Nota a “Poesie” di Riccardo Ielmini
Dei tre autori che ho avuto la fortuna di leggere, giovani abbastanza per essere giovani e nuovi, ognuno lavora in un campo proprio, ciascuno osservando, senza malizia, il campo del vicino al di là della siepe. Questa varietà di stimoli e di umori, dentro a un controllo linguistico già maturo, e senza sbavatura, è l’ineffabile autentico della poesia, per ogni lettore che legge davvero nel silenzio della propria stanza (che è poi, come a dire, nel silenzio e nel rigore del proprio cuore). Questi versi sono come intrisi di una narrativa rossa di sangue. Non da una ferita ma da uno strappo che di continuo è ricomposto e di continuo si rinnova. C’è dunque il bisogno quasi quietamente ossessivo di riconsiderare e disporre tutti i dettagli di vicende private e di rapporti familiari, con una insistenza da entomologo che blocca con uno spillo un corpo minuto sulla carta. “È notte, ed io non so nient’altro: solo penso a mio padre che resiste”. Una resistenza che sembra fuori dalla storia intesa non come violenza dei giorni ma come memore e faticoso itinerario dei sentimenti e del cuore. “Ma quando e dove e come cessa una verità di essere vera?”. Basterebbe questo sasso appuntito trascelto, direi individuato, ai bordi di un percorso poetico in continua salita a bloccare il lettore in una riflessione ispida e acuta. Sicché il padre esorbita fuori dalle righe e diventa prima padre comune, poi si trasferisce ad essere padre del lettore, a caricarsi dei nuovi ricordi a indossarne non dico, per carità!, la maschera ma l’autentica pelle del viso. Il padre con memoria allargata della propria vita, come fiume di ogni percorso sentimentale culturalmente esistenziale, disposto ad accogliere ogni atto d’affetto, ogni gesto di gratitudine ma anche ogni momento di rapido oppure di prolungato rancore. Il muro contro cui andiamo o siamo andati a sbattere o da cui siamo discesi.
L’ideogramma della nostra vita, il luogo della nostra relegazione o del nostro amaro rispetto. L’autore, qua dentro, si interroga in modo diretto o coperto con una continua mormorazione che sembra una preghiera in una chiesa deserta, o, talvolta, un pianto discreto di liberazione. È come ci allungasse la mano, ad ogni inizio di testo, perché ci avviassimo insieme a lui, lungo un percorso, ripeto, in salita. Una salita ardita.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: prefazioni / postfazioni
- Testata: Dieci poeti italiani, a cura di Maurizio Clementi
- Editore: Pendragon
- Anno di pubblicazione: 2002