Gli occhi della bambina e l’eclisse
Gli occhi della bambina e l’eclisse
Fotografie di Guglielmina Otter
con annotazioni di Roberto Roversi
PREFAZIONE
È davanti alla tela diurna della veglia o all’immagine notturna del sonno alla palpebra abbassata del cosmo durante l’eclisse, che la poesia risponde agli occhi, al volto, in un dialogo tra sguardo e voce. Roberto Roversi narra di una corrispondenza che non è solo tra organi, non solamente tra i media e i codici, ma si fa entro la medesima visione poetica. Così gli occhi, che sanno il mistero del reale, conoscono il colore dell’affetto, annunciano viaggi, diventano forza attiva d’irradiazione e d’espressione, mentre la leggera trina della reiterazione anaforica o l’altalenare di nette coppie opposte spostano il verso in un tocco di pittura che vorremmo definire “verbale”.
Se l’occhio è lume e coscienza, è altresì partecipazione ad un segreto che appena può rivelarsi nella sillaba: domande che sprigionano favole, metafore abbaglianti che riscaldano la parola, delicate innervazioni aforistiche, via via in volo di pensiero per distendersi nell’infinito della vista: “guardare vedere osservare”.
Avviene anche che la parola ritrovi in sé il desiderio e le ragioni della propria libertà, che si veda: raccontando altro traccia infanzie di mito e letteratura, nominando il colore porta le tonalità al tono, visitando gli spazi riconosce il luogo del lirico. La poesia allora illumina e purifica un concerto di sguardi ed echi, tracce che risalgono dall’antica composizione cinese o atmosfere che ammiccano dalla classicità greca.
Gli occhi del poetico paiono dunque, come voleva Ildegarda di Bingen, indicare le stelle che a tutto danno luce. Se qui lo fanno è per la capacità di donare. Nella sinestesia operante del verso, nel gioco antinomico di vecchio e giovane, si apre una scena ricreante le cose, del rinnovamento: “Come se il mondo fosse nuovo / davvero / per la prima volta”. I versi, Roberto Roversi lo esempla, si disegnano come sentieri nel campo del vivere.
Alberto Cappi
GUARDARE ASCOLTARE
Spesso la verità non ha tempo da perdere, per questo ama la sintesi che ha quelle pieghe in cui le piace nascondersi. Per questo ama anche la poesia che vaga alla ricerca di una mente in cui espandersi, dove parole o immagini che siano si dilatano al punto di diventare insostenibili, occupando stanze sempre anguste e mai sufficienti.
Allora, per il titolo di questa riflessione prendo in prestito un verso di una poesia di Roberto Roversi, la più breve tra quelle che accompagnano le fotografie di Guglielmina Otter, e lascio questi due verbi all’infinito consegnarsi reciproche osservazioni, scambievoli impressioni. È così che nasce un incontro, quando c’è qualcuno disposto a guardare, e qualcun altro pronto ad ascoltare. Lì in mezzo c’è spazio sufficiente per la conoscenza.
Guardare ascoltare. Chi guarda chi ascolta? È l’occhio capace della Otter a guardare l’ascoltarsi dentro e fuori della bimba? Un ascoltarsi che è un prendersi cura di sé e dell’altro. Oppure è l’occhio impudicamente candido della bimba a guardare la Otter che l’ascolta? Un ascolto che prevede la discreta premura dell’attenzione. Oppure ancora è il fotografo o il poeta a guardare l’ascolto del poeta o del fotografo? E infine chi di questi guarda l’ascolto dello spettatore, che sicuramente guarda l’ascolto di uno di questi?
Nel guardare ascoltare c’è tutta l’umiltà e la pazienza della conoscenza. Che lo sappia la Otter non sorprende, ma che lo sappia anche la bimba in parte sconcerta, e fa pensare a quanta saggezza può confondersi con l’innocenza, con l’ingenuità, ma anche con la spregiudicata spigliatezza.
Eppure quegli occhi a tutto campo non lasciano dubbi: la recita è vera, non c’è spazio è per la finzione, e se c’è finzione non è falsa, e comunque che sia raccolta nello spazio di un palcoscenico dove un’anima ascolta, e debutta emozioni da lasciar guardare allo spettatore, anche solo per vederli affiorare un sorriso, la carezza di un’approvazione.
Solo il sonno, il riposo degli occhi, pretende e ottiene l’intervento del volto per distinguere tenerezze, sensazioni, il passare fugace di un pensiero, di un sogno, della vita. Solo l’invisibilità degli occhi nel sonno chiede il dettaglio delle labbra, delle guance, le ombre delle ciglia, degli zigomi per offrire a chi veglia il racconto del sogno, immaginato, presunto, inseguito in un guardare ascoltare che restringe la propria azione nel seno di un unico soggetto, lasciato fuori a congetturare, estraneo a quel mondo che da qui troppo gli assomiglia alla morte.
Ma l’età della bimba è un’età in cui la morte non ha peso. È un chiudere gli occhi come per il sonno, un’attesa per un nuovo incontro o un altro risveglio, e così non è altro che un intervallo di tempo in cui il “per sempre” è comunque “per poco”, una pausa, un’assenza momentanea.
È un’età in cui però la fantasia ha consistenza, e ciò che genera ha la sostanza della realtà. Per questo se il gioco visto da fuori è finzione consapevole, da dentro invece è un vissuto che assorbe e segna il tempo della vita, dove gioie e serenità sono dolci come il sorriso di una madre, paure e timori sono densi come il pianto di un padre.
Gli occhi di un bimbo non sono mai davvero innocenti, e i suoi sogni sono tutt’altro che innocui. Ci rivelano la nostra origine da un mondo dal quale siamo partiti, al quale non arriveremo, dal quale tuttavia è impossibile affrancarsi.
Sono piccole finestre aperte su grandi spazi che non basterà un’esistenza intera a colmare. La Otter ci ha guardato dentro, ma guardare ascoltare significa anche ascoltare guardare. La musica è lieve, la parola sussurrata al limite dell’udibile.
Restano così alcune immagini di occhi aperti a specchiare il respiro di un incontro, o altre immagini di un volto con gli occhi chiusi, a trattenere per sé il segreto perduto.
Guardare, per dirla ancora con Roversi, è il mistero della sorpresa. Ma il mistero della sorpresa bisogna saperlo ascoltare.
Angelo Andreotti
***
Solo gli occhi sanno
vedere il colore dei sentimenti
– la più grande pittura –
Li vedono mentre i
colori si muovono
negli occhi
sulla pelle del viso
nel mistero delle mani
che non riescono a
nascondersi mai e sono
destinate a tutto vedere tutto toccare
(i guanti sono il cappio
al collo dell’impiccato)
Occhi che vedono lontano
occhi che guardano vicino
occhi giovani sorpresi
occhi vecchia montagna e vecchio mare
che è insonne nella notte
Nell’occhio c’è sempre
l’annuncio del viaggio dove bisogna andare
Guardare un occhio che guarda
il principio del mondo la foglia d’Adamo
la prima giornata della nuovissima Eva sul prato
oppure l’alba di un giorno
che ancora deve arrivare
che ancora non è stato creato
In quest’ora uomo o donna
fanno i conti con la vita
e i bambini dormienti al risveglio
hanno la luce sul naso sulle labbra sulle dita
***
Perché quando chiudo gli occhi
negli occhi mi entrano stelle
poi mi addormento e negli occhi
c’è subito il sole?
***
Gli occhi sono
le ruote della luce
velocissime girano
conducono lontano
dove cominciano le sorprese
***
guardare ascoltare
guardare è il mistero della sorpresa
***
guardare vedere osservare
comincio a guardare
osservo
prima di parlare
se guardo gli occhi brillano
***
c’era una luce
e il sole sembrava neve
bianco era
e l’occhio lo guardava
affascinato
dentro
come rondini
volavano i pensieri
***
nell’aria del mattino
galoppavano tre cavalli d’Orlando
con biglie leggere
dalla finestra
inseguivo con gli occhi
lo loro verde ombra sul prato
***
Marco è mio amico
non si fa mai aspettare
arriva di corsa
vuole arrivare primo
poi insieme cominciamo a leggere le storie
colora sempre le figure
di rosso
io preferisco rosa o azzurro
perché si lasciano guardare
***
la missione del giovane
è di cominciare a vivere
il mondo
come se il mondo fosse nuovo
davvero
per la prima volta
***
l’occhio è giovane dice
cerco ma ancora devo trovare
per questo sono inquieto con
felicità
poi un giorno viene il sole
via il buio sulla terra senza luna
***
il giovane spesso è ferito
perché vuole troppo vedere
il vecchio è due volte cieco
perché ha già troppo veduto
l’occhio del giovane insegue
l’orma del cinghiale su campi inondati di sole
l’occhio del vecchio è amaro gelido
come le notte d’inverno senza neve
***
l’occhio giovane dice
amico ti ho trovato senza cercare
l’occhio dell’uomo vecchio lamenta
amico ti ho perduto e non volevo
ma questa è la vita