Favola della mala fortuna
Camminavo adagio, presso il fosso, calpestando l’erba gialla della proda. L’odore della polvere alzata dal vento del tramonto si diffondeva intorno, tristemente; all’orizzonte il cielo era zeppo di nuvole. La vecchia ansimava, e i piedi nodosi, con le grosse vene cupe, si strisciavano sull’erba. Alle volte apriva la bocca e guardava in alto, davanti a sé, senza alzare il capo: forse pregava.
E una giovane donna, la seguiva con i capelli arruffati, il vestito stracciato, un corpo pieno e un volto ardito, senza bellezza. Costei camminava nel mezzo del viottolo con una certa fierezza, quasi si preparasse a incontrare alcuno. Portava al braccio un canestro vuoto.
Andavano in silenzio tra gli ulivi contorti, disseminati per i campi; né un grido né una voce nell’aria. A una svolta, apparvero un vecchio curvo e stanco – un vecchio fracassato dagli anni – e un ragazzo, magro come il Cristo in croce. L’uomo fissava il ragazzo: non gli diceva parola.
Poi lontano s’alzò il lamento di un cuculo. La vecchia, con le mani tremanti, brancicò lo scialle nero che le copriva la testa. Anche Mariantonia ascoltava il verso del cuculo e quella voce gonfia di lamento le risuonava nel cuore come un presagio assai triste. Infine disse, quasi gridò: «due anni, madre, due anni!». Il vecchio e il ragazzo erano già scomparsi tra gli alberi.
La vecchia non si fermò né volse il capo; rispose: «La Vergine ti aiuti, figlia, e salvi questa terra di Calabria».
La sera camminava rapida nel cielo e già le prime stelle si aprivano, sorridendo. La polvere della strada si faceva fredda e umida. La nostra terra di Calabria! Anche il padre, vecchio come gli ulivi del campo, ripeteva questa frase per soffocare la disperazione. Ma chi aveva ancora speranza? Lo sapeva, lei, Mariantonia, tutti lo sapevano, dal mare alla Sila coperta di foreste, che la vita era finita e si poteva morire. Come la terra anche l’esistenza era secca e disperata.
Andrea, Andrea! Da due anni non lo vedeva; dal 1808, dal 15 novembre, quando se ne era andato, nottetempo, baciandola in fronte, senza far parola. Sulla porta si era arrestato e aveva sorriso; poi scomparve per giorni e settimane e mesi, a formare due lunghi anni di dolore. Dov’era? Con i briganti, dicevano i soldati di re Gioacchino; sì, coi briganti, avrebbe voluto gridare lei; col Parafante, nel distretto di Rossano. Ma poi? Aveva due figli, piccoli come la pianta del cardo, e un vecchio padre e una madre assai vecchia – s’era dunque fatta animo per sopportare. Così alla sera, accanto al fuoco che già si accendeva, Mariantonia ripeteva come una nenia la favola della Mala Fortuna: «Na vota nc’era na mamma, chi avia tri figghi fimmani…», e intanto i due vecchi dormivano in un angolo oscuro. La pace della notte entrava col vento, per la porta socchiusa, ma il cuore della donna correva lontano, per i viottoli deserti e pieni di sassi, verso il marito che da due anni non vedeva. Due anni! A questo pensava Mariantonia, ritornando dal campo, e quanta fatica e che dolore costa numerare il tempo.
«Triste sera» – mormorava frattanto la madre, accennando verso i monti. Infine giunsero. Attraversato il piccolo sagrato della chiesa, sbucarono di nuovo all’aperto e, voltando a destra, udirono subito il pianto dei due bambini affamati. Sulla porta era il vecchio, immobile, il quale come le vide approssimarsi, allungò le braccia brancicando l’aria, senza parlare. La figlia capì che qualcosa di grave era accaduto; allora sospinse la madre nella cucina, accese il mozzicone di candela e sollevati i due piccoli dalla terra, li adagiò sul letto mettendo in mano a ciascuno un pezzo di pane; poi si rivolse al padre che sedeva, piangendo.
Avvicinatasi, mentre il cuore le picchiava nel petto, attese che il vecchio si calmasse. Anche la madre seduta accanto al camino, con lo scialle in testa, tutta nera nella penombra, aspettava.
E il vecchio parlò. «Andrea Basile – disse – t’aspetta lunedì, al tramonto, a Longobucco. E ti manda a salutare».
Mariantonia si sentì leggera e felice, come svuotata di tutto il sangue: cominciò a singhiozzare e a sorridere, afferrava una mano del padre e la baciava, guardava la madre immobile, chiamava i figli che sul letto rosicchiavano il pane come topi. Pianse a lungo, finché la candela si smorzò. Allora, riprendendo i bambini a piangere, essa si coricò accanto a loro e dopo poco erano addormentati.
Il padre e la madre vegliarono per tutta la notte, in silenzio. Quando apparve l’alba e il cielo cominciò a rischiarare, la vecchia mormorò: «Povera figlia!» – si sentiva triste, con un peso nel cuore.
Il vecchio disse: «Lunedì è lontano per noi, ma per quella arriverà in un baleno».
«Purché sia prudente» – rispose la madre. Essa sapeva che i soldati del re Gioacchino, accampati a Rossano, avevano il nome di Andrea Basile segnato sui loro registri: e sapendolo da mesi e mesi tremava. Non per sé, si intende, o per il marito – così vecchi da ricordare tempi ben diversi per la Calabria – ma per la figlia tremava e per i due nipoti ché non li toccasse la sventura. Andrea Basile era uomo gagliardo e lavoratore, ma ora viveva lontano, tra i monti, con una sua idea nel capo. Chi li avrebbe difesi?
Per questo era bene che Mariantonia rivedesse il marito, forse, chissà, sarebbero tornati insieme. Non era troppa la loro miseria, perché Andrea non si commovesse? E poi i soldati di re Gioacchino crescevano ogni giorno e i loro assalti erano terribili. Dov’era più la pietà?
Se Andrea Basile cedesse al pianto della moglie e ritornasse!
Questo pensava la madre, e già il cielo era pieno di alba.
Disse il vecchio: «Carmine Apa ha detto, ieri, che un generale verrà a comandare i francesi contro i briganti. E Andrea Basile?».
La moglie fece un cenno di tacere perché Mariantonia si risvegliava. E infatti, aperti gli occhi e guardatasi attorno, come scorse i genitori seduti accanto alla tavola, sorrise.
Per tutta la settimana sorrise. Era felice e sentiva di amare ancor più i figli ora che avrebbe rivisto il marito, dopo un tempo indeterminabile. Usciva con la madre a lavorare il campo, ritornava alla sera, sfamava i due piccoli che l’aspettavano sulla soglia giuocando coi sassi, e non si accorgeva che il tempo intristiva e l’aria si faceva frizzante. Di nulla si accorgeva. Alle volte, di notte, mentre con gli occhi aperti pensava ad Andrea Basile, le pareva udire un passo – il suo passo – avvicinarsi. Allora si alzava e si affacciava alla porta: e guardava il cielo e la Sila lontana.
I giorni, così lunghi, passavano stentatamente, e Mariantonia, rincasando, sedeva accanto al fuoco e rammendava la veste. «È come andassi sposa» – diceva alla madre, e guardava con una serenità dolcissima i due figli che si rivoltolavano nel letto.
Era ormai la sera del sabato e, come al solito, sedevano attorno al fuoco mentre fuori, nei campi, il vento di ottobre dondolava i rami degli ulivi.
Mariantonia aveva terminato di rammendare il vestito, la madre mormorava il rosario, il padre ripeteva ancora, come nei giorni andati: «Di’ a Andrea Basile che ritorni. La miseria è grande, per noi, senza il suo braccio, e la nostra solitudine è triste. Digli che ritorni». Allora bussarono alla porta ed entrò Domenico Talarico.
Dopo avere salutato, disse che un battaglione di soldati si era accampato nei pressi del paese e che alcuni, venuti da Rossano, affermavano prossimo l’arrivo del generale Carmine Apa e altri pochi erano già scappati dal paese.
Questo disse, e restava in piedi, accanto alla porta, alto e secco, con i calzoni pieni di rattoppi e la camicia stracciata. Mariantonia sentì che, forse, voleva dire altro e fu all’erta, come se fiutasse un pericolo. Ma dopo avere guardato attorno, Talarico uscì, chiudendo lentamente la porta. Si udirono i passi sempre più rapidi, poi ancora la notte allibì nel silenzio. Anche il vento era cessato.
All’alba la campana della chiesa picchiò a ogni porta per chiamare le donne alla messa; e quando esse ritornarono gli uomini seppero che alcuni ufficiali francesi erano entrati in paese per cercare una casa, e tosto furono sicuri che sarebbe arrivato il generale. Il generale Manhès, l’uomo del Cilento e dell’Abruzzo! Sbiancando in viso, anche coloro che avevano l’animo sgombro da paura o da colpe, pensarono ai giorni tristi che si annunciavano; e sulle porte, immobili, guardavano la pioggia cadere e seguivano il rivolo d’acqua che correva tra i sassi quasi a cercare la strada. E ognuno sentiva d’essere solo, solo e inerme, nella rovina imminente.
Quando fu sera, la madre disse a Mariantonia: «Va’, figlia!», e il padre aggiunse: «Digli che torni, che la miseria è grande». Mariantonia, dalla mattina, da una settimana, da mesi, attendeva quel commiato. Baciò la mano del padre e uscì, mentre scrosciava dal triste cielo d’autunno.
Passando davanti al sagrato mormorò: «Vergine degli angeli, aiutami!», poi si raccolse tutta nello scialle e si affidò alla ventura. Conosceva la strada ma non era mai uscita sola: era dunque felice e angosciata per la oscurità del cielo che, ora, le appariva terribile. Il rumore dell’acqua pareva il fioco lamento di un ferito.
Era appena uscita dal paese, quando udì un passo e scorse un lume; poi alcune voci gridarono: «Fermati!» – e si fermò. La riportarono in paese, in una casupola dal soffitto basso, che un tempo era di Antonio Chiappetta, ucciso anni prima, tra il grano, una sera. Le domandarono il nome ma essa, fradicia di pioggia, intontita e con una grande tristezza e stanchezza nel cuore, taceva. Non aveva più alcun desiderio, e sentiva che se l’avessero lasciata andare sarebbe ritornata alla capanna, nel suo letto. E Andrea Basile?
Un uomo, un ufficiale, le faceva domande ma essa non ascoltava. Pensava a Andrea Basile, ora, e alla frase del padre «Digli di ritornare». L’ufficiale parlava, s’infuriava, picchiava sul tavolo con la mano, e Mariantonia pensava ad Andrea Basile, alla lunga strada per Longobucco, al loro incontro. Gli avrebbe detto del padre, dei figli, e di ritornare; di ritornare alla casa, al campo che aveva bisogno delle sue mani e del suo sudore.
L’ufficiale ancora gridava e finalmente Mariantonia si riscosse: lo guardò in viso quasi fosse stupita di vederselo innanzi e, all’improvviso, si sentì sicura e felice. Che cosa volevano da lei? L’ufficiale gridava: «Dov’è tuo marito? dov’è tuo marito?». Essa, senza pensare, rispose dolcemente: «È morto».
«E dove andavi così sola, tu?».
«A casa» – rispose e arrossì per la gentile bugia.
L’ufficiale rise, con astio.
«Sei bugiarda – gridò –. Tutti siete bugiardi… E io brucerò le vostre case e i vostri campi perché la mala erba scompaia» e a un soldato ordinò: «Portala via!».
Ascoltò tutta la notte la pioggia cadere, sui campi, sui ciottoli della strada, e intanto pensava che la stessa pioggia cadeva sulla casa dove la madre vegliava e sugli alberi tra i quali Andrea Basile camminava. Pensava alla pioggia e al campo da lavorare e sempre vedeva Andrea Basile camminare nella notte, soletto, verso Longobucco, scendendo dal monte. Poi apparve un’alba grigia e triste, senza voci, come nel giorno dei morti. Quando udì un gallo cantare, lontano, pensò che Andrea Basile era arrivato e l’aspettava: allora capì che non l’avrebbe rivisto, e cominciò a singhiozzare, con una pena così grande nel cuore quale non aveva mai sentita, neppure negli ultimi tempi. Era dolore e furore, un rancore sordo e una nostalgia dolente, un languore nell’animo e una volontà disperata nel corpo; e tuttavia restava immobile, seduta sulla panca, per la finestra guardando il giorno avanzare e singhiozzando. Le ore passavano, mentre la pioggia cadeva e l’aria era densa di un odore di erba fradicia.
Andrea Basile se ne è andato – pensava Mariantonia –. È ritornato alla Sila e chissà quando lo rivedrò. E ancora la voce del padre: «Digli di tornare», e la voce della madre: «È ora, figliola». Quanta tristezza! Reclinò nel sonno mentre ancora guardava il cielo. La risvegliarono verso sera, per dirle che il brigante Basile, caduto in un agguato, era morto e che lei, Mariantonia de Marco, moglie del bandito, doveva la vita alla clemenza di re Gioacchino; andasse, dunque, ringraziando il re.
Ed essa uscì, sotto la pioggia, ravvolta nello scialle nero e ritornò senza parole alla casa.
E dicono che fu subito vecchia. Incanutì come la terra all’inverno, quando la neve cade e l’aria è silenziosa; e il corpo si incurvò come i pini lungo il Tirreno, battuti dal vento del mare. E né lei, né il padre e la madre, parlarono più; solo i figli chiedevano pane al mattino e la favola alla sera: anche quando i vecchi morirono e rimase la madre a raccontare la favola della Mala Fortuna… e intanto pensava che re Gioacchino aveva ucciso Andrea Basile a Longobucco, e aveva salvato lei. Perché? A quei tempi – dicono – tutta la Calabria era vecchia per il dolore.
Il Progresso d’Italia, domenica 15 maggio 1949.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: racconti
- Testata: Il Progresso d’Italia
- Anno di pubblicazione: domenica 15 maggio 1949