Il vestito e il diavolo

Cella buia in un convento. Una branda, una finestrella a metà del muro di fronte, una sedia, un piccolo tavolo rettangolare; sotto la finestra una cassa. Sulla branda dorme una suora non più giovane che indossa una tunica grezza, tanto che sembra un sacco adattato.

 

Nel sonno, che non è tranquillo, ogni tanto si volta su un fianco e l’altro sibilando delle parole smozzicate quali amore, cielo.

 

Suona la campanella, squillante, nel corridoio.

Un attimo di sospensione, poi la suora si alza dalla branda, si segna, si batte il petto con molta convinzione, toglie la tunica e resta nuda. In un catino versa dell’acqua, fa qualche rapida abluzione.

Poi, rivolta verso la finestra, dalla quale trapela la prima luce del giorno, allargando le braccia mormora, ma chiaramente e con visibile convinzione:

“ECCO UN NUOVO GIORNO PER LA MIA BENEDIZIONE SOTTO IL TUO SGUARDO CHE TUTTO VEDE. SONO TUA INTERAMENTE E VIVO PER TE PERCHE’ SEI LA VITA INTERA PER TUTTI.

LA CRUDELE GUERRA DELLA VITA TACE PER LA LUCE CHE DA TE PROVIENE. SONO TUA E PRONTA A SERVIRE LA TUA BONTÀ PER DISTRIBUIRLA NEL MONDO”.

Bussano garbatamente alla porta: “Suor Angela, sono io!”.

La suora raccoglie la tunica dalla branda, la indossa e dice: “Entra pure”.

 

Entra una giovane suora che, sulle braccia protese, regge una tonaca ben piegata. Dice: “Lavata e stirata, al meglio del mio cuore, suor Angela!”.

 

Suor Angela, lasciando cadere a terra la tunica e restando di nuovo nuda dice: “Sei buona e brava, con grazia del Signore”.

 

Suor Serena, segnandosi: “Il Signore fa camminare con felicità per una pianura senza fine. E io sono una creatura d’argilla; che sono mai?”.

Suor Angela ha un brivido, come se fosse colpita da un soffio gelato di vento. Afferra la tonaca ancora ben ripiegata sulla branda e la dispiega, ma tenendola lontana dal corpo. Con lo sguardo vede cose lontane.

Poi comincia a parlare, come se si rivolgesse a suor Serena ma in realtà raccoglie ricordi lontani:

IL CONVENTO ERA VICINO AL FIUME

VICINO AI BOSCHI

(Ormai immersa nei ricordi che le fanno rivedere come presenze attive vicende e cose lontane)

QUESTI ANTICHI REAMI DI OMBRE,

I GRANDI BOSCHI, LE DENSE FORESTE

QUANTE BELLEZZE NASCONDONO

SOTTO IL LORO CUPO FOGLIAME!

 

IN QUESTO TRANQUILLO RITIRO

 

NOTTE E GIORNO SI VEDE REGNARE

LA PACE SILENZIOSA

E SI DICE CHE LÀ I NOSTRI PADRI

NEL SECOLO DELL’INNOCENZA

DEL PARADISO LE GIOIE GUSTAVANO.

 

LAGGIÙ IN CENTO LUOGHI DIVERSI

SI OFFRONO ALLO SGUARDO CENTO VIALI

DI ALBERI VERDI E FRONDOSI.

SOTTO QUELLE FOGLIE COSÌ FITTE

SI VEDONO APPARIRE GLI UCCELLINI

GRAZIOSI E DOLCI CANTORI

E COSÌ ESALTANO LIETI E SERENI

LE INCANTEVOLI MERAVIGLIE

DI QUESTI LUOGHI CHE ESSI PURE ADORNANO

 

(si fa triste e il tremito del corpo si trasferisce in un tremito via via sempre più angosciato della voce)

 

CON TRISTEZZA L’OCCHIO DEL MONDO

A SÉ VEDE PRECLUSO IL SEGRETO

DI QUESTI LUOGHI SPLENDIDI

E PIÙ VI LANCIA FULMINANTI SGUARDI

PIÙ EGLI DONA LE ARMI

CONTRO LE SUE BELLEZZE IRTE DI FUOCO”

 

La giovane suora (suor Angela): “Sì, il silenzio di questi luoghi sacri

                                luoghi d’amore

                                è come essere già fra le braccia del

                                Signore

                                in paradiso”.

 

Suor ANGELA ha un sussulto e getta la tonaca sulla branda, poi, continua a parlare, come se pregasse; quindi, prima sottovoce poi concitata, ha un attimo d’esitazione e si avvicina alla cassa. Alza il coperchio, ne cava un vestito semplice e tutto nero, lo distende, lo osserva, lo avvicina al corpo, lo getta sulla branda. Cava un secondo vestito tutto giallo, lo osserva poi lo getta sulla branda. Altri vari, infine uno rosso con uno sfarzo di bottoni, nastri dorati e strisce variamente colorate, lungo e con due cinture. Lo osserva, infine lo indossa con furia, scarmigliandosi. Resta un po’ immobile poi come se recitasse:

 

“Arrivano di notte”… Si interrompe

si inginocchia, le mani sul volto

“nella tua tenerezza cerco scampo

oh Madre di Dio le nostre suppliche non disprezzare”.

(si alza rapida in piedi, poi continua)

“Da Te dipendono i nostri passi.

Benedico il tuo nome!”.

 

Tace, chiude il coperchio della cassa,

ci sale sopra, guarda attraverso il vetro

della finestra, si rivolge verso la cella;

adesso sembra in trance e che stia recitando con l’anima,

con fatica e dolore.

“Osanna nel più alto dei cieli!

Sempre arrivano di notte

sempre arrivano di notte quando il cielo è buio

sempre arrivano da lontano,

oh! Il rumore delle porte abbattute,

ci distesero per terra come tronchi di un

bosco appena tagliato

il Signore ci guardava

per la prova del nostro amore e della nostra

fede in Lui che è tutto

Io avevo l’orrore del buio ma stavo sotto

l’ombra di Te, Signore, alla quale cercavo

e tentavo di aggrapparmi

era una prova estrema…

Sei eravamo e passavano sul nostro corpo

come la pioggia gelida e il gelido dell’inverno

un inverno di gelo atroce

e loro pescavano in noi con le mani di ferro.

Ma l’occhio di Dio era possente e ci ascoltava,

il fiato dell’uomo mi penetrava nel cuore

e quegli occhi azzurri di un mare sconfinato

mi bruciavano

e così bruciavano tutte le candele accese del

convento e

il convento bruciava

e il mare degli occhi bruciava…

Il diavolo!

Gli occhi azzurri erano occhi di brace.

Il diavolo è tenebra illuminata dal fuoco

e il nostro corpo bruciava

sotto l’onta del peccato…”

(si toglie rapidamente la tunica, la getta

sopra la branda, la riprende la butta in

terra, la calpesta e intanto ripete “il

diavolo è tenebra e

il Signore Dio nostro è nostra luce

e l’anima di ogni pensiero e di ogni vita”.

(Pausa, poi riprende)

Passarono sul nostro corpo

sei eravamo e giovani

come l’aratro nella terra da seminare

gli uomini soldati venivano da lontano

le parole che dicevano ridendo e ansimando

non le capivo, non si conoscevano…

Sempre vengono da lontano i soldati, gli

uomini soldati con le mani di ferro

ma tu mio Dio, mio Signore, mio Amore

cambi l’uragano in una brezza

e violenza e dolore e infamità

morivano senza gloria

 

(piange al ricordo e trema)

(Si ode fuori, nel corridoio del convento,

prima un canto poi un coro, dolcissimo,

di voci femminili giovani. Di giovani suore).

 

Suor Angela continua il suo monologo come

una preghiera: “Restarono sul nostro corpo

per un tempo infinito… Inverno e l’estate

si inseguivano urlando per l’ebbrezza del

dolore…”.

 

La giovane suor Serena l’ha ascoltata inginocchiata. Si rialza poi dice: “Il nostro corpo è fatto di sogni… donato a Dio nostro Signore non ci appartiene più!”.

Suor Angela la guarda con tenerezza: “Sì, ma noi portiamo nel cuore, come una pena, il peso delle colpe… tutto quello che lo ferisce… anche… anche quelle colpe che non ci appartengono… Ma il diavolo resta sempre vivo e attivo, il diavolo incombe… Vedi questo vestito? È il vestito del diavolo. Io adesso solo il diavolo”.

Suor Serena: “Il diavolo ha cento colori!”.

Suor Angela: “Tranne il colore del cielo, che è quello di Dio”.

Suor Serena: “Il diavolo è grasso?”.

Suor Angela: “Il diavolo è leggero e bieco. Io sono il diavolo, così travestita”.

Suor Serena: “Il diavolo sta solo nel fuoco?”.

Suor Angela: “Il diavolo è dappertutto? Tu guarda me, io in mezzo questi lustrini, io sono il diavolo”.

Suor Serena: “È in ogni ombra della vita”.

Suor Angela: “Sì, è tutto. E adesso ripuliamoci pregando”.

Le due suore pregano, a capo chino.

Suor Serena, rialzando la testa: “È anche in cielo?”.

Suor Angela: “Chi?”.

Suor serena: “Il diavolo!”.

Suor Angela si rialza in fretta. Rigida, apre le braccia. Dice: “Ma poi che ho veduto il tuo amore anche nella miseria, Signore, il tuo amore puro, semplice netto e affocato, io sono rimasta fuori di me. Io mi trovo annegata nell’Amore… È tanto soave e ameno questo semplice e puro amore…

(si esalta, si agita, quasi accenna a un passo di danza. Dice, quasi canta): “Oh, beatifico cibo! Oh, cibo d’amore”.

(Bussano alla porta della cella. Entra una suora, vede la scena, sorride, partecipa; vedendo alcuni vestiti sparpagliati si avvicina alla cassa, ne cava fuori una maschera maschile da scena. Se la applica sul viso). Entrano altre due suore, avendo sentito le voci.

 

Suor Angela, come scuotendosi da un sogno, a voce alta: “Tu gridi ogni cosa dolcemente al suo fine!”.

(Si avvicina alla finestra mentre le altre suore frugano nella cassa, cavano vestiti colorati, li provano, avvicinandolo al corpo, al petto, dondolandosi compiaciute).

Una suora canta a mezza voce: “Dal fondo dell’abisso gridiamo verso di Te”.

(Entra un’altra suora. Adesso nella cella ci sono sei suore).

Suor Angela: “Questo abito lo indosserò il giorno del mio viaggio verso il cielo… Porterò il diavolo fra le braccia del Signore!”.

 

Il canto, il coro che si sentiva alzato nel corridoio all’improvviso s’arresta, tace. Poi si sentono sempre crescenti grida e rumori.

 

Suor Angela: “Caddero tutti, uno dopo l’altro, i guerrieri venuti da lontano. Gli uomini soldati, belve di foreste impenetrabili. Signore, a Te!” (e si protende in un volo).

Suor Serena le si avvicina, domanda: “E la prima?”.

Suor Angela: “Prima finì il mondo! La pianura era verde

                                  verde e gialla

                                  gialla e rossa

                                  rossa e bianca

                                  splendeva la strada

                                  mentre si riempiva di polvere!”.

 

(Con un tonfo la porta della cella è spalancata, appare un uomo non giovanissimo, con i capelli biondi arruffati e una spada in mano.

Le suore con un grido cercano spazio e fuggono, gettando per terra gli abiti che stavano ammirando. L’uomo le scosta con fastidio, puntando verso suor Angela, che afferra e rovescia sul letto. In piedi accanto a lei l’ammira compiaciuto. Ammira il vestito, che palpa con la mano).

 

Suor Angela, ormai afferrata da un gelido orrore, quasi immobile: “O pascolo senza sapore! O sapore senza gusto! O gusto senza cibo! O cibo o cibo d’amore!”.

(Attraverso la porta abbattuta si scorgono fiamme, e un po’ di fumo comincia ad entrare. L’uomo soldato non si muove, continua ad accarezzare il vestito così luminoso e decorato indossato dalla suora; la quale vibra come una corda smossa dal vento. Le parole che dice in un soffio si odono appena: “O Amore, che si può dire di te? Chi ti sente non ti intende. O Amore, vita nostra, beatitudine nostra, riposo nostro! Il divino amore ogni bene con sé porta, e ogni male da lui fugge! O cuore ferito del divino amore…”.

L’uomo soldato le strappa con un gesto rapido e violento parte del vestito.

Le fiamme divampano nel corridoio del convento.

 

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: testi per film e documentari
  • Anno di pubblicazione: inedito
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