I petali degli anni trenta

Che magnifica opera! Nuova e completa, così mi pare, e non rimasticatura computerizzata: Enciclopedia dei fiori e del giardino di Ippolito Pizzetti (Garzanti, pp. 1006, L. 68.00). È come entrare in un grande bosco che raccoglie non alberi ma fiori; e aperto al cielo. Un cielo tersissimo, rilucente; luminoso di colori con ordine ravvicinati o contrapposti. Sicché quest’opera potrebbe intitolarsi, in modo più esaustivo, Enciclopedia dei fiori e del giardino e della giovinezza che non finisce». Ci rimanda, con l’impegno, il peso reale di quasi mille pagine, a fare una rigorosa, finalmente seria e necessaria, verifica del nostro rapporto con la natura; in questo caso, con gli angeli della natura naturans. In un mondo che, insieme al fulgore degli occhi, dovrebbe proporre l’inarrivabile e quasi indicibile mistero del profumo; mentre oggi siamo sospesi in un grigiore uniformato che non rende più alcun «naturale» risalto all’odore. Profumano le rose oggi? O non sono, piuttosto, «profumate»? Come non godiamo più dei «sapori» (essendo verdure e frutte quasi tutte allevate, prodotte, con le più elaborate alchimie, che le sbiadiscono), così non ci rapportiamo più ai profumi autentici (ben altri, dovrebbero essere, da quelli della grande o minima industria).

Se ritorno per un momento – a solo scopo esemplificativo – ai miei anni, devo dire che non ho mai regalato un fiore; ho sempre regalato un libro. Anche quando ero giovane giovane e l’odore della canapa in fiore, dalle mie parti, andava per la pianura come un vento di maggio e inebriava solo a respirare l’aria – prima di morire sfinito nei maceri. Sembrava l’odore di un bosco fiorito e pronto a scoppiare nel fuoco. Quelli erano bei tempi per i fiori. Per tutti i fiori. Niente guerre, ancora, nessuna bomba nei giardini, solo mare di cielo per chi giovane giovane era e poteva godere anche dei fiori.

Adesso sono altri tempi per altri fiori (da catena di montaggio). Dopo la guerra altre guerre continuano; e continuano a piovere bombe sui fiori; e c’è poco mare di cielo limpido da ammirare e da odorare. Come è scomparso il silenzio (rintanato in ambiti esigui e lontanissimi) è scomparso il profumo della terra e dei fiori. Che sono ormai prodotti da «mordi e fuggi»; lontani, per le generali, da un uso di autentico amore. Sono lì, nelle vetrine, o spesso nelle case, come cagnolini abbandonati sulle autostrade nei giorni di ferragosto.

Fanno tenerezza; svaniscono in fretta come farfalle. Anche nelle corone per i morti hanno un uso rapido; e spesso passano da corona ad altra corona, in frettolosa successione, come si è letto molte volte sui giornali.

Se posso esemplificare, non terrei un fiore in casa, neanche una rosa; così come non terrei un cane o un gatto. Mi intenerisce la rosa; e il cane o il gatto, così diversi gli uni dagli altri. Ma vivo nei tubi di cemento, dentro o in mezzo all’orgia gassosa della città, qua sotto tremolante, vibrante, urlante, gridante, chiassosa, tenera, inerme, spietata, violenta, indifferente, imprevedibile, generosa, cauta, malferma, e non c’è posto (non ci dovrebbe essere posto) per cane, gatto o rosa. Talvolta, verrebbe il bisogno di dire, neanche per l’uomo. Perché cane, gatto o rosa (e spesso anche uomo/donna) sono destinati, per il presente destino, a intristire, ingrigire, sfiorire e sperdersi in fretta, senza lasciare un segno. Adesso, dico; forse domani non più, se vogliamo e speriamo.

Ma questa opera (splendido lavoro) mi ha anche motivato alcune private tenerezze della memoria e dei sentimenti; quando, attraversando lo stradario dei nomi e le ampie motivate completissime annotazioni, svolgendomi da sorpresa a sorpresa, sono pervenuto alle pagine 375, 557 e 804 dove si registrano, con precisione sapiente, i lillà; e alle pagine 344, 345 e 793 (soprattutto a pagina 345), la ginestra: «uno dei cespugli più deliziosamente profumati del mondo». Perché è vibrante il mio rapporto con esse.

Per la ginestra, c’entra poco o nulla Leopardi. Lo so: la definizione dapprima odorata (L. è egoista: odorata da lui, non intesa odorosa anche per gli altri; la solita avida appropriazione leopardiana, che non concedeva scampo). La dice fior gentile, al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo che il deserto consola: poi la dà, quasi in un destino, spacciata: E tu, lenta ginestra, che di selve odorose questa campagne dispogliate adorni (i dintorni di Napoli) soccomberai del sotterraneo fuoco (quello del Vesuvio) che ritornando al loco già noto, stenderà l’avaro lembo su tue molli foreste.

No. La ginestra, per me, più modestamente e privatamente, è legata alle prime snebbiate settembrine sulla collina nei dintorni di Bologna, vicino ai calanchi che sono grigi, stempiati; e là, la gialla splendidamente appannata ginestra era il solo occhio vivo che costellava, inanellandoli, quei dirupi: dava a loro luce. Splendore.

Il lillà, per me, è legato a Walt Withman, negli anni degli anni. Letto ancora di nascosto sui banchi di scuola, negli opuscoletti della Biblioteca Universale Sonzogno (numeri 169 e 198), traduzione di un Luigi Gamberale. Poeta da leggersi per intero, dal principio alla fine; ma per i lillà, nell’indimenticabile requiem per il presidente Lincoln: «Quando gli ultimi lillà fiorivano giù nella corte, / E il grande astro della notte tramontava di buon’ora nel cielo occidentale, / io piangevo; e così piangerò sempre, ad ogni ritorno di primavera /… Giù nella corte, che si stende dinanzi una vecchia casa campestre, presso la palizzata tinta in bianco, / Sorge un cespuglio di lillà, vegeto, alto, con le sue foglie di cupo verde tagliate a cuore; / Sbocciano ed apronsi in esso, delicati, molti fiori, il cui forte profumo io prediligo, / e le cui foglie sono tutte un miracolo…».

Che meraviglia la poesia, e che meraviglia i fiori così disposti dentro alla poesia.

In questa Enciclopedia è come se i fiori ritrovassero la loro storia, la loro giovinezza; e si fossero radunati per una lettura comune, ad alta voce, dell’archivio di famiglia. La loro epica genealogia.

 

 

 

Alias, supplemento a “il manifesto”, 13 marzo 1999.

 

 

 

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