al momento del ritiro, al 24esimo giro, per l’impatto contro il muretto di gomme nelle varianti e la conseguente rottura di una sospensione.

E proprio nel giorno delle fanfare e del tripudio rivolto a un re appena eletto, vorrei dedicare alcune parole al secondo pilota della Ferrari, l’irlandese che negli anni scorsi si conquistò molta stima per essere velocissimo, audace, attento, sicuro. Ingaggiato quest’anno dalla Ferrari, è rimasto soffocato dallo strapotere di Schumacher a cui sono andate, così è sembrato, tutte o quasi tutte le premure della scuderia.

Ma così è fatto il palcoscenico della Formula 1, su cui si svolge uno spettacolo sempre più faragginoso, stravolgente, costosissimo. Si veda per esempio la sorte di Damon Hill, inglese contratto, un poco nevrotico, un poco scontroso ma dalla guida calcolata, audace al giusto, senza intemperanze in gara, quasi matematico ma spettacolarmente non esaltante. Vincerà quest’anno il campionato del mondo, eppure viene trattato e descritto come un incerto, un titubante, un poco affidabile; impietosamente. E questo, soltanto perché non buca il video. La stessa sorte forse toccherebbe al grandissimo Varzi, se corresse oggi. Ma alla fine, si può concludere il discorso ricordando il grande striscione steso di fronte alla retta d’arrivo che diceva in inglese «benvenuti al primo Gran Premio della Padania». È rimasto disteso per tutta la gara e non un fischio. Ah, Italia, Italia…

 

 

 

l’Unità 2, 10 settembre 1996.

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: articoli su quotidiani, settimanali e mensili
  • Testata: l’Unità 2
  • Anno di pubblicazione: 10 settembre 1996
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