Una mappa dei nostri anni
Posso solo accompagnare con alcune riflessioni a mezza voce il mio sfogliare lento e attento delle fotografie, la mia cauta osservazione delle opere.
Subito, ci sento o ci vedo, sotteso, uno spazio vasto – in cui può svolgersi una grande battaglia – che poi si restringe. In tal modo posso guardare da vicino, cogliendo i drammatici concreti particolari di questa lotta senza quartiere. Una lotta che, però, straordinariamente non si consuma mai nella violenza del sangue ma è come fissata in un tempo infinito; il quale congela ogni conclusione e fissa invece il gesto nella drammatica impossibilità di realizzarsi. Restando, per sempre, una violenza soltanto voluta, e quindi probabile e immanente.
Una violenza immortalata in una realtà? verità?, che non opprime ma promette – riesce a promettere soltanto – la speranza molto lontana di una conclusione. Di una fine in cui si possa placare.
La luce e la quiete intorno, un po’ estenuate e fredde, non sono la pace ma piuttosto l’assenza della lotta concreta, del suo orrore (errore) e frastuono.
Il giorno non illuminato dal sole ma dal baluginare di spade lance scudi propone una stridula e lungimirante ammonizione. Intanto sfioro e tocco anche il sudore dei corpi, levigati al modo dei sassi dall’acqua corrente.
Così pare a me questo mito di Ulisse. Presente come forza di guerra ma anche come astuzia della ragione; come una continua riproposizione dell’assenza di amore profondo del nostro tempo che si sottrae alla ricerca e alla cernita dei sentimenti per dedicarsi sempre di più alla descrizione delle cose soltanto viste – senza amarle ma anche senza possederle – e delle proprie paure, soltanto iraconde, ripetitive.
È dal di dentro, o dal di sopra, delle cose dichiarate e descritte che questi disegni – appunti continui di una unica ebbra scrittura – si svolgono, si muovono, si collegano, vivono. Trasferendosi al modo di animali in agguato, senza lasciare orme; o mimetizzandosi in un modo lucido e semplice – dunque doppiamente drammatico – quasi dentro a un erbario medievale, miniato con pazienza a vividi colori che tendono a sopraffarsi; quasi ad esplodere.
Un erbario, ripeto, in cui secondo me prevale il verde, in ogni tonalità; fino a risucchiare l’aria intorno a chi, impaurito, osserva.
Si deduce che l’intero percorso di questo artista, rigoroso con ragionata pazienza, si muove in un ambito preciso che non consente sbavature né defaticanti allegorie o ironiche approssimazioni.
Per me, annoto questo come un dato determinante e convincente di un’opera che ha già acquisito una specificità determinata; tanto da farci aspettare il lavoro che segue.
E concludendo, vorrei annotare il terrore dei vegetali stilizzati, ripiegati più volte fino a simulare dentro a sembianze umane visi di antichi viventi, quasi reperti fossili; o esempi visivi dei tempi futuri, con le loro probabili atroci grandiose fantasie.
Oppure gli insetti luminosi e riflessivi, che sembrano accosciati per predisporre un’azione di offesa, ricoperti dalla loro corazza; mentre in realtà si piegano non certo stravolti dalla loro effimera fragilità ma quasi consumati da un’attesa faticosa dentro allo spavento dei sogni. È una mappa non approssimata dei nostri anni.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: prefazioni / postfazioni
- Testata: Giampaolo Fantoni. Presentazione di Roberto Roversi
- Editore: Baraldi
- Anno di pubblicazione: 1986