Il crack
Testo per il teatro [1968]
Elenco dei personaggi
Padre (65 anni)
Figlio (35 anni)
Moglie del Padre (seconda moglie, circa 35 anni)
Moglie del Figlio (24 anni)
Eccellentissima eccellenza
Arcivescovo
Due Teste d’uovo
Mac Mardon
Sei industriali (I Paladini)
Presidente e gli altri del Consiglio di amministrazione della banca
I cinque Giovani
Tre Guardie poi tre Inquirenti
Una segretaria
Cameriere
Uomini e donne
Parte prima: L’antefatto
I. Cerimonia ufficiale in un salone affrescato, spettacolo di tutte le bieche pavide vanità possibili. Il palco delle autorità a cui tutti pur seduti in pompa magna guardano con occhi inteneriti. Parla uno di costoro con enfasi e una qualche emozione per l’esibizione dinanzi a quel consesso di dèi.
Primo uomo (declama, esorta ecc.):
Grafico delle precipitazioni atmosferiche. Poiché si è in clima di depressione e in un luogo a economia agraria (si alza e dice)
il nostro sguardo mira al futuro
il ritmo della storia e i valori perenni dello spirito – oggi siamo alle grandi velocità, sino alle velocità supersoniche –
(applausi)
mostruose, vane e rovinose risulterebbero, poi, ogni espressione e ogni opera di civiltà, se il progetto e la costruzione del nuovo non rispettassero i principi e le leggi dell’ordine naturale, che è anche ordine morale, perché voluto da dio che l’ha creato. (Applausi, si grida bravo, bis).
Cerchiamo ora di definire il volto economico della provincia nel quadro della economia nazionale. (Applausi).
Ma intanto: noi abbiamo qua l’onore di ospitare l’Eccellentissima egregia chiarissima eccellenza che viene da Roma, simbolo augusto dei presagi più fausti, illustrissimo membro di un governo, colendissimo, perillustre, cattedratico, uomo di sicura dottrina, di grande scienza, insonne, instancabile, audace, provveduto nelle esemplari qualità dell’animo, eroe in guerra, padre sagace in pace, amoroso, attento, benedetto. (Si grida, si applaude ubicumque).
Si onori l’Eccellentissima in piedi.
(Tutti si alzano e restano. Uno si soffia il naso. Di nuovo applausi, urrà, le signore dicono “com’è bello”).
Eccellentissima eccellenza (muove cauto le mani, le arrotonda, ha il sorriso sopra i denti Durbans):
Grazie, grazie, dolcissimi compari. Il capo del governo, che è quello che è, un grand’uomo come sappiamo, un luminare, un autentico archibugio, causidico, dipanator di matasse, m’incarica di salutarvi e proferirvi il suo cuore, che è tuttora presente. E promette, promette, promette.
Tutti (in piedi applaudendo):
Ci appaghiamo, ci appaghiamo, ci appaghiamo.
(L’Eccellentissima eccellenza siede, gli altri si ricompongono. Solo qualche bisbiglio, brusio. Condizione di elettrica condiscendenza).
Primo uomo (riprendendo il discorso interrotto):
Cerchiamo ora di definire il volto economico della provincia nel quadro dell’economia nazionale (con un sorriso) se l’Eccellentissima eccellenza permette. Saranno tutte rose e fiori, glielo prometto. Una caterva di cifre dolcissime, una cascata di elogi, deduzioni pacifiche, risultati sontuosi. Siamo fra le prime nazioni del mondo, è certo; per intrepida temperanza delle autorità, per il prodigarsi alacre eroico dei tutori dell’ordine su ogni sconcia volontà sovversiva, per audacia di azioni peregrine, varietà di indagini, scalpitar di presagi, spurgo di ciminiere e piscio nei canali. Temono la nostra astuzia, invidiano la nostra passione; e noi sotto, allé, come un esercito in marcia al seguito dei baldi generali: lustri, seri, impettiti e con medaglie che scampanellano sul petto.
Che piacere a declamar le lodi di un così felice periodo, prospero, immacolato, temperante, severo, civile e tuttavia smosso dalla maretta delle passioni. Passioni di progredire, si badi! via, via (batte le mani) questo secolo è nostro. È nostro, cara Eccellentissima eccellenza…
(Tutti applaudono, si abbracciano mandano baci in giro)
I dirigenti industriali che, per la loro specifica attività, si trovano a dover tradurre in atto le linee programmatiche promosse da docenti, economisti e uomini politici nell’intento di conseguire il maggior benessere a beneficio della comunità, sono certamente qualificati per esprimere un giudizio sulla evoluzione economica della nostra regione. A tale evoluzione essi hanno dato un largo contributo esercitando la loro insostituibile funzione, funzione che li pone in prima linea nella collaborazione sia con gli imprenditori, sia coi lavoratori subordinati.
Eccellentissima eccellenza (balzando in piedi):
Help! Tutto è chiaro e sottoscritto. Passate i pasticcini, si dia principio alle danze.
Secondo uomo (premuroso):
Eccellentissima eccellenza sono le 10 del mattino: è stato previsto solo un vermouth fresco e danze niet. Non è contemplato, nulla è preparato. Mancano perfino le donne.
Primo uomo (continuando a parlare, per finire: mentre gli altri ormai in piedi berciano fra loro):
Signori! Come ho detto in apertura del mio intervento nessun problema locale può essere seriamente impostato prescindendo dal più vasto e condizionante problema nazionale (Voci: “basta, basta”; qualche applauso perché smetta)
Eccellentissima eccellenza (avvicinandosi al Cardinale seduto, che conversa con uno):
Reverendissima magnificenza (si inginocchia e bacia l’anello) la vostra benedizione sul mio povero capo, sulle mie spalle, sull’intero mio corpo d’agnello, se permettete. Ne ho bisogno. I giorni sono tali…
Cardinale:
Pazienza e preghiere, figliolo; soprattutto sottomissione al volere di dio. Di lassù ci vien tutto il bene, di lassù ci vien la luce, il bene, la luce, la luce, il bene, il bene, la luce (è incantato come un disco, si scuote), la luce. Dunque pazienza, preghiera; naturalmente speranza.
Eccellentissima eccellenza:
Naturalmente; naturalmente speranza.
Padre (avvicinandosi):
Signor ministro, mi permette?
Eccellentissima eccellenza (con dispetto):
Lei chi è? perché rompe le scatole? ah, vedo bene; non ho tempo per le suppliche oggi. Oggi nessuno ha tempo, presi come siamo dal lavoro e dalle cure della nostra alta carica. Dividersi, donarsi, non cedere alle lusinghe, mai riposare. Questo facciamo noi. Dunque, addio.
Padre (con pazienza):
No, sono il tal dei tali, che lei deve inaugurare la mia fabbrica stamattina. Siam qua per altro ancora. Invenzioni nulle, elemosine niente. Non si stende le mani a vossia, non si prega vossia, decubito e astrazione, volontà di proliferare e esaltazione dei sensi. Non si ricorda di me? Il comm. Vasi dei trattori Vasi? Fabbrica di trattori e altra fabbrica di utensileria per la plebe? Si ricorda di me? A Roma, anche, in casa di…
Eccellentissima eccellenza:
Ma caro amico. Ricordo, adesso ricordo e mi scuso. Ma sa, le beghe della mia carica; essendo io un’alta autorità; essendo io, perché mi spetta, una Eccellentissima eccellenza; le beghe di questa carica altissima, irraggiungibile, somma, comportano pene e qualche smarrimento; anche della memoria, che si fa labile. Ma la sua bella faccia la ricordo. E come non ricordo la sua bella faccia! Trattori, i trattori, trattori. Ma certo, i trattori. Anche sua eminenza me l’ha detto. Oh sì, verrò volentieri a inaugurare la sede nuova, la sede bella, a gloria del farraginoso crescere di questa invitta provincia. Allé. (Tutti battono le mani).
Padre (è confuso, si inchina):
Eccellentissima eccellenza, io non voglio, non vorrei, ma mi creda, sono confuso, felice, imbarazzato, orgoglioso. Oh che colpo, che bel colpo. Grazie.
II. Vestizione dell’Archbishop che si dispone a intervenire all’inaugurazione della fabbrica. Così come si veste il torero: ieratico e con molta ricerca dell’eleganza. Puntiglioso, pignolo. È un bell’uomo.
III. L’Archbishop con un colpo di pistola a fiamma ossidrica brucia il nastro, un sottile nastro metallico. Applausi. La corte si incammina. Davanti l’Arch. poi l’Eccellentissima eccellenza serva del primo e padrone dispotico degli altri. Il Padre, propenso a confidenze, ebete quel tanto, felice, rosso che trasuda, il quale si prosterna spiegando. Si precisa che la fabbrica è nella provincia italiana, dunque nel profondo sud – anche se è profondo nord, è ovvio; dunque: pianura padana. Merletti di bambole. Giovani nababbi.
I soliti vecchi marpioni.
Innanzi a tutti l’Arch. incede benedicendo saloni stanze stanzucce uffici cessi; salgono e scendono scale; tutti dietro con questi discorsi (alternati uomo-donna):
– Stanotte il mio Albertuccio ha di nuovo pisciato a letto, professore
– Non si preoccupi, con l’età userà poi il vaso, poi tutto il resto addirittura. Tornerà civile
– La civiltà è una gran cosa
– A chi lo dice!
– Guardi me, che mai ho pisciato a letto
– Ah la cultura è una gran cosa
– A chi lo dice!
– Io lo dico a lei. L’uomo colto sa come farsi rispettare. Ci vogliono gli studi classici per questo, che abituano la mente a farsi rispettare
– Sì, dice bene
– Eh, dice bene
– Anch’io sono d’accordo. Chi ha tradotto Svetonio lo si vede a prima vista, dà più soggezione. È un umanista
– E chi è ’sto Svetonio?
– Mah, un tale Svetonio
– Ah sì, Svetonio (tutti ridono, ridono)
– Come è buffo lei
– Come è cara lei
– Che scocciatura queste processioni. Quando si mangia?
IV. Sera in casa del Padre. I notabili cittadini, laici, senza tonache. C’è goduria in giro, un senso di autentica soddisfazione. Egli è al centro di un circolo di invitati (tutti in abito scuro).
Padre:
Quel che conta è il fatturato, come sempre. Raddoppiarlo di anno in anno. Triplicarlo di anno in anno. Sennò che gusto c’è? Con questa nuova fabbrica mi propongo…
Uno:
Recessione.
Padre:
Macché recessione. Se c’è tempesta, buttarsi. Nuotare. Pedalare. Si salvano i forti. Si salvano i furbi. Mica si salvano i fessi.
Un altro:
Ma bisogna vendere. Se il mercato è stanco, lento, pesante? se il mercato è in angustie e sta coi suoi pensieri? se sta dormendo e si accontenta di guardare? se non si muove, vigliacco?
Padre:
Svegliarlo, semplicemente. Bisogna svegliarlo. Gli altri fanno sempre ciò che gli è detto, purché sian convinti a farlo. Convinti bene.
Uno:
Ci vuole fortuna, per queste cose.
Padre:
Se è per questo ci vuole fortuna in tutto. Mica sono un santo, mica mi accontento di poco. Fortuna, buon senso, coraggio, mai soddisfarsi, badate. (Mormorio di approvazione)
Alcuni:
Si balla? (ballano)
Altri:
Si gioca? (siedono e giocano)
Padre (rimasto con alcuni vecchi, seduti in poltrona):
Confidenze, tristezze, giorni che passano, neve sui monti. Che bel natale allora. E un cane che rode il didietro. Questo è, amici miei. I giorni passano. Solo in momenti come questi te ne accorgi; allora ci badi, vedi quanto hai osato quanto hai camminato quanto hai arato quanto raccolto. Quanto ti resta da vivere insomma. Allora… di questo ti accorgi, in momenti come questi. Vedi che cammini sul filo, che stai ballando su un filo. Vertigine. Una paura, paura? Non una sola speranza ma mille speranze, questo è tanto. Si osa per osare. Proprio lassù sul filo. Ma intanto non chiudi occhio e poi viene l’insonnia.
Uno:
Quante storie con un sedere così. Sei fortunato oltre che dritto, è naturale. Con il vento in poppa hai un bel da biascicare ai giorni che passano. Chi ti crede? I giorni passano e passano e tu lasciali passare. Per chi ha i quattrini la vita è un valzer. Che malinconie. Tu respiri e intanto cresce il tuo conto in banca come se pompassi acqua, come se pompassi aria.
Un altro:
La terra lungo il fiume. Non valeva niente. Dicevano che l’era una puttana, la voglia di un ricco matto, invece
Padre:
Se non mi contano i bocconi in bocca io mangio; voglio lavorare in pace (si avvicinano altri, uomini e donne, che parlano fra loro)
Uomo:
Poi si andò tutti a ballare. Sul prato c’era la luna
Donna:
Con quei vestiti in bianco. Oh povere ragazze
Altra donna:
Per carità, povere un corno. Quella è l’età che permette ogni cosa. D’accordo, d’accordo, non tutte le cose, lo so bene. Ogni cosa che sia lecita, buona; che sia discreta. Vi va?
Uomo:
Stringersi
Donna:
Baciarsi
Altro uomo:
Ballare sotto la luna
Altra donna:
Conservando la propria condizione
Uomo:
Osservando la propria posizione
Donna:
Ridete, ridete, così poco sentimentali
Altra donna:
Quand’ero ragazza si ballava sotto la luna, protetti dai familiari. Quei baffetti dei giovani! Quei giovani! Che sogni, che sogni sotto la luna. La luna si toccava
Altro uomo:
I bambini nascevano sotto i cavoli
Donna:
Il fieno odorava, fiori di gelsomino, papaveri nei campi, fiori di gelsomino, i grilli, i papaveri e…
Uomo:
I palpiti
Donna:
I sospiri
Altra donna:
C’era più sentimento allora
Altro uomo:
Un letto non era un letto ma un canapè
Donna:
Ridete, ridete pure e compiangeteci. Ma vivere con un po’ di sentimento
Uomo:
Una gioia dei sensi ma una rottura di scatole
Altro uomo:
Era una gioia così. E oggi è una gioia così. Spogliatevi tutte, mie care, e facciamo il gioco dell’ortica
Donna:
Che matto! (si spegne la luce)
V. Sala in casa del Padre, fine del pranzo, amen alle cerimonie, levar dei bicchieri. È il momento del discorso, anche dell’occhio inumidito, batter di mani; mentre sotto la tavola piedi e dita di ognuno giocano con i piedi e le dita di ognuna. Santa Nafissa sia soddisfatta. Alcuni si chinano all’orecchio di alcune; e tuttavia c’è noia in giro, nonostante il dimenarsi il ridere le luci ecc. Il Padre con il bicchiere alzato sta brindando. È alla fine.
Padre:
Così da questa piccola azienda è nata una grande azienda; come, si può dire, da un piccolo uomo è nato un grande uomo. Non dovrei dirlo ma lo dico; al diavolo la modestia.
Figlio:
Lascia che ti diciamo questo: la tua fortuna è tua (e lo abbraccia. Applausi)
Padre:
Vi ringrazio e non vi perderò d’occhio. Crescerete con me. Più crescerò più salirete voi. Non vi perderò d’occhio. O viceversa, che è lo stesso, più crescerò io, più scenderete voi. Ve lo prometto. Vi prometto tutto. Parola di galantuomo. Date tempo al tempo. Lo riempiremo di grana per noi, con un po’ di interesse pubblico. Questo è il tempo di Bengodi, il quattrino ha la calamita. Bevete con me, a questa fortuna. A una fortuna che duri, una fortuna che resti, una fortuna che cresca (tracanna d’un fiato), una eterna fortuna.
VI. Adesso il Padre e il Figlio sono soli, momento di pausa, chiusura della giornata, soddisfazione dei sensi.
Figlio:
Così si è chiuso il giorno, arrivato alla fine; sembrava che non finisse.
Padre:
Comincia la prima parte della notte. Domani in fabbrica, sotto, al lavoro.
Figlio:
Tutto è pronto.
Padre:
Avviarsi, incominciare, produrre, dilatarsi; essere orgogliosi, contenti di noi, soddisfatti. Ogni rischio ha la sua faccia buona e l’altra faccia fetente. Il buono è stato consumato oggi, fra voglie d’invitati, nel puzzo delle camelie, fra quei poveracci che strisciano e la celeste figura dell’arzivescov. Che fior di mignotta l’Eccellentissima! fingeva di non conoscermi, lo smemorato di Collegno. Volevo scuoterlo a sberle, quel fior di galantuomo, quell’arca di scienza, il Pico della Mirandola. Mah! ha dovuto riconoscermi subito subito, con un sorriso. Mangiando bevendo è venuto, ha fumato, si è sdraiato.
Figlio:
Fumato bevuto poi è partito.
Padre:
Questo devono fare: togliersi presto dai piedi. Dopo avere consumato.
VII. In fabbrica. Due Teste d’uovo.
Prima testa d’uovo:
Le origini del mondo sono obbrobriose. Un cataclisma e un uomo nudo.
Seconda testa d’uovo:
Anche una donna nuda.
Prima testa d’uovo:
Diciamo pure così. Anche una donna nuda.
Seconda testa d’uovo:
Ma nudi erano e nudi sono restati. Che cambiamento c’è stato?
Prima testa d’uovo:
Nell’ordine delle cose?
Seconda testa d’uovo:
Nell’ordine delle cose
Prima testa d’uovo:
Nessuno
Seconda testa d’uovo:
Nessun cambiamento? E allora?
Prima testa d’uovo:
Allora niente. Siamo qui a raccontarci storielle
Seconda testa d’uovo:
Ma la donna nuda
Prima testa d’uovo:
Resta nuda
Seconda testa d’uovo:
E l’uomo nudo?
Prima testa d’uovo:
Resta nudo
Seconda testa d’uovo:
E noi, infine?
Prima testa d’uovo:
Siamo i coglioni che siamo
Seconda testa d’uovo:
Ma va!
Prima testa d’uovo:
Si entra?
Seconda testa d’uovo:
Entriamo.
VIII. Stanza del Presidente, cioè del Padre. Lui, il Figlio, altri che sono grossi rappresentanti e esclusivisti dell’azienda; poi le due Teste d’uovo.
Padre:
Impostiamo il discorso così; io non dico balle. Non possiamo partire da dieci per arrivare a mille; ma partire da mille per restare fermi a mille e poi salire crescere fino a centomila. Aprirci come una vescica di lardo. Coi soldi che mi costa questa fabbrica posso sperare che voi capiate questo e che mi aiuterete a farlo; voglio dire che vi caverete la pelle, sputerete il sangue.
Uno:
Non basta sputare il sangue. Gli altri vogliono fatti, costi, termini di consegna, garanzie, facilitazioni finanziarie. Insomma, vogliono pagare quando possono.
Padre:
Basta così.
Gli altri paghino quando possono
se noi possiamo accontentarli. Ma è proprio
per accontentarli che noi lavoriamo.
Un microcingolato da 25 cavalli per l’aratura
tre marce, più leggero di kg 87
della concorrenza, consumo diminuito del 20%
non più batterie per i fari
ma pile australiane che non si consumano;
le ruote garantite dall’usura
per un anno, il prezzo dimezzato
rispetto al modello 31/34. Non c’è più
concorrenza, produciamo da padroni
del mercato, dobbiamo solo imporre il nostro marchio
e le assolute garanzie. Le succursali
hanno i prospetti e i programmi
di lavoro; alla fiera di Lipsia
sbaracchiamo, così a Montpellier e
a Verona se decidiamo d’andare.
Poi persuadere un poco per volta
con pacche sulle spalle
i contadini che diffidano
perfino della madre.
In tre mesi dobbiamo concludere il ciclo,
essere già a cavallo
e imporre anche il modello industriale
con ruspa, pala e trivella.
Figlio:
Non si alza una fabbrica
per viverci dentro
con spreco di luci e di bacchette
ma per accrescere la potenza del nome
il prestigio del marchio, il giro
degli affari. Per vendere ogni giorno di più
di più, per vendere di più
per vendere di più per vendere
se vogliamo produrre e produrre
per vendere. Tenete a mente
che ci aspettiamo da voi
di imporre sul mercato
sia la versione agricola per vigne e frutteti
sia il 706 industriale.
Uno:
Lo sappiamo, abbiamo capito. Adesione indiscriminata, uno spreco di energie, lavoro accanito sul programma fissato.
Altro:
Non tergiversare.
Figlio:
E la divisione degli utili, per il primo semestre. Poi si vedrà.
Padre:
Dopo vedremo. Così mi piace. Poi si vedrà.
Parte seconda: Il fatto
I. Fabbrica del Padre; le due Teste d’uovo.
Prima testa d’uovo:
A questo ritmo scoppieremo. Dove si vuole arrivare?
Seconda testa d’uovo:
Ma caro mio, è il ritmo del sistema. Progredite e moltiplicatevi.
Prima testa d’uovo:
Bah! Ma ha ragione lui. Frusta ma produce. Siamo a cento trattori per settimana, quattrocento al mese, forniture assicurate per dieci mesi. Il ritmo è quello giusto.
Seconda testa d’uovo:
Sì, visto da questa parte. Il ritmo è quello giusto. Per ballare sui fili, come dice il vecchio. Vai via domenica?
Prima testa d’uovo:
Magari, ma ho grane con Amalia. Grane forti. Pare che sia incinta. Se è vero intanto la licenziano.
Seconda testa d’uovo:
Non t’eri cautelato?
Prima testa d’uovo:
Certo. Le solite pillole, quelle scatolette coi numeri di telefono. Ma avrà saltato un giorno, un giro di valzer un volo fra le nuvole, con quella testa. Un giorno non si può saltare. Se è vero mi ha incastrato.
Seconda testa d’uovo:
Falla abortire.
Prima testa d’uovo:
Già. Ma con quei soldi volevo cambiare macchina.
Seconda testa d’uovo:
Lo so, vecchio mio. Sono guai, sono guai, sono guai. Ci vediamo.
II. In fabbrica, Padre e Figlio.
Padre:
Come: pare che i freni non tengano?
Figlio:
Leggi qua. Ieri ha telefonato Adespi da Foggia. Sui terreni in salita, o in discesa che è lo stesso, a un certo punto, sotto sforzo, il motore si imballa e il trattore si rovescia. S’è accoppato un contadino.
Padre:
Sarà perché quei terroni sono ancora abituati ai muli. Teste di rapa. Bisogna insegnargli. Perché Adespi non l’ha fatto? Dorme?
Figlio:
Ma a Bologna? a Bologna, almeno! con quei caratterini! eppure anche lì due nel fosso e un terzo con il braccio rotto. Era pianura, vicino alla città, senza ponentino. (Entra una Testa d’uovo)
Testa d’uovo:
Sono arrivati testé tre reclami: da Matera, Poggibonsi, Morbegno. Ha telefonato Martini da Cuneo. Quattro motori imballati durante il lavoro nei campi: dice che uno s’è imbizzarrito come un cavallo, s’è drizzato sulle ruote davanti.
Padre:
Magari avrà nitrito perdio.
Testa d’uovo:
No, è scoppiato. Il poveretto raccolto fra i rami.
Padre:
Mangiava ciliege? Chiamatemi Mac Mardon, marsch. La storia si ripete, come le vecchie storie. Sento odore di budella, qua sotto. Non mi costringeranno, no non mi costringeranno a sparare ai miei trattori, seppellirli e cremarli come maiali con la peste.
Figlio:
Saranno combinazioni, soltanto combinazioni contrarie.
Padre:
Combinazioni un corno, un accidente. Qui c’è la mano di un demonio. Arriva questo Mac Mardon? Ho mezza voglia di farlo benedire il reparto motori. Che non ci sia il malocchio? Ma quel Stefanini, che portava iella, è stato licenziato?
Testa d’uovo:
Fuori già da un mese, è andato a Erlangen, lontano dai piedi.
Padre:
Bene così. (Entra Mac Mardon) Cosa accade ai trattori, Mac Mardon? Siamo matti? ci divertiamo a buggerare?
Mac Mardon:
Tutto fu controllato, dico io. I motori vanno, i freni reggono al peso. I motori s’accendono, tirano, tirano, tutto va bene da noi. E che bel rumore. Suonano.
Figlio:
Me ne frego della musica se poi si ribaltano.
Mac Mardon:
Mi scuso. Ma la musica è buona se viene dal motore. Se il motore canta suona è un motore felice, fortunato, nato con una buona stella.
Padre:
Mac Mardon, queste sue musiche del cacchio. Ha sentito che sotto sforzo si imberlano e rovesciano? che accoppano i contadini? Dei contadini me ne frego ma se gira questa voce addio motori, addio trattori e noi fabbrichiamo cessi in questa baracca.
Mac Mardon:
Siamo sicuri che i nostri motori funzionano. Forse è azione di sabotaggio, di commandos, di pattuglie pirata. Bombardamento al nord, spionaggio industriale.
Padre:
Dà i numeri, ’sto crucco?
Testa d’uovo:
Forse vuol dire che le responsabilità sono altrove. Sul banco i motori, i motori…
Mac Mardon:
I motori stanno al loro posto, sacramora. Ci stanno con judicio.
Padre (al Figlio):
Aspettiamo di uscire dall’ingrippo e me lo sbatto via ’sto Mac Mardon. Lo sbatto fuori dai piedi, coi suoi suoni di Pitagora. Oh diobono! Lo sbatto via.
III. Sera in casa del Padre, a tavola. Padre e Moglie, Figlio e Moglie.
Padre:
Che giornata, che giornata. Che giornataccia. Non ci resta il tempo di alzare gli occhi dal tavolo.
Moglie del Padre:
Ma che cosa accadrà di così grave!
Padre:
Ma che cosa accadrà di così grave! Niente che ti possa far sospirare. C’è solo maretta in giro, come dire un bel temporale. Di così grave! di grave! Si rischia la pelle, signora. Ti basta? Si rischia d’essere diffamati e di perdere intanto un bel mucchio di quattrini. Per fortuna c’è il sottoscritto che non si lascia infinocchiare.
Figlio:
Non si lascia no.
Moglie del Padre:
Passerò l’estate dai Devenis.
Moglie del Figlio:
In agosto andrò in crociera coi Frustalupi. Un po’ di sole alle Baleari e abiti da garden-party per crociere ai tropici. Non so come riesci a viverci dai Devenis, con quella casona attaccata al campo d’aviazione e al lago. (Il Figlio s’alza, si sdraia su un divano, s’addormenta: anche la Moglie del Padre s’allontana)
Padre (alla Moglie del Figlio):
Dovresti deciderti a venire con me quest’estate. Macché crociera.
Moglie del Figlio:
Non ne ho voglia: voglio vivere tranquilla, voglio riposare.
Padre:
Più riposare che a letto! magari con un lago azzurro fuori dalla finestra, pronto per incantare; e un campanello che comanda. Senza fastidi, senza mal di mare. Serietà, silenzio, ordini che dai, pigli quel che vuoi, compri, ti rilassi, intanto accontenti un povero vecchio.
Moglie del Figlio:
La smetti per piacere? sono discorsi questi, dopo il pranzo? e con questo caldo che comincia. Non hai la testa ai trattori, tu?
Padre:
I trattori sono bastardi che danno da fare, che danno pensieri. Bisogna raddrizzarli con la frusta, e presto. Ma tu sei un cavallino che trotta dolce e lecca lo zucchero dalla mano. Decidi, per quel tempo.
Moglie del Figlio:
Ti darò un pugno sul naso un giorno o l’altro. Così ti passa la scalmana, vecchio matto.
Moglie del Padre (entra col telefono):
Ti chiamano dalla fabbrica.
Padre:
Pronto? ah sì, eccome, ah, sì, sì, bene, però, perché? un accidente. Fatto bene. Sospenda, sospenda, vengo io. (Rivolto alle donne) Vedete? il dito è sulla piaga, presto presto. Apri la pancia, scopri un malanno, i guai vengono a galla; sempre, per uomini e motori. Anche se questi non puoi interrogarli.
IV. In fabbrica: il Padre è con una Testa d’uovo.
Padre:
Lo dovevo immaginare. Puzzoni, bastardi, figli di mignotta. Non ti puoi mai fidare. Per fortuna quel Mac Mardon non è poi così coglione. Fatelo venire che lo voglio baciare.
Mac Mardon (entra):
Son qua.
Padre:
Bravo bravissimo, uomo prezioso, dolce come la ciambella e bravo più di Einstein. Din don, un genio. Che fiuto, questo Mardon.
Mac Mardon:
Non sono un cane da tartufi. Non c’entra questo. La prova è sul bancone e il bancone ha cantato.
Padre:
E dai! Ha suonato.
Mac Mardon:
Suonato. I cuscinetti erano, che c’eravamo fidati della Mart-Dinart e ci, e ci…
Padre:
Fotteva, buggerava, fregava.
Mac Mardon:
Il prezzo buono ma la resa schifosa.
Padre:
Il motore rinculava come un cane bastardo. Bene bene. Grazie Mac Mardon e addio. Ma prima sul mio cuore italiano (lo abbraccia, Mac Mardon esce. Alla Testa d’uovo) Scriva subito in giro, dove sono capitati gli incidenti, le fregature, i massacri, e là dove ci credono morti sepolti, che sostituiamo i trattori, che abbiamo individuato le magagne i perfidi ingrippi le ragioni del guasto, che si è provveduto alla cosa e che concediamo un abbuono del 6,57% nei casi in cui i trattori già pagati han combinato un casino. (Grida) Siamo una garanzia di serietà, funzioniamo all’inglese, puntiamo alla grandezza, freghiamo la concorrenza!
Testa d’uovo (urlando):
Al servizio della clientela qualificata e dei beceri paganti.
Padre:
Macché qualificata, bischeraccio. Di tutti, di tutti, a destra e a sinistra, vestiti, in mutande o nudi; di ognuno che vuole aggregarsi. La nostra roba la sbattiamo dove ci chiamano. Così, via. Mi son levato un peso d’addosso. Scriva subito e scriva bene, addio.
V. Riunione di alcuni luminari dell’industria, concorrenti qualificati e anche speculatori d’alto bordo. Aria rarefatta in giro, c’è aria condizionata in questa sala, si ha timore perfino a fumare; o neppure si fuma. Una segretaria che annota scrive e trascrive; alcuni fogli davanti a ciascuno. Sono sei, la tavola è rotonda, i Paladini si assomigliano; quarantenni con molti quattrini, la seconda ondata.
Primo:
Siam qua radunati per questo.
Voi conoscete la ragione di questo raduno.
Da questa riunione dobbiamo dedurre
o assumere alcune decisioni
prese di posizione
senza ulteriore indugio.
Non che sia grave, però
il tempo non gioca a nostro favore.
Così concludendo in fretta
agiremo presto e bene.
Si cerca l’unanimità per un disegno
comune.
Secondo:
Ripuliamo il vetro con il tergicristallo.
Primo:
Esatto. Un’operazione non annosa
ma di semplice igiene. Che ci costringe
a qualche fastidio, semplicemente.
Terzo:
È stato informato?
Primo:
Lui? lui non è stato informato. Non era necessario per l’appunto, nella fattispecie. Lo sarà, con il carico delle nostre decisioni. Che vedremo. Per ordine.
Quarto:
Hélas! questi sono i punti. Al comma primo: utilizzazione dei cuscinetti a sfera della consociata Mart-Dinart, che lui ha sbolognato. Non si può sopportare, il modo e l’atto. Al comma terzo: prezzo di mercato non concordato, con una incidenza in meno del 13,07% sul normale. Scherziamo? In più, e di conseguenza, dilazioni agli acquirenti, per i saldi, fino a dodici e al sud fino a ventiquattro mesi. Inoltre sostituzione delle ruote in garanzia. Togliere, cavare via subito questi inciampi.
Terzo:
Ciò vuol dire, per i primi dieci mesi lavorare in perdita, a filo dell’osso, a osso spolpato; indi saltar fuori e fregarci.
Quinto:
È più che naturale. Ma non facciamo un processo al passato, alle buone intenzioni. Ci interessa sapere oggi dove volta il vento, dove quel commendatore vuole arrivare, sulle nostre spalle. Ma si sa: vuole, fregandoci, arraffare e battere altre spiagge.
Secondo:
Medioriente?
Primo:
Medioriente e ancora via per monti e sentieri. Vuole arare mezzo mondo, seminare sopra le nostre teste. Sono agili quei motorini; stralunano ma resistono, tolte vie le cotiche dei cuscinetti a sfera. Simpatizzano, cantano alle volte. Arano dritti a cielo buio, con quei fari a ventaglio davanti e dietro. In altre parole rompono le scatole. Per il momento.
Sesto:
Ho avuto una riduzione di vendite del 3,20% negli ultimi due mesi solo per il centro-sud.
Primo:
Tutti abbiamo danni. Ma se lui sedesse fra noi, quieto e buono come si aspettava, in attitudine amichevole, col tovagliolo al collo, deciso a collaborare, un camerata fra noi; che male ci sarebbe a vivere in pace, a dividere la torta, a fare qualche bella imbarcata? C’è spazio per tutti, ancora per un poco.
Secondo:
Con la gentilezza che nasce da buona educazione. Non pestare i piedi e rompere i corbelli.
Terzo:
Quello pesta duro, intanto. Si crede a un safari?
Primo:
Signorina, scriva che qui riuniti
dopo un attento prolungato dibattito
abbiamo deciso di invitare, pregandolo, il comm. Vasi
a intervenire a una colazione di lavoro
al ristorante Bellevue, il giorno 12 ore quattordici.
La presente riunione si scioglie avendo confermato
identità di vedute tra tutti i convenuti.
Si sottoscrive.
VI. In casa del Padre. Figlio e Moglie del Padre.
Figlio:
Se la Giossi va in crociera coi Frustalupi, tu di’ che vai dai Devenis a romperti le tasche e invece ci incontriamo a Cortina, nella villa di Federico, che è in Australia. Non vorrai perdere il tempo così, passare l’estate per niente, quando hai davanti uno che spasima e t’adora.
Moglie del Padre:
Ma va. E se ci vedono?
Figlio:
Chi ci vede? Chiusi in camera si esce alla sera. Con altro da pensare si ha le finestre aperte e buon odore di fieno.
Moglie del Padre:
L’odore del fieno. Chi se ne frega. E poi c’è Pippo che mi dà la caccia e questo mi diverte.
Figlio:
Ma non son meglio io, qua davanti?
Moglie del Padre:
Sei meglio, sei peggio. Che ne so! bisognerebbe provare; e per provare, decidersi. Non lo so che cosa farò quest’estate.
Figlio:
Verrai a Cortina con me.
Moglie del Padre:
Forse andrò dai Devenis.
Figlio:
Là c’è Pippo?
Moglie del Padre:
No, non c’è Pippo. È a Parigi.
Figlio:
Allora vedi che ti annoi? Vieni a Cortina con me.
Moglie del Padre:
Ma Pippo torna da Parigi.
Figlio:
Chi lo dice? dai retta, mandalo al diavolo, scaricalo. Ti farò divertire.
Moglie del Padre:
Non ci si diverte a Cortina. È una barba. Stare rintanati, le finestre aperte, il fieno.
Figlio:
Andiamo di là, in Austria.
Moglie del Padre:
Ma Pippo viene da Parigi.
Figlio:
Chi lo dice che viene?
Moglie del Padre:
Non so; può venire. Ma anche se non viene!
Figlio:
Parti con me.
Moglie del Padre:
Non ho vestiti per Cortina. Senti, quale è il numero del nostro codice postale?
Figlio:
Scrivi a Pippo?
Moglie del Padre:
Voglio scrivergli. Chissà.
Figlio:
Pensa a Cortina, e pensa un poco a me.
Moglie del Padre:
I Devenis hanno la villa sul lago. Se dormi con le finestre aperte entrano le zanzare.
Figlio:
Vedi?
VII. Colazione di lavoro al Bellevue; vista sul nuovo raccordo autostradale. Sfrecciare di macchine in lontananza. Il Padre e i sei Paladini.
Primo (al cameriere):
Per favore porti del Tokaj 62, ben fresco.
Secondo:
Le occasioni di lavoro.
Padre:
Quali occasioni?
Terzo:
Nessun’altra occasione che non sia una buona occasione. Cioè di vendere e continuare a vendere.
Quarto:
Le occasioni sollecitate, come si dice.
Quinto:
Esautorare la concorrenza. Creare un cartello fra noi, un pacchetto fra noi, una confraternita questuante. Lietamente.
Quarto:
Un’amicizia solida e fraterna, senza calci a tradimento.
Sesto:
Bandita la cattiveria.
Padre:
Chi non è cattivo non mangia.
Primo:
Per cattiveria, signor mio, e attento alle parole, s’intende ogni azione scorretta intesa a metterlo nel didietro. Così non si fa. Nessuno crede che voglia farlo lei, almeno.
Secondo:
Mangiamo. Questo pesce alla griglia è leggero come un pesce. E come odora tranquillamente di pesce.
Padre:
Puzza di pesce, come tutto il pesce.
Primo:
Il puzzo, che è odore, va inteso. C’è quello che offende, l’altro che ottunde, un terzo che recalcitra, infine quello che si rivolta e costringe a difenderci. Ma c’è il puzzo mielato che è tutto rivolto alla gola e invita ad abbandonarci. Un sollucchero, distensione dei sensi. Un compenso. Sorbirsi i bocconi da deglutire in pace vellicando i pensieri. Un puzzo che dunque è un profumo più forte, vigoria dell’intelletto, propenso alle tentazioni, ultima Tule e in definitiva recrudescenza degli intimi istinti.
Padre:
Io non vi capisco. Il puzzo è puzzo e il pesce si tira sulla coda tutto il marcio che è nel mare.
Primo:
Così dicono le leggende. Ma solo che lei si lasci a fantasticare! Quante storielle cava dalla testa. Come non cedere alla tentazione?
Padre:
Le tentazioni sono della carne, anche alla mia età. Altro che testa!
Secondo:
Per questo, a tutte le età. Ce ne possiamo cavare la voglia. Ma anche il capretto che scodinzola sul prato diventa tutt’altro da quello che è quando si colora sulla brace. Le cose cambiano attitudine a seconda della disposizione.
Padre:
Volete dire insomma che chi è sul prato corre e chi è nel forno si dà pace.
Secondo:
Qualcosa di analogo; qualcosa di vicino. Meno sofisticato forse; più semplice. Questo, ad esempio: se allunghi la mano sorridendo cento ne trovi che ti offrono il sale; se ci vai furtivo e quatto quatto, se tiri a fregare, tac, rischi un colpo sulle nocche, parole che offendono, un pugno sul muso.
Terzo:
Le regole non sono convenzioni ma strumenti del regno, questioni di dettaglio, singole necessità. Obblighi forbiti. Non c’è nulla di meglio che seguirle, con gli scrupoli dovuti e con tutto lo sprint della mente, sia a tavola, dove non usi i piedi, che nella dolce vita, che dolce è veramente, mi pare.
Padre:
Questo è un bel parlare; che capisco subito. Allora il pesce non puzza e non odora di pesce; ma è puro rosmarino e vera fiamma d’abete. È anche invenzione del cuoco.
Quarto:
Aggiungo, un’invenzione del cliente. Chiedendo pesce, noi ne abbiamo sollecitato tutte le segrete virtù, così come avessimo chiesto cinghiale, carne di stambecco e la più conosciuta e rassegnata lombata di vacca.
Padre:
Sono ancora parole; che introducono all’azione. Poiché non mi avvelenate, che cosa chiedete?
Primo:
Semplicemente distrarvi dalle tentazioni e ritornare nei ranghi. Vediamo.
Padre:
Vediamo un corno. Gli affari sono affari.
Secondo:
Non c’è verità più vera. Sconcia nella sua bellezza questa verità. Il tempo è denaro.
Terzo:
La forza degli affari.
Quarto:
Gli affari della forza.
Cameriere:
La macedonia di frutta.
Primo:
Anche la frutta è forza, cioè si traduce nella forza che è in noi. Ma arrivati a questo punto e sotto questo bel cielo siamo alla conclusione e possiamo tirare i fili. Parla uno per tutti, per svolgere l’argomentazione che sarà chiara come noi speriamo. Vuole?
Padre:
Accendo il sigaro e sono tutto orecchi. Dopo mi bevo il caffè.
Secondo:
Il discorso è questo, fatto a conclusione di questa bella imbarcata. La preghiamo di riflettere. Lei rompe le uova nel paniere e rischia di rompersi le ossa. Finora è andato via liscio, senza scossoni della coscienza, come un ben lubrificato stivale. Ma non creda che questa fortuna le duri; anzi è senz’altro finita. Arrestata, concussa, negletta, abbandonata. Ciascuno ha i suoi affari. Auguriamo fortuna, un ballo excelsior, un sempiterno orgasmo. Ma c’è un ma; non si può tirar la corda solo per sé, vedere il mondo con un solo occhio, quello del cuore. Non si può godere tutto fino alla fine.
Terzo:
Ecco, lei lo sa bene: ci vuole discrezione. Lei lo sa bene; o lo sapeva. Lo sa ancora? È cresciuta la voglia, è aumentato l’appetito, l’ulcera tira? Non paga più la contingenza, la tassa di famiglia? è un evasore fiscale? imbosca in Svizzera? traffica col Vaticano? E allora? Perché smarrirsi nel dedalo, cercare le stelle alpine, ridurre i prezzi, angosciare il prossimo? Si rischia di accopparsi. La nostra offerta – che è offerta fino a un certo punto, piuttosto una proposta precisa – eccola: adeguare il prezzo al mercato, non intorbidare il riflusso, vivere in armonia, collaborare fra noi, alzare il calice. Perché isolarsi e incupire?
Primo:
Si rischia di saltare.
Secondo:
O di crepare, con i dovuti scongiuri.
Padre:
Lor signori sanno tutto ciò. E io ascolto col davanti e dimentico col didietro. Com’era buono il pesce, e ringrazio. Ma dico che non ci sto; perché non posso starci. Ringrazio per la macedonia al rum che ho ancora sullo stomaco, ma se ripiglio i cuscinetti della Mart-Dinart i motori si imballano, si rizzano sul davanti come se montassero una cavalla, accoppano i contadini. Se vi dico di sì, voi intascherete senza fatica una parte di quel che guadagno imprecando e io non pago i debiti. Ho i miei mandriani con me, che vanno sfamati. I pargoli e le femmine. Ho vecchierelle decrepite. Accetto il rischio dello scontro. Vi ringrazio e saluto. E aspettiamo domani.
Secondo:
Chi vive vedrà.
Terzo:
Lei è un simpatico uomo che va ucciso con dolcezza.
Padre:
Non posso accettare tregue; non ho tempo, non voglio. Sono impelagato e devo battermi. Sono troppo vecchio per avere altre voglie. Voglio esistere.
Primo:
Esistere o resistere?
Padre:
Ora beviamo il caffè.
Primo:
E chiudiamo la conversazione. Quando si è sul filo basta un piccolo colpo per cadere giù e rompersi il collo.
Padre:
Sono vecchio per non sapere queste cose. Piccoli esempi; lagne da libri di scuola. Ostruzionismo, e concrete minacce.
Secondo:
Forse oggi pioverà, il cielo è cambiato.
Primo:
Ma oggi è meno caldo di ieri.
Quarto:
L’anno scorso, di questi giorni, fece un diluvio.
Primo:
Sì, mi pare. È tempo di terremoti; avete letto in Turchia?
Secondo:
Si ruzzola in basso.
Sesto:
Si ruzzola in basso.
VIII. In casa del Padre. Padre e Moglie, Figlio e Moglie siedono a coppie invertite, apparentemente autonome. Non si ascoltano.
Padre (alla Moglie del Figlio):
Dunque niente crociera, tu vieni con me. Ti porto dove vuoi, vado dove vai. Vedrai che vacanza.
Moglie del Figlio:
Faccio la vacanza in crociera. Almeno mi diverto, ballo, si parla. Il bagno in acque chiare, alla sera, quando il mare è tranquillo.
Padre:
Quando mai il mare è tranquillo! Tutto qua, o c’è altro?
Moglie del Figlio:
Nient’altro mi pare.
Padre:
Una lagna.
Moglie del Figlio:
Una lagna tranquilla ma anche una lagna preziosa. Fuori dalle scatole, da questi muri. Diverte, riposa, non fa cantare i galli. Si dimentica di pensare.
Padre:
Ti faccio veleggiare dove vuoi; di qua di là. Il mare? Ti stendo i tappeti, ti lascio riposare. Sei così giovane.
Moglie del Figlio:
E tu tanto vecchio.
Padre:
È proprio questo. Il cerchio si chiude, tutto diventa perfetto. C’è un altro vento, dalle mie parti, che devi conoscere. Si muovono mille foglie.
Moglie del Figlio:
È una foresta abbacchiata, che crocchia. So che non c’è altro. Soltanto la tua voglia di vivere, che è tua. Ognuno deve accontentarsi.
Padre:
Basterebbe che tu volessi, per volere. Sarebbe così facile.
Moglie del Padre (al Figlio):
Facile un corno. A Cortina non vengo, mi annoio. In Austria non vengo, ho paura.
Figlio:
Andiamo da un’altra parte; sbarchiamo alle isole felici. Cerchiamo refrigerio, sbaracchiamo il mondo, mi addormento fra le tue braccia.
Moglie del Padre:
Il caldo mi opprime, non posso vivere isolata, ho gli incubi alla notte. Voglio divertirmi senza fatica, abbandonarmi senza desideri; non voglio essere una cosa.
Figlio:
Non ho rispetto? Ti tengo come un fiore.
Moglie del Padre:
Che si concima. Ma va, so che cosa pensi.
Figlio:
Pippo non lo farebbe? Lui, con i suoi denti.
Moglie del Padre:
Io non ci sto.
Figlio:
Ci riuscirò a portarti via, convincerti, a sistemarti.
Moglie del Padre:
Non ci sto, non ci sto ancora.
Padre (alla Moglie del Figlio):
Anche se ti angustia finirai per accettare. Perché ti conviene. Non perché lo voglio io, anche se t’invito. Ti conviene, per questo sono tranquillo. Dopotutto è facile, è così semplice.
Figlio (alla Moglie del Padre):
Parliamo di questa cosa da giorni; comincia a darmi i nervi; mi angoscia.
Moglie del Padre:
E senza concludere. Perché, vedi, non ho ancora deciso.
Figlio:
Fra me e Pippo?
Moglie del Padre:
Fra te e Pippo? Forse. È possibile.
IX. In casa; Padre e Figlio soli.
Padre:
Senza quel casino saremmo già fuori dai guai.
Figlio:
Ècome ricominciare, nodo per nodo.
Padre:
Proprio così. Un intoppo, ma forse siamo arrivati a sbrogliarlo. Non ci possiamo più fermare.
Figlio:
Ma il primo finanziamento è già stato tutto assorbito.
Padre:
Ci sarà un secondo finanziamento o un terzo se occorre. Quanti ne voglio. Uno sull’altro, come frittelle. I soldi corrono, si consumano, ritornano. Con mille trattori, quasi pronti, abbiamo già pagato il debito, adesso bisogna venderli. Questo non mi preoccupa. Piuttosto bisognerà procedere, progredire, badare alle intenzioni, guardarsi alle spalle. Tu potrai partire, se credi. Baderò io, qui. Con giudizio. Con judicio, come dice Mac Mardon. Un passo avanti all’altro, coi piedi divaricati. Attenzione alle mine.
Figlio:
Ti confesso che ho avuto paura, per un momento.
Padre:
Conoscere le cause, rendersi ragione, mettere il dito nella piaga. Chi dice che questo è un lavoro comodo?
Ti torce le budella, per spillare quattrini; lo stomaco brucia. Adesso non bisogna accartocciarsi ma vendere in fretta, ricuperare il contante.
Figlio:
Vuoi che resti?
Padre:
Basta il padre a guardare. Tu puoi partire.
X. Riunione in banca per l’esame e la concessione di fidi e sovvenzioni. Seduti a un tavolo un presidente e altri cinque personaggi (due di questi sono i Paladini primo e secondo della scena VII).
Presidente:
Dunque, finanziamento respinto.
Primo:
Io auspico…
Presidente:
Taccia, lei. Non si può superare la cifra di 10 milioni per questo poveraccio che ha garanzie così esigue. Un galantuomo, un onesto, un timido dopotutto; ma si tolga dalla testa l’idea di riuscire a convincerci con le sole parole. I fatti parlano chiaro. D’altra parte non possiamo neppure concedergli un aumento di fido.
Primo:
È chiuso.
Presidente:
Ora passiamo a discutere, sotto i vari aspetti, la pratica Vasi. L’ho sotto gli occhi. Fino a pochi mesi fa non si muoveva foglia; ma oggi come si fa a decidere? Voglio dire: a cuor leggero? E anche prendendo delle precauzioni?
Secondo:
I beni in proprio, a garanzia, toccano una cifra di tre miliardi. In più c’è la tenuta di S. Arcangelo, altri 800 milioni. Questa è la parte che ci tocca; un aspetto della questione. Dell’altra, dobbiamo considerare lo scoperto di 5 miliardi già concessi, e seppure c’entrano in questi i 780 milioni di contributi speciali, con interessi ridotti, e di cui non siamo garanti, restano scoperti, anzi sono già scoperti, a cielo sereno, sotto la pioggia, un miliardo e 120 milioni. Ora ci è chiesto di allargare ancora la borsa, di concedere una sovvenzione di altri due miliardi, con restituzione di un quinto ogni quattro mesi e con l’impegno in cambiali.
Presidente:
Bravo Nitti, lei è chiaro, stringato, un gioiello; ma taccia per un momento. Il problema, e il problema che è nostro, non è finanziario. Non lo è più. È generale; copre tutte le arcate, si identifica con la nostra efficienza, con la possibilità di prevedere, giudicare, assolvere, condannare, concludere; come sapete. È universale. Riduce i lemmi, li identifica con questa domandina: Vasi sta bruciando? È dentro a un mare di guai? Ha il sedere a mollo? In altre parole: è un cliente che puzza? Un individuo pericoloso? È una carogna?
Terzo:
Da quel che si dice in giro e mormora la gente, con cautela però, sono solo parole, sono frasi soltanto; be’ non dico altro, ma sta perdendo quota, scende adagio, si stacca.
Presidente:
Vuol dire che a Roma…?
Terzo:
Anche dell’altro. Vasi è scoperto più di quanto possiede in proprio. È fuori di parecchio. Ma non è questo. Dopo il primo successo i suoi trattori si sono scoperti per vacche malate, difetti di dentatura. Sono accaduti incidenti; alcuni uomini accoppati. Chi muore giace ma chi paga? Con quei suoi trattori sotto la luna! Pare che sia riuscito a guarirli, ma i capannoni son pieni, spurgano, il mese scorso ha venduto solo l’8% della produzione e per riprendere a vendere come voleva gli occorrono altri tre mesi. Tre mesi; mesi, mesetti. Un secolo! Può sostenersi per tanto? Senza cascare?
Quarto:
In altre parole: è giusto sostenerlo? Correre questo rischio?
Presidente:
Volete dire che bisogna chiudere l’ombrello? E Roma?
Primo:
Quando girano voci Roma è già stata informata e si tira da parte. Vasi non è poi troppo forte e in paragone vive su una piccola fama. È un ras di provincia.
Presidente:
Facciamo i conti, rifacciamoli, il dare e l’avere, guardiamo le carte. I suoi beni immobili (come dice il nostro Nitti ineffabile, un valente scrivano, uno zelante tirapiedi, sparagnino e tutto attaccato alle cifre; egli è qui a godere l’elogio); i beni immobili, dicevo, garantiti al 100%, coprono quasi tutto il primo finanziamento, ma se gli neghiamo il secondo lo condanniamo a cascare. Chiudiamo la valvola, interrompiamo ogni afflusso. D’altra parte il secondo finanziamento non godrebbe d’eguale contropartita, non potendo egli ipotecare la fabbrica che è ancora quasi tutta da pagare.
Secondo:
La situazione è semplice ma confusa.
Presidente:
Confusa se si vuol cavillare. Semplice se si guardano le circostanze. Obiettivamente non si dovrebbe neppure discutere e concedere il credito. Eppure…
Primo:
Eppure?
Terzo:
Eppure ci sono altrettanto obiettivamente
alcune buone ragioni che s’oppongono.
Non ci si oppone per nulla
ma si calcolano le circostanze.
Dobbiamo procedere vigili e oculati.
Amministrare il pubblico denaro!
Accontentare il contribuente
e tenere conto delle singole esigenze
dei correntisti minori
anche della zitella
che dorme i suoi sonni tranquilli
perché la banca vigila e il suo
denaro è bene custodito.
Scusate questo sfogo.
Ma chi dorme fra due guanciali
non può essere deluso.
Ah, queste le generali.
Nel particolare il Vasi
si è ingrandito presumendo d’ingrandirsi
ha rischiato quando tutti rischiavano
ma (non è vero?) non è riuscito
a saltare all’asciutto nel momento del
bisogno. Peccato di tempestività
programmazione sbagliata
o nessuna programmazione?
sregolatezza economica?
Primo:
Bisogna condannarlo?
Terzo:
La condanna è implicita nelle cose
che ci riguardano.
Chi sgarra paga.
Secondo:
Infine, la mancanza delle convenienze
un poco di galateo, indifferenza ai legami
strafottenza peregrina
una bassa cultura che toglie valore
agli eventuali impegni. Egli tira a fregare.
Terzo:
In altre parole: non accetta le regole.
Meglio: non ha accettato le regole.
Non si presta ai discorsi
non stende la mano.
È isolato e furioso
morde come un cane;
d’altra parte oggi è disarmato
davanti ai legami che gli opponiamo.
Primo:
Ci sarà uno scandalo.
Secondo:
Lo scandalo toccherebbe a lui soltanto
e al suo effimero regno. Così trombato!
I morti si dimenticano.
Quarto:
Ma non sarebbe meglio, per tutti,
ascoltarlo? Non per dubitare, è ovvio,
ma perché tutto sia concluso
con giustizia?
Presidente:
Va bene.
Gli altri:
Ascoltiamolo.
XI. Stessa scena, col Padre.
Padre:
Non capisco che cosa vuol dire.
Presidente:
Indugiamo sui particolari, ne guardiamo i singoli aspetti, spigoliamo le foglie, per una pratica così importante.
Padre:
Che male c’è? E che cosa dobbiamo dubitare? Rivalsa, congedo, obiezioni. Voi date e io prendo. Poi io prendo per dare; o meglio, per restituire. A questo punto non si può aspettare. Le necessità crescono, s’ingrossano, premono contro la diga, consumano la vita d’ognuno. Chi non ci crede? Voi sapete benissimo come vanno queste cose. Basta una sassata contro i vetri, per un momento, a interrompere il flusso dell’acqua, l’aria benedetta, a sturare le magagne, a inverniciare la quiete. A togliere l’ossequio delle pietre. Le garanzie sono pronte e assolute. Che cosa aspettate?
Presidente:
Le parole sono belle ma puzzano. Queste parole. Tutti le ascoltiamo. Ma se permette ribaltiamo il foglio, lasciamo la musica delle sfere e guardiamo alle cifre. I suoi beni garantiscono a mala pena, e non tutto, il finanziamento iniziale; meglio dire il prestito. E poi?
Padre:
E poi il resto. Garantendo prendo e vendendo restituisco.
Presidente:
Le facili combinazioni, le alchimie artigianali. Ma non si vergogna? E se non vende? Se non si riesce a vendere? Non è che tutto corra liscio coi suoi bei trattori.
Padre:
Vende chi può e compra chi vuole.
Secondo:
Alto là, con questi calepini. Vendere, comperare. Ma prima bisogna muoversi in mezzo alle cifre. Ci sono due colonne d’Ercole che chiudono il mare magnum e danno sapore ai numeri, levigando le incongruenze. Un dare e un avere, come lei sa. Questo è il dettato.
Primo:
Finita la cuccagna.
Padre:
Che diavolo volete?
Presidente:
Noi giriamo intorno a un osso; o all’osso. Non possiamo fare promesse né promettere la vita eterna; non siamo monache di clausura; non possiamo bruciarci la lingua. Dovremmo essere convinti del contrario; e non ci convince ancora.
Padre:
Semplicemente: ho bisogno di liquido, contante, moneta che canta e suona nella mano. Mi occorre un rivolo, di aprire un altro sfogo, rovesciare dell’acqua. Lo chiedo. Voi mi conoscete e fino a ieri eravamo fratelli. Che altro cercate?
Terzo:
Lei sa queste cose, e come ci si muove. L’origine del ballo. Nessun piede fuori posto; un ordinato sollucchero. Noi cerchiamo d’agire giusto in una situazione difficile.
Padre:
La situazione è facile per voi, che guardate l’arena.
È facile giudicare, bellezze,
quando non si è giudicati altrimenti.
L’indipendenza del giudizio!
anche quando è al servizio di qualcuno.
Come se non conoscessi le mie maschere.
Non riesco a sorprendermi
e sopporto con tranquillità
questa vostra aggressione
che spero di contrastare.
Sono ricco.
Presidente:
Il beneficio del dubbio.
Primo:
Chi attacca graffia.
Padre:
Vorreste dire che ho lasciato il segno?
Presidente:
Noi diciamo poche cose fuori di qui. Qua tutto si conclude. Le nostre idee si scontrano sul tavolo.
Padre:
Se è questo! A cuore aperto vi dico che tutto ciò che vorrete ottenere l’avrete. Senza alcun difetto nelle intenzioni. E subito.
Terzo:
Ciascuno di noi vuole una parte di quello che a lei conviene. Vuole giovarle, per la sua parte. Difficile è riunire questi mozziconi, membra sparse, fossili, detriti d’alluvione. Ricostruire una vita; surrogare la forza, concedere credito all’esperienza.
Presidente:
C’è un grosso residuo di dubbio che ci angustia.
Secondo:
La mancanza di un incastro.
Quarto:
Una prospettiva storica.
Presidente:
Taccia lei. (Si spengono le luci)
XII. In fabbrica, le due Teste d’uovo.
Prima testa d’uovo:
Le cose vecchio mio non filano giuste.
Seconda testa d’uovo:
C’è della maretta, si vede.
Prima testa d’uovo:
Odore di mosto, vendemmia vicina, prossimo autunno.
Seconda testa d’uovo:
Vuoi dire che sta cadendo la casa?
Prima testa d’uovo:
Ancora non so ma le finestre si chiudono in fretta. Fanno attenzione agli spifferi.
Seconda testa d’uovo:
Tempesta?
Prima testa d’uovo:
Il fiume dei trattori scorre adagio, le vendite vanno lente, le giacenze ingrossano, le scorte sono esigue. Al vecchio pare che manchi la grana fresca per dar aria al mulino. Quella che toglie i pensieri.
Seconda testa d’uovo:
Passerà?
Prima testa d’uovo:
Dipende da lui; è una questione di forza, di spalle dure. Chi picchia più forte, fra lui e gli altri. Contano le amicizie, certi strani misteri. Li sai tu? È possibile che tutto si risolva in un giorno.
Seconda testa d’uovo:
Anche con Amalia hai concluso?
Prima testa d’uovo:
Una vaccata ’sto ingrippo. Dovrà abortire, la prossima settimana. Così per quest’anno addio vacanze eccetera. E neppure sei sicuro di continuare.
Seconda testa d’uovo:
Ci mancherebbe altro; io non ci penso.
Prima testa d’uovo:
Pensaci invece, te lo dico; perché girano certe voci.
Seconda testa d’uovo:
Quali?
XIII. In casa. Col Padre ci sono le due donne e il Figlio.
Moglie del Padre:
Pippo ha scritto che m’aspetta a Parigi.
Figlio:
Tu vai a Parigi?
Moglie del Padre:
Non so; prima voglio andare sul lago. Domattina parto.
Figlio:
Non vieni a Cortina con me; in Austria con me?
Moglie del Padre:
Non lo so ancora, ti ho detto. Sul lago ci sono le zanzare; in Austria ho paura.
Figlio:
Ti aspetto. Ti porto dove vuoi, sotto il sole o dove c’è la neve. In alto, in basso. Ti porto da Pippo se vuoi.
Moglie del Figlio:
Perché non vieni in crociera? Siamo in pochi e si balla. Si va vicino alla costa; musica, gente simpatica intorno, si riposa, mi rilasso.
Moglie del Padre:
Grazie ma non lo so. Scegliere un posto è difficile; scegliere un altro posto è difficile. Ognuno deve fare i conti con la voglia che tiene addosso, per vivere. Io non lo so proprio. Le zanzare non lasciano dormire; ma c’è il lago di giorno e quella finestra sul lago.
Moglie del Figlio:
Ma Pippo è a Parigi.
Moglie del Padre:
Già; Parigi è deserta d’agosto; fa caldo.
Figlio:
Se non ti piace Cortina si va al mare; lontano.
Moglie del Figlio (alla Moglie del Padre):
Perché non vieni in crociera? Io forse ci vado. Ma forse la barca è piccola, forse la gente è odiosa, il mare si muove, alla notte non dormo. Forse, non so.
Moglie del Padre:
Ma l’Austria non è sicura.
Figlio:
Ci sono altri posti, ho detto.
Moglie del Padre:
Lontano?
Figlio:
Lontano.
Moglie del Figlio:
E belli come i posti vicini. È un circolo, dice lui. (Accenna al Padre)
Moglie del Padre:
Domani si parte.
Figlio:
Domani si parte.
Moglie del Figlio:
Domani partiamo.
XIV. Seconda riunione in banca; gli stessi col Padre.
Presidente:
Sì, e sì, e sì.
Primo:
D’altra parte bisogna commisurare l’impegno alla richiesta.
Secondo:
Dica pure: alle richieste.
Padre:
Perché non la smettete di imbrogliare le carte? Tutto era così chiaro, voglio dire: semplice. Adesso anche a me mi sembra difficile.
Presidente:
Vede? Perché la verità viene a galla, un poco alla volta. Si concentra sotto sforzo. Lei loda la nostra fatica.
Padre:
La lodo un corno. Mi fate perdere tempo; e i miei bisogni crescono, sono contati.
Terzo:
Come se non lo sapessimo, siamo qua per collaborare.
Padre:
Allora decidetevi.
Presidente:
Non possiamo. Dobbiamo invece ar-ri-va-re a una conclusione. Come dire: camminando insieme, tenendosi sottobraccio, chiacchierando un poco.
Padre:
Non è mai stato così difficile. Cosa dirà il ministro? Perché fate sudare i suoi figli?
Secondo:
L’Eccellentissima eccellenza dorme su gommapiuma e ha altre gatte da pelare; o l’Alfasud da accarezzare. C’è questo, che è il cioccolato del buon augurio, il toccasana, il vermutte di Dulcamara. I trattori non corrono sull’autostrada, non rombano non battono non scarrozzano alluvionando, non si impegnano con le granturismo. I trattori restano trattori, questi vermi dei campi, riducibili su poggi e declivi a faticare la vita, su e giù coi fari accesi. È un lavoro da zingari che non dà soddisfazione. Ma vuol mettere un millecinque spinto carrozzato da Ghione? E da casello a casello Milano-Roma due ore e venti filate? Questi son dati cifre conti che gonfiano una nazione, la fan rossa d’orgoglio e assopiscono le sue voglie.
Presidente:
Certo, i trattori. Ma diciamo meglio: questi trattori.
Padre:
Che cacchio vuol dire: questi trattori? Son meglio degli altri, né più orfani né più ammosciati e reggono bene all’urto come i somari.
Terzo:
Ma scoppiano.
Padre (urlando):
Scoppiavano, ora non più: ora scoppiano di salute, sono vivi e vegeti, corrono per i campi.
Secondo:
Speriamo.
Padre:
Speriamo un accidente. È così.
Terzo:
Lei voleva infilare tutti, sconquassando il mercato. Non ha resistito alla tentazione. E noi ad avvertirla, con molta discrezione.
Presidente:
Lei offre, cioè ha offerto, cioè ha sottoscritto garanzie in proprio per oltre tre miliardi su beni immobili; ma lo scoperto attuale è di oltre cinque miliardi. Come garantirci il recupero di questa cifra nel momento conseguente a una nuova richiesta? La sua esposizione debitoria toccherebbe allora i sette miliardi.
Padre:
Ma i trattori sono pronti per il mercato! Incrementare le vendite, procedere al rilancio, prevedere le conseguenze. È anche vostro interesse, mi pare.
Presidente:
Sussistono obiettive ragioni e validi motivi per sentirsi perplessi.
Padre:
Il vostro dubbio puzza, sotto ci bolle qualcosa. Non è il vostro dubbio che temo, perché voi siete come me, insensibili a tutto e autentiche carogne; ma le ragioni che lo spingono, quei fili nascosti. Non mi vorreste morto, per caso?
Secondo:
Lei sa: chi muore giace.
Terzo:
E chi vive si dà pace.
Padre:
Vedremo.
Presidente:
Sì, staremo a vedere.
XV. In fabbrica; le due Teste d’uovo e Mac Mardon.
Prima testa d’uovo:
Si fa grigio sul serio
Seconda testa d’uovo:
Vedo nero
Mac Mardon:
Ma cosa capita così improvviso, che non capisco.
Prima testa d’uovo:
Magazzini strapieni, scorte in materiale finite. Tre concessionari hanno disdetto i contratti e richiesto i cambialoni.
Mac Mardon:
Ma i trattori vanno!
Seconda testa d’uovo:
Nessuno li vuole più; dicono che sono iellati.
Prima testa d’uovo:
Che scoppiano in mano.
Seconda testa d’uovo:
Un rebus per il camposanto.
Mac Mardon:
Queste son balle.
Prima testa d’uovo:
Raccontalo in giro.
Seconda testa d’uovo:
Questa settimana non hanno pagato gli operai.
Mac Mardon:
Assenza di busta paga?
Prima testa d’uovo:
Proprio così, e in questo momento, con tutte le mie grane.
Seconda testa d’uovo:
Tu hai concluso?
Prima testa d’uovo:
Be’, ho deciso. Amalia va a Torino, per quell’affare. Se la cava in tre giorni; però mi saltano i risparmi.
Mac Mardon:
In amministrazione stanno esaminando i libri contabili.
Prima testa d’uovo:
Siamo prossimi allo sfacelo?
Seconda testa d’uovo:
Che si avvicini la fine?
Mac Mardon:
Aspettiamo e vedremo. Una situazione d’emergenza.
XVI. Terza riunione in banca; di nuovo tutti col Padre.
Presidente:
In una situazione d’emergenza occorre procedere con oculata prudenza, ponderare i probabili rischi, accettare il condizionamento dell’ora. Le ore gravi devono spingere alla cautela. Veda Badoglio.
Padre:
Che c’entra Badoglio, quel lavativo. Non è morto?
Presidente:
Si fa per dire. Si porta avanti un esempio, si conclude a un nome. Ci si assesta sulla cima. Ognuno ha la propria cultura. Il signor ministro le ha parlato?
Padre:
Si è nascosto sotto il letto, mescolato ai cuscini, intabarrato nelle tende; ha negato negletto rifiutato. Era in crociera, in riunione, in clinica, in un convento. Sperduto in montagna, nuotava nel mare. Insomma non c’era.
Secondo:
E sua Eminenza reverendissima?
Padre:
Alle cure delle acque, fonte solforosa. Malattia di reni, stentava a parlare, aveva formicolio alle gambe, m’invitava a pregare.
Presidente:
Il dubbio era dunque legittimo, la nostra esitazione sacrosanta.
Terzo:
Tale e quale un’ispirazione.
Quarto:
Una motivata lungimiranza.
Padre:
Ma potete buttarmi alle corde, stringermi in un angolo, regalarmi ai cani? Ci ho quattrocento operai dietro alle spalle.
Presidente:
Quelli piangono in silenzio e hanno un diverso destino. Essi non crescono in fretta ma restano abbandonati al loro zero. Saranno raccolti e sfamati.
Secondo:
Le verifiche contabili
Terzo:
Compiute nella vostra amministrazione da tre noi sottoscritti e da un giudice nominato
Quarto:
Non concedono rosee speranze
Primo:
L’avvenire è incerto
Secondo:
Un domani assai cupo
Presidente:
Le distrazioni contabili sono evidenti, non surrogate da adeguate pezze d’appoggio
Terzo:
Il casino amministrativo, a occhio nudo, danzante e calzante
Primo:
Equivocità della memoria
Secondo:
Tentazioni non esercitate con estro
Terzo:
Un re Mida sbalestrato
Presidente:
Parlo io per tutti? Si conclude in senso negativo e si congeda il signore.
(Tutti si allontanano sorridendo. Resta solo il Padre. Poi buio).
XVII. Sala del Padre, in casa. È notte, quando si sentono battere le ore. Il Padre è solo in una vasta casa deserta; e il suo soliloquio o colloquio resa dei conti inventario (abbastanza disperato, come conviene) si svolge con se stesso e con le cose attorno, che partecipano muovendosi. C’è un giornale aperto in terra e può accadere che si metta a volteggiare, spinto da un soffio; che una sedia a dondolo si agiti molto lentamente ecc.
Padre:
Dunque, vediamo, quella strada è chiusa; non si passa. Dall’alto mi prendo calci; non si bussa alla porta. Accade che nelle altre direzioni, solite, non ci sia modo di ottenere un sostegno adeguato.
Dunque, vediamo. Non c’è più un sostegno adeguato. Bisogna sbolognarsi da solo, procedere alzando i piedi, districarsi dalla rete. Lusinghe non ci sono più; lucro cessante, cavarsi fuori, danno emergente.
Dunque, vediamo. Magazzino colmo, fido bloccato, resa dei conti. Non è ancora la fine o è certo la fine?
Evadere, parare l’urto, immedesimarsi, riuscire a sopraffare la maretta. Posso farlo?
Vediamo. È questione di giorni, di ore; o è già tutto deciso? Preso di contropiede, anche deriso, con la stessa cattiveria di un tempo, che credevo d’aver dimenticato. Mi sta bene. Ventre di rana, testicoli di cenere.
Se solo potessi
approfittare della circostanza contraria per rovesciarla,
se potessi trovare il modo di adattarmi
e resistere per un momento. C’è la maniera?
Questo modo c’è, ci deve essere un modo.
Superare i fossi, svolgere i fili,
sfuggire alla ragnatela del concorrente.
In quattro si sono consorziati per
indicarmi al pubblico;
guardatelo, osservatelo, è lui.
Così grande, è finito. Il coglione.
Ha sbattuto nei lacci, legato come un salame.
Cristo, che botta.
Tacciono, ascoltano, poi dicono: poverino, è fregato.
Nessuno lo vuole più.
Invece di aiutare un poco, dico io; perché c’è sempre un modo.
È un dovere civico, obbligo della comunità, per
evitare il danno.
Non c’è solidarietà fra soci?
Cane non mangia cane.
A fine di lucro.
Ciascuno di noi può essere da un momento all’altro
dalla parte opposta, neppure volendo.
Dunque vediamo.
Eccellentissima eccellenza bang! Via
Reverendissima eminenza smag! Via
soci consoci tirapalle e tirapiedi squagliatisi
fabbrica ferma magazzino stracolmo
la banca rifiuta.
Ossessione di questo rifiuto.
Un rifiuto totale, condito col prezzemolo,
hanno chiuso l’ombrello,
si parte per l’obitorio.
È la morte di un uomo?
la sua fine condita col Brill?
si chiude gli occhi a sputi in faccia?
Dunque vediamo.
Le carte si confondono
non si vede la fine
o se c’è in fondo una fine vigliacca amara,
spiaccicata nel muro.
Ecco là un ecceomo, che bel quadretto.
L’inverno della vita
la caverna del niente.
Cosa vuoi? (Guarda il giornale, legge)
“Senza il partito non siamo nulla
con il partito siamo tutto
tutto tutto”. (Lo butta)
Lo sconquasso definitivo,
conclusione del quiz.
Quelli che restano non piangono,
chi resta si dà pace,
se ne fregano.
L’inverno della vita
la caverna del niente.
(Si spengono le luci)
Parte terza: La conclusione
I. Casa del Padre, al mattino presto.
Padre (sempre seduto e continuando il soliloquio);
Sì, la caverna del niente. Un pugno di mosche e anche un pugno sull’occhio. Menano dove vogliono; sventolano le sberle. E che sberle; fan male. Si piglieranno anche la pelle. Eh sì, è possibile che per godersi lo spettacolo facciano anche questo sforzo; far ballare l’orso in piazza. Un ultimo sforzo. Si prenderanno tutto, costoro; e con un bel calcio, hélas, la fine di un mito; una nazione che crolla, una potenza sconfitta. Titolo sui giornali. Dunque, vediamo. (Suonano: apre la porta; entrano due uomini)
Primo uomo:
Il tal dei tali Vasi, tale Vasi dei trattori Vasi, che amministrava la fabbrica? del fu Mattia Gambetta e della Berenice Lambertini, nato a Codogno il 18 settembre 1908?
Padre:
Il tal dei tali sono io.
Primo uomo:
C’è un mandato d’arresto al suo nome e che si occupa di vossia. La invito a seguirmi in questura.
Padre:
Come un ladro di polli. Posso mettermi la cintura?
Secondo uomo:
Purché faccia presto; dobbiamo andare.
Padre:
La cintura è allacciata e la relativa cravatta. Così infiocchettato! Indossata la giacca. Spazzolo le scarpe, do un’ultima occhiata ai muri. Addio monti sorgenti dall’acque, con quel che segue. Una fetta di vita finisce? Eh, cari signori, finisce la vita. La fine di Vasi, la morte di Vasi, il seppellimento di Vasi. Una dinastia muore, il re va in esilio. Con tutti questi stucchi. Potevo spendere in puttane.
Primo uomo:
Vogliamo partire, muoversi, galoppare? o indugiamo e ci fermiamo a recitar commedie?
Secondo uomo:
Quante occhiate all’indietro ho visto in vita mia!
Padre:
Magari fosse una commedia, una farsa eccetera; si soffrirebbe di meno, non si soffrirebbe affatto. Invece mi sento squagliare; morire un poco; adagio, così adagio che sembra quasi vero. Tutto coincide, si conclude. Così doveva finire, se è così che finisce.
Secondo uomo:
Andiamo vossia, marsch!
II. In fabbrica. Davanti a operai e impiegati parla l’Eccellentissima eccellenza; ci sono l’Archbishop e varie autorità.
Eccellentissima eccellenza:
Voi siete tutelati dal governo, affidati alle buone mene della nazione, garantiti nelle paghe maturate, nelle ferie non ancora concluse e in tutti i possibili benefici. Dormite fra due guanciali. Il governo vigila, non dà requiem a cialtroni, speculatori, ribaldi, figli di buona donna, che vilipendono le istituzioni. (Urla) Le istituzioni non si toccano! Le male piante sono affidate alla magistratura che s’aderge sovrana e incorrotta, vindice di ogni libertà e garanzia incondizionata di tutti i valori che fanno grande un paese, che illustrano un popolo, che danno sale alla sua storia; ed essa non perdona. Colpisce inflessibile, così come assolve gli innocenti. È tenera dura mansueta commossa intransigente materna. Non dà pace e propone. Talvolta perfino dispone. E voi, che siete il ceppo vivo della nazione e sudando alimentate i prodotti, non abbacchiatevi. Finito un lavoro se ne crea rapido un altro; disperso un sadico che inveleniva, lo sostituisce un onesto che s’affanna e si consuma perché voi, miei cari, abbiate un giusto compenso e rinnovato alimento alla speranza. Pane e lavoro, miei cari! Vedo dalle vostre facce che siete convinti e sicuri.
Una voce:
Convinti un accidente. Se smantellano la fabbrica!
Eccellentissima eccellenza:
Calma, ragazzo mio. Nulla si crea e nulla si distrugge, come diceva il filosofo. Ore rotundo, scusate la cultura. Quei trattori erano pericolosi, tradivano la fiducia dei contadini, ragliavano esplodevano seminando zizzania; creavano orfani e indebolivano il tessuto del proletariato. Erano un attentato alla serietà dei nostri costumi; sputtanavano i nostri prodotti. Ma che? subito si è provveduto. Una parte di voi potrà andare in Sardegna nella nuova fabbrica Azof che s’aprirà fra poco. Sarete salariati distinti, in un clima di mare. Via dall’odiosa pianura. I vostri figli cresceranno sani e diventeranno marinai. Gli altri, circa centocinquanta, resteranno in loco, poiché trasformeranno questa cella funeraria, questo odioso ricettacolo di oggetti esplodenti in una linda fabbrica di sapone, odorosa di pomice, che lavora salubre e allegra senza preoccupazione per l’incolumità dei singoli. Raddrizzate le orecchie, miei cari e applaudite. A morte i traditori e chi sabota i tralicci. Viva l’Italia. (Silenzio di tomba: alcuni fischi)
III. In fabbrica: le due Teste d’uovo.
Prima testa d’uovo:
Dopo l’orazione del magnifico; purché ci diano i nostri quattrini.
Seconda testa d’uovo:
Li hanno garantiti. Tu resti?
Prima testa d’uovo:
Io me la squaglio evado me la batto; appena ci ho la grana.
Seconda testa d’uovo:
E dopo?
Prima testa d’uovo:
Troverò un altro posto, mica sono fesso. Proprio oggi che Amalia ha abortito.
Seconda testa d’uovo:
Tanti pensieri in meno.
Prima testa d’uovo:
Non si poteva no. Un infante, adesso, un baby, che spettacolo. Saltavano i nervi.
Seconda testa d’uovo:
E saltava il cervello.
Prima testa d’uovo:
Chi usciva più di casa, chi se la poteva spassare? Il tempo si fermava.
Seconda testa d’uovo:
Ma la famiglia in assoluto, un obbrobrio.
Prima testa d’uovo:
Adesso se non voglio restare me la batto, filo via, mi squaglio. Posso farlo, decido io, non mi lego.
Seconda testa d’uovo:
Vai e vieni, arrivi e parti, ti metti in orbita.
Prima testa d’uovo:
Sì, a frullare secondo la voglia, con fermate voluttuarie. Indisciplina, sregolatezza, un poco di genio. Voglio dire: di fantasia.
Seconda testa d’uovo:
C’è molto da godere. Speriamo che tutto si concluda per il meglio e non ci caschi addosso il mondo. Che cosa vogliono ancora?
Prima testa d’uovo:
Il mondo, sta’ attento, non finisce; non finisce per te, voglio dire. Non si spreca per questo. Si è addormentato, dopo alcune sfuriate e lascia vivere; se tu non lo svegli. Basta non gridare.
Seconda testa d’uovo:
Basta non gridare; farsela da soli, procedere sulle punte, non rovesciare i bicchieri o sbattere le porte. Chiedere permesso. Oh, fabbricherò saponi.
Prima testa d’uovo:
E io mi laverò le mani pensandoti; o i piedi; o altro ancora. Con discrezione, amico mio, non dubitare.
IV. Cella in prigione; il Padre sdraiato.
Padre:
Ahi ahi ho sete ho sonno
sto morendo (si rivolta sulla branda)
questi stracci puzzano
afa caldo arsura
mi duole tutto,
mi lamento, mi lamento mi lamento.
Consumato, distrutto. Perché
non mi buttate?
morire è meglio.
Eppure non muoio,
resterò vivo in eterno qua dentro,
qua dentro non si muore,
qua dentro non si beve, non
si dorme, qua dentro non si piscia.
Solo le ore passano, passare. Ahi ho sete
ho sonno sto morendo.
Un altro giorno,
un giorno come ieri.
(Si apre la porta, entrano spinti con forza, bruscamente invitati, cinque giovani 18-20 anni, tre ragazzi e due ragazze. Adagio si dispongono lungo il muro, appoggiati alcuni, seduti alcuni; in silenzio)
E voi? siete venuti
a dividere la torta? o siete spie
della polizia venute per inguaiare
per stendere per tirare le parole?
per confessare il prigioniero?
o invece per fargli compagnia
belle ragazze?
(I Giovani non rispondono, non l’ascoltano, parlano fra di loro)
Primo ragazzo:
Se non picchiavi si era tutti fuori.
Secondo ragazzo:
Non potevo non picchiare, loro picchiavano.
Prima ragazza:
Non poteva non menare; loro menavano eccome.
Padre:
Vedete? hanno affossato un galantuomo; lo hanno buttato giù, con manciate di terra. Addio. Vedete un redivivo, un intombato.
Terzo ragazzo:
Qualcuno li ha chiamati
Seconda ragazza:
So ben io.
Primo ragazzo:
Ma va, son balle. E anche se li hanno chiamati? Questo doveva accadere; prima o poi era così che finiva. Con quelli finisce sempre così.
Prima ragazza:
Siamo incastrati.
Secondo ragazzo:
Sì, un poco. Ma non pensarci, non pensarci ancora.
Primo ragazzo:
Diciamo che prima si era fuori e adesso siam qua dentro.
Prima ragazza:
L’età dei martiri, ecco gli ometti di Belfiore.
Terzo ragazzo:
Non era solo colpa loro, in fondo. Le guardie sono piccoli esseri umani. Povere cose umane.
Prima ragazza:
Sei matto? che vuol dire?
Primo ragazzo:
Semplicemente che ognuno fa il
proprio mestiere,
il mestiere che può, il mestiere che sa,
quello dell’ignoranza o della paura,
quello che si può fare
quando non c’è altro da fare
per una manciata di fieno
per un poco di legna
per il salario del sabato
la medicina del figlio
e in questo mestiere si consuma
magari fino alla pensione.
E con scarsa erudizione.
Chi invece ci si dedica
acquista un grado, sale la scala arriva al lume
e gioca a bridge coi potenti.
Secondo ragazzo:
Una giusta posizione
Terzo ragazzo:
Molta considerazione
Primo ragazzo:
Usano una mazza nel lavoro. O un colpo di fucile. O le catene, semplicemente. È tutto qui.
Secondo ragazzo:
Io lancio una palla a te (attorciglia un fazzoletto e lo butta)
Primo ragazzo:
Tu la butti a me (afferra al volo)
Terzo ragazzo:
Io lancio una bomba a te
Primo ragazzo:
Presto, così, via (giocano per un po’)
Secondo ragazzo:
Quando finiscono le ragioni cominciano le spade.
Seconda ragazza:
Senza sigarette abbiamo tutto il tempo di pensare a ciò che dobbiamo fare; le cose da dire.
Primo ragazzo:
Ma c’è tempo per questo.
Basterà essere d’accordo che non si
è fatto nulla.
Eravamo lì per caso
si passava per la piazza.
E le cose da dire le sappiamo.
Secondo ragazzo:
Usiamo il cervello per aggirare l’ostacolo.
Terzo ragazzo:
E l’ostacolo si aggira.
Seconda ragazza:
Quelli ci incastrano lo stesso.
Padre:
Ahi ahi ho sonno sto morendo. Afa, caldo, arsura; mi duole tutto. Mi lamento. Carne da letame, morire è meglio. Voi che fate?
(I Giovani non rispondono subito; parlano fra loro)
Primo ragazzo:
È peccato l’abigeato,
non si raccoglie la frutta degli alberi
senza il permesso scritto del prefetto
si lede la proprietà.
La proprietà è sacra
il teppismo non è permesso.
Le mandorle sono colorate di rosso.
Tu cosa hai rubato? (rivolto al Padre)
Padre:
Non ho rubato nulla,
scoppiavano i motori.
Prima ragazza:
È matto?
Padre:
E disturbavo lor signori. Ero anch’io uno di quelli.
Gli scoppi non sono permessi.
E poi articoli del codice che riverisco
ossequio numeri 2621 e 2630,
false comunicazioni
illegale aumento.
Hai da fumare?
Primo ragazzo:
Nisba sigaretten.
V. Da questo momento i Giovani parlano, recitano un poco, dicono frasi come le seguenti, mimano, disegnano i muri, luci in movimento; un po’ per volta lo spettacolo s’accende.
Primo ragazzo:
Qualcosa si conclude.
È l’ora di un giorno
in cui qualcosa si comincia.
Secondo ragazzo:
Si va a incominciare.
E mi pare giusto cominciare in questo modo.
Prima, mi sembra, soltanto si scherzava.
Primo ragazzo:
È giusto considerare le cose (i fatti, avvenimenti
le varie circostanze di questa vita e) concludere
– C’est la nuit du 10 au 11 mai, la nuit des barricades –
che la musica non è cambiata.
Pilota di guerra, i giorni delle celebrazioni
i drappi alle finestre (strappati) le voci che corrono
uomini immobili e la benzina…
Terzo ragazzo (continuando):
La studentessa liceale sedicenne Amélie X
è violentata nel centro di Parigi (rue Molière, rue
Villon, place de l’Opéra) quattro volte sul camion dei poveri figli [ del popolo di Franza, i tutelatori di un
ordine, e l’operaio Gaston X di 24 anni è
steso con un colpo alla schiena dai
sopraindicati… ahi! ministri del potere.
Porte sfondate
quella faccia quegli occhi il giallo
di quei capelli le voci (urla) le mani
è quello il piede le labbra è così il colore
di questa violenza che si ripete l’odore della morte
le porte abbattute dagli assassini.
Prima ragazza:
È così dolce l’ordine e la giustizia
Seconda ragazza:
A Jena era il crudo inverno o splendeva la rosa?
Hegel guarda passare l’armata di Napoleone.
Primo ragazzo:
Effettuare un piano
Terzo ragazzo:
Circoscriverlo
Primo ragazzo
Definirlo nei particolari
Terzo ragazzo:
Poi zum! esplodere
Prima ragazza:
Produrre per consumare
Seconda ragazza:
Consumare più in fretta per produrre più in fretta
Primo ragazzo:
Produrre anche gli eroi in serie
Secondo ragazzo:
I bravi eroi che non puzzano, per la patria. Da esportazione, per tutte le patrie. Riverirli.
Terzo ragazzo:
Custodirli
Primo ragazzo:
Non dimenticarli
Secondo ragazzo:
Soprattutto imitarli
Prima ragazza:
Così i padri saranno contenti
Seconda ragazza:
E saranno contenti (soddisfatti)
i figli
i figli che imitano i padri,
che così bene gli somigliano.
Prima ragazza:
Ma gli altri figli, i figli diversi, i nuovi figli, gli altri, sono (potranno essere?)
più felici dei padri? fortunati dei padri
di più? protetti soltanto o
non disposti ad attendere? a consumarsi, ad
essere abbattuti, come bestiame, deteriorati e illusi;
già, prima di vivere, uccisi?
Almeno sanno che le noiose bandiere degli eserciti
finiscono a Prato
ammucchiate nei magazzini marciscono le bandiere dei vincitori
Seconda ragazza:
Lì si sfasciano le giacche dei generali
e alla cisterna dell’acido
per il tessuto di Prato
arriva infine anche la divisa del soldato.
Tutto ciò molto inutilmente per le patrie.
Quanta vanità nelle parole
che grado di mortificazione
e tradimento, rabbia.
Terzo ragazzo:
L’armada volante dei falchi
Secondo ragazzo:
Perché noi si protestava botte e dentro
Primo ragazzo:
Perciò dovremo accettare per
buona la loro legge,
di questi finocchi,
e copiarli se capita
perché loro dicono che sono un esempio a tutti?
Terzo ragazzo:
È bello davvero, signori,
essere onesti su un codice scritto da voi
e su misura vostra.
Secondo ragazzo:
Io disprezzo mio padre. Disprezzo tutti, a cominciare dal padre.
Primo ragazzo:
Io disprezzo mia madre
Secondo ragazzo:
Scatolette di carne
Primo ragazzo:
Due mariti
Secondo ragazzo:
Solo televisione
Primo ragazzo:
Tre fratellastri. Non ricordo
neppure il nome.
Terzo ragazzo:
Questi ci menano per farci
uguali a loro
ubbidienti alle leggi
disuguali per tutti
tranne che per loro;
docili ai comandi messi in giro da loro
attenti alle notizie che sono false distribuite
da loro. E pronti al macello che ci verrà da loro.
Secondo ragazzo:
In conclusione, come diceva il libro, ricordi?
vanno a far leggi nuove
quelli cui vanno molto bene le vecchie leggi.
Perciò fanno le leggi vecchie.
Prima ragazza:
E Stangl ritorna in Germania
Seconda ragazza:
Grecia
Terzo ragazzo:
Sinai
Primo ragazzo:
Watts, i neri dentro il bianco fuori
Watts, il nero morto e i bianchi vivi.
Secondo ragazzo:
Cuba
Terzo ragazzo:
Berlino
Primo ragazzo:
La Spagna
Seconda ragazza:
Angola
Secondo ragazzo:
Pechino
Terzo ragazzo:
Cambogia
Prima ragazza:
Tirolo
Primo ragazzo:
Bolivia
Terzo ragazzo:
Tonchino
Secondo ragazzo:
Operazione defoliante.
Nel 1968 si calcola che circa
un milione e mezzo di acri sono stati trattati
in luglio la Defense Supply Agency
ha firmato con le case chimiche
produttrici contratti per 58 milioni di
dollari.
Povera america povera america povera america
la violenza dell’america fa paura
la violenza dell’america contro l’america fa paura
non la violenza dell’america contro il mondo
nell’occhio del mondo è la squallida violenza dell’america.
Prima ragazza:
Fottersene delle leggi; non è più il tempo di disubbidire con dolcezza.
Seconda ragazza:
Ci hanno nascosto tutto per troppo tempo
non c’è più tempo da perdere.
Terzo ragazzo:
Se per un poco drizzate le orecchie vi accorgerete che le leggi si fregano da sole. Una legge cancella l’altra, la cavalca, l’ingravida. E nasce un mostro peggiore.
Primo ragazzo:
Si intersecano stridono urtano
tra di loro si gonfiano. Non seguire
le leggi è dunque un dovere.
Secondo ragazzo:
La saggezza dei vecchi, l’esperienza coperta di vermi, col tanfo già della morte.
Prima ragazza:
Tutta quella cultura costruita così,
come se il mondo fosse loro.
Scelgono, selezionano, imballano e
badano anche alla distruzione.
Sempre così, uguali così, da secoli.
Seconda ragazza:
Fregarsene dei saggi e dei canuti. E quelli di mezza età? Marpioni scoglionati. Sanno niente e cercano soltanto di venire a letto con te. Come sorridono, in quel momento. Poi tornano al loro moralismo quieto.
Terzo ragazzo:
Mio padre è andato a casa e chi l’ha più visto?
Secondo ragazzo:
Il sacro vincolo familiare
Seconda ragazza:
L’amore fra i coniugi
Primo ragazzo:
Il rispetto reciproco
Secondo ragazzo:
La gioia del focolare
Seconda ragazza:
Da un luogo del mondo…
VI. Interrogatorio del Padre. Due gli inquirenti. Mentre è in corso l’azione entra un terzo che sta zitto e attento.
Padre:
Comincio a intendere qualcosa.
Comincio anche ad abituarmi
poco per volta.
Bisogna farci il pelo
se ci devo restare qua dentro.
Primo inquirente:
Noi invece dobbiamo appurare se le registrazioni contabili mal fatte, alterate o addirittura insistenti – nonostante tanto nichel – sono da imputarsi a disegno doloso, a semplice ignoranza della situazione o magari a un disguido. Insomma: se lei, dopotutto, è soltanto un ladro o un poveraccio a cui concedere le attenuanti generiche.
Secondo inquirente:
Comunque si è fregato con le sue mani
Padre:
Voi siete contro di me; ed eravamo amici. Anche gli altri erano amici miei e mi hanno strozzato. Per me, vedete, è importante appurare questo (mettete pure che sono un ladro ingegnoso o un minchione senza ombrello).
È un tarlo nella testa: che cosa è accaduto che tutti si sono rivoltati? Non uno? Sì, lo so! Ma è il modo:
totalitario. Come può darsi, da un momento all’altro,
che tutti si accaniscano contro uno, tutti insieme,
col gusto di affogarlo proprio, testa sott’acqua e
naso nel bicchiere? pari pari a un gatto. Non eravamo
sulla stessa barca?
Il gusto non dico di dilaniare ma di vedere agonizzare
con la pancia aperta
mentre sei dissanguato.
È buia questa perfidia
un cancro che rode
non salva neppure da se stessi
sale sale sale molto adagio e zac!
colpisce alla testa. Ero così anch’io; ero così fino a
ieri. Mi sta bene.
Gli altri bisognerebbe guardarli sempre negli occhi
non soltanto nel portafogli o nel risvolto delle tasche;
fissi negli occhi
nel fondo di quegli occhi
anche quando auguri a loro un
buon natale buona gita buona pesca o una buona…
Si fa sempre tutto così in fretta.
Be’, quando si dà il via a pensare si comincia a vergognarsi.
Primo inquirente:
Vedete che la prigione fa bene? vuole dettare le memorie?
Secondo inquirente:
Sta cuocendo nel suo brodo
Padre:
Dico – e mi scuso di dirlo in breve –
che cominciando a capire pago quel che devo pagare
perché ero un asino, una pipa, salito in cima con un
po’ di vento in poppa.
Ci vuol altro che un poco di fortuna!
altro che un po’ di grana ammucchiata in fretta, magari sotto il cuscino!
Primo inquirente:
Cos’è, una confessione in piena regola?
Padre:
Se vuole può scrivere
Secondo inquirente:
Bene, così si va subito a cena
Padre:
Primo: il sottoscritto conferma dall’A alla Zeta d’avere sgranfignato, per i suoi minuti piaceri e per il prestigio del casato. I Vasi! salvo poi, vedete, trovarsi col sedere sul bagnato.
Primo inquirente:
Un evasore fiscale?
Padre:
Macché evasore fiscale! Ma sì, anche evasore fiscale, scala dieci Mercalli, per questo stato fetente; che prima lusinga poi legna. Adesso che mi ha conciato sono almeno contento d’averlo fregato. È giusta soddisfazione.
Primo inquirente:
Poi? Sú; vien notte
Padre:
Secondo; e parlo di una svista in teoria, una colpa (dico errore) che non si vede. Insomma: ho creduto che la forza dei potenti, i potenti, i potentati, i bei signori col muschio, quelli con le patacche, fosse un’autentica forza, forza vera, capace di muovere montagne, e fosse aria di Val Camonica la quale apre i polmoni e toglie la tosse canina.
Mi credevo forte con loro.
Li ho pagati, per questo.
Sì, nemmeno hanno voltato la testa, al momento buono, scaricandomi come una latta dal carro.
Ricordare questo: non era forza quella ma solo paura.
È certo che coloro hanno una paura cagna
di perdere questa loro potenza, e in realtà la forza
dei potenti è vetro è carta è aria (magari inquinata)
è sbobba. Che esiste e dura perché gli altri hanno ancora più fifa e a questa forza allora
ci credono e ci sperano.
In altre parole: si rassegnano.
Secondo inquirente:
Cos’è, un decalogo da lasciare ai figli
o carta da giornale?
un breviario per laici?
una strenna per natale?
Padre:
Qualcosa che mai avrei pensato di pensare. Sono frasi a uso interno, massime da mandare a memoria per gli eredi se ne avessi. Ma io sono erede a me stesso. Vedete che campione.
Secondo inquirente:
C’è anche un terzo paragrafo in questa filastrocca?
Padre:
Breve: se fai il lupo mangia di tale carne, non quella leggera di donna. A morsi d’affamato; lasciare da parte nemmeno le ossa. Altrimenti gli altri una notte o un giorno t’addentano. Come è puntualmente accaduto.
Primo inquirente:
Bella lamentazione, per chi piace; ma non si conclude. Cosa scrivo io? Abbiamo bisogno di cifre e di qualche dato che canta.
Padre:
Ecco la conclusione e la coda di questa ballata. Dichiaro veri gli addebiti di oggi di ieri di domani; ne aggiungo altri cento per illustrare il vostro merito e la vostra bella corona. Li porto tutti sull’unghia per il tempo del processo. Poi mi sottoscrivo.
Ho rabbia d’essere stato troppo ingenuo; ora ho imparato.
VII. Padre, rientrando in cella, ai Ragazzi.
Padre:
Comincio a sfogarmi, ci piglio anche gusto,
prima certe cose nemmeno le pensavo.
Adesso sento che qualcosa si muove.
Ma è troppo tardi; eppure non è tardi.
Primo ragazzo:
Com’è andata?
Padre:
Come può andare a un vecchio. Bene, male. È un conto chiuso.
Secondo ragazzo:
Di che conto parli?
Padre:
Di quello che bisogna pagare quando la cambiale scade. Non c’è rinnovo, ti trovi gli uscieri alla porta. È l’ora della verità.
Prima ragazza:
Ma quale verità? non dicevi che è tardi?
Padre:
È tardi. Intendo forse quello che vuoi dire. Sì, è tardi.
Seconda ragazza:
Fatti capire. Cosa fai qua dentro? sei ladro? hai ucciso? In quell’angolo appena ti muovevi, eri un’ombra, adesso parli
Padre:
Se vi dispiace fate come non ci fossi. Sì, sono un’ombra. Non riempio il giornale, niente televisione, ma neppure un morto di fame. È una storia da scordare.
Primo ragazzo:
Ti butti in basso
Padre:
Mi hanno scaraventato in basso, mentre mi credevo il principe delle favole
Prima ragazza:
Peccato di presunzione
Padre:
Nessun peccato; tiravo a un po’ di grana e a far crescere i miei affari
Primo ragazzo:
Sballati, come si vede
Terzo ragazzo:
Alto là, ti ho riconosciuto, ricordo, ho letto sul giornale. Con te non si parla, sei morto.
Padre:
Dici bene, anche se è difficile morire. Quando si vuole, quando si cerca non si muore. Non puoi capirlo tu. Morire è difficile; alle volte è impossibile.
Prima ragazza:
Vuoi dire che ripescano sempre chi si butta a fiume?
Padre:
Forse; ma io parlo per me. Mica sono un filosofo
VIII. Entrano i tre Inquirenti.
Primo inquirente (ai Ragazzi):
Ora ci raccontate la vostra storia. Prima che perdiamo la pazienza. Soli non eravate, anche se abbiamo pigliato voi soli. Non ve la cavate con poco
(I cinque Giovani si siedono)
Primo ragazzo:
Eravamo in gita, si passava per caso nella piazza
Prima ragazza:
Noi contiamo sull’intelligenza dei tutori dell’ordine per chiarire in fretta questo contrattempo che ci ha rovinato lo spasso
Secondo ragazzo:
Ci avete guardato in faccia?
Seconda ragazza:
Per mio conto ero in viaggio di nozze
Secondo inquirente:
E il marito è fra questi avanzi di galera?
Seconda ragazza:
Sarà fuori a cercarmi
Primo ragazzo:
Col cuore distrutto
Terzo ragazzo:
E con quel che segue all’asciutto, signora guardia
Prima ragazza:
Un poco di pietà
Secondo ragazzo:
Dove sono finite le buone maniere?
Terzo inquirente:
Ecco le buone maniere:
tre dei nostri all’ospedale, otto vetrine rotte,
un bel mucchio di macchine danneggiate
alcuni vilipendi di istituzioni, apologia di un reato,
istigazione a delinquere (è grave), sediziosissime grida
occupazione di suolo pubblico
offese a capi di talune nazioni.
Contateli sulle dita i vostri reati e ditemi se c’è da ridere.
Primo ragazzo:
Ce lo dica lei che è più dotto
Secondo ragazzo:
O più rotto… (Borbotta. Vola uno schiaffo, non forte)
Padre:
Ehi, si comincia?
Secondo inquirente:
Se fossi in lei, vecchio matto, starei buono a sedere
Terzo inquirente:
Vedete, pare a me, se del caso, che non avete capito. Un tubo avete capito. Siete in un guaio e vi possiamo strizzare come vogliamo. Cadete come noci se vi sfrugugliamo fra le foglie col bastone.
Primo ragazzo:
Eh, per cadere si può cadere
(con permesso)
magari come noci.
E come tali ci potete schiacciare, abbacchiare.
Poi?
Primo inquirente:
Poi il caso è archiviato. Non siete i salvatori del mondo ma cinque fregnoni (o cinquanta) con la voglia di far casino. Il carnevale è finito.
Secondo ragazzo:
E chi dicesse che è appena cominciato? Non parlo per noi, beninteso.
Secondo inquirente:
E fate bene, perché c’è sempre un modo per togliere la voglia di ridere a tutti.
Terzo inquirente:
In quanto al carnevale, se ricordate, viene prima di quaresima. È allora che si legano le campane. Pensate ai fatti vostri mentre fate un bel sonno. Ci vediamo domani. (Escono)
Padre:
Non avete paura, voi. Così giovani!
Primo ragazzo:
Era magari in un conto.
Altre cose ancora sono in questo conto
e poi sberle pugni botte
o colpi di fucile. Si davano, si danno e certo si daranno.
Secondo ragazzo:
Oggi come ieri,
che differenza c’è?
Contro un muro si vede sempre qualcuno
Prima ragazza:
Eppure oggi non è più come ieri.
Terzo ragazzo:
Anche se gli altri (quelli)
fucilano in piazza
ai bordi del campo
come nei vecchi tempi.
Dicono che ai vecchi tempi questo accadeva
idem capita oggi, nemmeno le facce son diverse
Primo ragazzo:
Si dice che nei nuovi tempi
accade ancora. Se gridi
Seconda ragazza:
Tac! sulla testa, su un collo o in fondo al rene
Primo Ragazzo:
Se gridi stangano, non lasciano neppure il segno
Prima ragazza:
Il signore vuol riposare
Secondo ragazzo:
La violenza è la rosa del sistema, un modo un poco sconcio però odoroso di esercitare il potere. La forza sulla bocca del fucile. Se offendi o premi loro ti sparano in due, in tre; e se spari anche tu, il tuo cannone o canna di moschetto è sempre più vecchio logoro più malandato o derelitto del loro Winchester nuovo a retrocarica. L’arco di quei pallini ammazza altro che anatre in volo.
Seconda ragazza:
Io invece di sparare mi metto a non comprare. Non compro più,
[ non compro affatto.
Finora tutti ci caschiamo
come merli
ad acquistare anche solo i caschetti da minatori
bianchi neri o i manifesti con frasi
e il foulard rosso al collo.
Sembra una rivoluzione in eleganza
Arden for Men e Lenin.
È troppo o troppo poco.
Certo se fosse solo così…
Primo ragazzo:
Il fatto è che fino a ieri
(ieri lunedì o martedì; un giorno
del mese di un anno)
le rivoluzioni nuove erano fatte da
uomini vecchi. Tutte, sempre così. Erano vecchi
gli uomini che facevano le nuove
rivoluzioni;
vecchi anche nella testa
in ossa sballate
nel fegato in disuso
nel mal della pietra; ma soprattutto
vecchi di dentro, vecchi come il mondo.
Allora le rivoluzioni nuove finivano per essere
diventare vecchie
mangiarsi la coda cadere in disuso
seminando zizzania terrore
– si smorzavano poi per stanchezza.
Un bel momento
non c’erano più rivoluzioni
ma soli, sugli scranni e sugli schermi,
in pompamagna
i vecchi uomini che declamavano brontolavano dei tempi nuovi che cominciavano. Ed erano tempi finiti.
Secondo ragazzo:
Declamavano brontolavano
le lodi delle rivoluzioni nuove
Prima ragazza:
Che erano già rivoluzioni vecchie
Primo ragazzo:
Ma adesso (casco o non casco sulla testa)
l’antropologia ha sostituito final-
mente l’economia; la scienza del-
l’uomo ha sconfitto la scienza del denaro.
Non più: io do e tu dai
ma: io sono e tu sei. L’uomo prima di cambiare il mondo cambia
[ se stesso.
È un fatto che cambiando se stesso
ha già cambiato il mondo.
Secondo ragazzo:
Con le rivoluzioni nuove fatte
da uomini vecchi la lotta per il potere politico
sostituiva (soltanto) la lotta per il potere economico
Terzo ragazzo:
Stalin come Valletta
Primo ragazzo:
Adesso semplicemente
– è questa la semplicità che costa –
rivoluzioni nuove saranno fatte e
compiute
da uomini nuovi.
Non più ressa sui pioli delle scale
Secondo ragazzo:
Ricordate? “Abbiamo rovesciato lo zar
facilmente, in qualche ora.
Abbiamo abbattuto i grandi proprietari
fondiari e i capitalisti in qualche
settimana. Ma questa è solo la metà del lavoro.
Bisogna imparare a lavorare
in modo nuovo”.
Terzo ragazzo:
E l’aggiunta? “Questo problema è
estremamente difficile. Non lo si può
risolvere con la sola violenza”.
Primo ragazzo:
Leggere de Sade, il duca di Blangis, il
vescovo di X, il famoso Durcet o
il presidente de Curval.
Padre:
Chi sono costoro, perdonate l’ignoranza?
Primo ragazzo:
Mangiavano sterco
Padre:
Bene per loro, ma a chi comandavano?
Primo ragazzo:
Al mondo
Padre:
Diobono! queste son novità. E io che mi sforzavo tanto coi miei talleri in tasca
I Ragazzi:
Non più piramidi costruite dai servi
un mattone sopra l’altro mattone
perché in cima
si sieda un sultano;
ma (prima constatazione) pietra vicino a pietra
perché ciascuno trovi posto a sedere.
Al diavolo l’architettura.
Padre:
Ma che lingua parlate?
Primo ragazzo:
Parliamo così. Non è più
dialetto né è la lingua di Siena,
il pane è pane e un bastone è un bastone.
IX. Entrano i tre Inquirenti.
Primo inquirente (ai Ragazzi):
Gli ospiti hanno riposato?
Seconda ragazza:
Né bene né male
Primo inquirente:
È quanto basta. Ora fuori i nomi
Primo ragazzo:
Se proprio volete i nomi, i nomi sono pronti
I cinque Ragazzi:
Turcios Lima
Camilo Torres
Fabricio Ojeda
Lobatón
Luis de la Puente Uceda
César Móntez
Yon Sosa
Fabio Vasques
Douglas Bravo
Marulanda
Américo Martín
Secondo inquirente:
Che razza di nomi! Come ci sono entrati?
Secondo ragazzo:
Di straforo, per via indiretta, saltando frontiere. Poiché dobbiamo dirlo: sono clandestini.
Prima ragazza:
Sconfiggono l’arroganza
Seconda ragazza:
Va Camilo per la geografia e il tempo d’America
Secondo inquirente (quasi gridando):
Fra alcuni anni quando sarete cresciuti, con più cervello in corpo e senza queste scalmane…
Secondo ragazzo:
Fra trent’anni, quando i cani avranno mangiato i cani
Terzo ragazzo:
Si può pensare che la palla del mondo non sarà più questo casino che è, una maschera di tristezza raddrizzata a calci e tenuta in vita coi cosmetici perché i potenti non vogliono malinconie
Seconda ragazza:
Il volo delle mosche eccetera e i vecchi libri
Primo inquirente:
Badate non fate che la nostra pazienza
Primo ragazzo:
La vostra pazienza! Il giorno della morte e quello della puzza più [ viva.
Capelli grigi e nicotina sul dito.
Principio di ogni malattia
e di ogni calamità naturale.
Prima ragazza:
Meglio dimenticarvi
(I tre Inquirenti si estraniano, respinti dall’azione).
Secondo ragazzo:
Ascoltate.
Era il tempo in cui Lenin scriveva su come
andavano affissi i giornali.
I giornali non bastavano. Bisognava
dunque affiggerli ai muri perché potessero essere letti.
Ma colla equivaleva a farina
e anche quella mancava.
Adesso si affiggono i giornali la farina non manca
non è più il tempo di contare le pecore
le cucchiaiate di riso,
c’è abbondanza di tutto e la Cina è lontana
(per fare la rivoluzione
occorre un partito rivoluzionario)
oggi cantano i falchi tacciono le colombe,
lungo la riva del Mekong lungo queste rive
sull’acqua – american way of life –
si svolgono i safari abbastanza cruenti
c’è perfino l’arma che provoca la dissenteria
dynamic dysentery device
oggi c’è tutto quello che serve all’orecchio dell’uomo
c’è questo e quello e molto altro ancora da raccontare:
la superbia di uno, la morte di un altro, la pistola
che spara.
O semplicemente la notizia sul giornale.
Primo ragazzo:
Ritrovarsi scalzare precipitare decidere offrirsi e consumarsi; [ certo.
Ma c’è anche qualche rombo, un colpo di fucile
che si prepara
i topi che girano sulle medaglie
le loro eccellenze in copula
i piccoli sabati santi, le domeniche che non finiscono mai
[ l’insopportabilità della vita familiare
un prossimo divorzio
l’omicidio, il temporale che viene
(con tutti i sintomi della catastrofe).
Prima ragazza:
Sabotare i tralicci
disubbidire sconfiggere non consumare
Seconda ragazza:
Non addormentarsi
sul permaflex della cattiva coscienza.
Padre:
Belle parole, belle. Belle queste parole. Ma anch’io, prima,
ho fatto un sogno. Lo volete ascoltare?
Se vi parlo, ascoltate?
Ho voglia di raccontare questo sogno.
Posso? Avete gli occhi furbi, voi.
Eccolo, c’era un muro un grande muro
un alto muro
alla fine di una piazza.
La piazza deserta.
Un cielo, era di primavera.
Forse c’è un leggero vento
e contro quel muro son io
spiaccicato incollato
con le braccia aperte i piedi sollevati da
terra. Forse sono morto o forse no perché
guardo guardo guardo la piazza senza
uomini – eppure così conciato
sono allegro, felice, molto contento dentro
quella piazza e dentro me; rido sto ridendo
e non mi posso scollare
era un incubo o un sogno?
Quella tale felicità e quel timore certo
uniti insieme:
davano un brivido.
Secondo ragazzo:
Eri tu l’incastrato che
non si può muovere da qui
ma forse non sei scontento d’esserci finito
al sicuro dal mondo.
Fuori qualcuno t’avrebbe magari bussato.
Padre:
Non è così semplice.
Voi parlate bene, vi ho ascoltato.
Avete grinta nel corpo, che è come dire
avete birra. Mi potete incastrare.
Ma sono vecchio
e non sapete ancora cosa vuole dire.
Con poche parole
vuol dire che sono più forte di voi
in tutti i sensi, che
– anche se costruivo trattori che poi imballavano –
conosco più cose del mondo, tale e quale
parlassi mille lingue e non solo il dialetto
che mi ha insegnato mia madre.
Oppure così vecchio non ho nulla da insegnarvi?
Terzo ragazzo:
Tutti dobbiamo morire un giorno
ma non tutte
le morti hanno un uguale valore.
Un antico scrittore dice: “Certo
tutti gli uomini muoiono ma la
morte di uno pesa più del monte Tai
la morte di un altro è leggera più di una piuma”.
Seconda ragazza:
Su questa storia di morte e piuma
si può iniziare una discussione.
Primo ragazzo:
Bene, se proprio vuoi, la scena c’è. Cinque discepoli,
la prigione e il vecchio che si lagna.
È Socrate redivivo, potenza delle pietre!
basta una gabbia e un po’ di luce scura
per mettere in moto la storia. Se tu parli, maestro,
siamo tutti orecchi.
Padre:
Ahi! Forse sono passati i mesi e gli anni
semplicemente come mesi e anni, con
un giornale comprato, un telegramma, una
candela accesa e un bacio sulla guancia (di qualcuno).
Magari uno scaldino sui
ginocchi, in questo paese di cuccagna.
Secoli sono magari passati
si rimbalza da mille a duemila
allora quel giornale si rivolta sulla sedia
ascolti suonare le ore e ti
ritrovi in galera fra cinque
mammalucchi che insultano
– anzi, più che insultare, ti mortificano.
Non dico che non abbiano ragione, un poco. Ma
questo è un altro mondo che neppure
prevedevo. Si muovono cento cose intorno
mentre ognuno bada al suo cadreghino.
Che tempo resta per giudicare? Oppure per imparare?
Fuori c’è quel mondo che gira;
ebbene con quale diritto si muove, fa i
suoi affari, tira le somme? io non
ci sono, e tanta altra gente ancora.
Dove sono gli esclusi?
Ma voi, belli cari, con quelle vocine
che diventano anche vocione
non fate mai sbagli?
Non vi prude di prendere qualche castagna
tale e quale i vecchi, come io sono?
Avete una bella faccia!
Primo ragazzo:
Abbiamo commesso anche noi degli errori confessiamo tutto
siamo stati cedevoli, siamo stati adattabili
non siamo stati radicali.
Abbiamo richiesto l’immatricolazione
abbiamo letto le disposizioni per l’immatricolazione
e ci siamo piegati a quelle disposizioni.
Abbiamo compilato dei formulari
ed è stata una bella pretesa.
Siamo stati ammessi, abbiamo indossato
il nostro vestito migliore e ci siamo recati
alla festa di immatricolazione così…
(mimano per un momento)
Non siamo scoppiati in una risata irrefrenabile
quando abbiamo visto i nostri professori
abbigliati di lunghi talari.
Abbiamo ascoltato il discorso del rettore.
Abbiamo lavorato su un autore francese del XIX secolo
che a sua volta aveva lavorato
su un autore romano del II secolo.
Abbiamo avuto troppo rispetto per le conoscenze
dei nostri professori e troppo poca curiosità
per le loro opinioni.
Non vogliamo farlo mai più.
Quando seguivamo le lezioni del nostro
professore non gli guardavamo le mani,
quando sostenevamo gli esami non lo
guardavamo in volto, quando eravamo
nel pisciatoio accanto a lui non gli
guardavamo l’uccello.
La prossima volta lo faremo.
E contro il comportamento democratico
che serve a impedire il sorgere della democrazia,
contro la tranquillità e l’ordine che concede
pace agli oppressori, contro la razionalità ipocrita
e la prudente povertà di sentimenti, contro tutto
questo vecchiume argomentiamo nel
modo più concreto cessando di argomentare
e mettendoci a sedere su questo pavimento.
Questo vogliamo fare ora.
Padre:
Io vi parlo di morte (di una certa morte) voi di democrazia
cioè di quella tale democrazia
che avete nella crapa
– che è poi rivoluzione delle cose.
Io sono vecchio e muoio
voi giovani e vivete.
Purtroppo, lo so, non posso lasciarvi un
pezzetto di mondo. Il mondo mio
non c’è. Ma come posso, io che me ne vado,
prendere il vostro?
Le due fette non si possono scambiare, da buoni amici e senza fregature. Mi sa tanto – e si fa
per dire – che nel mio cartoccio annusate
puzza di pesce marcio.
X. I tre Inquirenti, che erano rimasti fermi e assenti, si scrollano.
Primo inquirente:
Ma quale mondo? Il mondo vero di gente perbene e che conta, tranquilla, pulita, che lavora, ossequiente e un poco felice, con qualcosa al sole dopo
tanto daffare,
questo mondo non vi vuole proprio
vi torce il collo per questo. Quante malinconie!
Essendo egli più forte siete incastrati.
La mancanza di sole vi schiarirà le idee
con voi non ci vuole fretta. Niente clorofilla.
Primo ragazzo:
Sì, tutte le feste al tempio
Seconda ragazza:
La fretta è la nemica del bene
Prima ragazza:
La pazienza invece, come dicono, conduce a cose egregie
Terzo ragazzo:
La distruzione dell’imperialismo come sistema
Secondo ragazzo:
La distruzione del capitalismo come sistema
Prima ragazza:
Chi non si sente legato alzi la mano
Primo ragazzo:
Chi non si sente contraddetto
e violentato, ferito, colpito
a morte dalla vergogna di queste cose
e di questi anni alzi la mano.
Aiutateci a contarci.
Terzo ragazzo:
Non c’è una speranza (una sola) che resista
al di là di un giorno
e di un’ora soltanto
– dove non c’è verità non c’è speranza.
Da questa libertà di merda
nascono bisce.
Secondo ragazzo:
Quando il leone ruggirà tutto un continente ruggirà,
sarà più triste dell’usignolo
quel canto e meno fantasioso.
Adesso che gli aggrediti
diventano aggressori.
Padre:
Ai miei tempi
Primo ragazzo:
Ai tuoi tempi e al tempo degli altri tempi
nu viecchio imperatore
a morte condannava
chi faceva a’ mmore.
Terzo ragazzo:
Questi sono i ricordi dei tempi;
non servono a te, né a me né a lui
Seconda ragazza:
Ti puoi cavare di qui, se ti cavi,
solo a forza di unghie,
autentica lacerazione
Secondo ragazzo:
E se hai ancora qualche carta in mano.
Sono i tuoi amici a incastrarti – l’hai detto.
Come credi di riuscire?
Conoscono il tuo gioco
ti chiudono a chiave.
Prima ragazza:
Questo è il tuo letto, questa è la coperta arriva la cicuta;
finis del tale.
Primo ragazzo:
Oh, se proprio si vuole uscire si esce;
c’è tanto da fare, che dobbiamo fare.
Secondo inquirente:
Pensate proprio che vi lasceremo fare?
tenderemo una rete
ci cadranno i giovani tonni
comincerà la mattanza.
Tanti sono i modi per ridurre
alla ragione.
Anche i regali di natale!
Il fatto è che non avete educazione.
Ci mancavate anche voi.
Primo ragazzo:
Ma anche questo sopportare il vostro fare
è il nostro fare.
Secondo ragazzo:
Noi facciamo che voi facciate
Terzo Ragazzo:
Anche ingrandire le nostre colpe, con orgasmo, è un vostro fare
Prima ragazza:
E il tale che spulcia nel codice
magari una noterella per incastrarci
e l’adatta all’orecchio all’occhio
o al dito come un anello e sorride
fresco franco credendosi dritto (vestito in fumo di
Londra) fa perché
noi lo spingiamo a fare. Gli togliamo
la voglia di non fare. Talvolta
s’agita infuriato
sbava
si rizza
proprio come un impiccato.
Seconda ragazza:
Anche questo è il nostro fare
Primo ragazzo:
Vedete, spingendovi a fare, togliendovi
dalla noia, vi grattiamo un poco per volta
vi togliamo le croste
vi scartocciamo
Terzo ragazzo:
Vi riduciamo tali e quali siete
Prima ragazza:
Non avete più i sonni tranquilli
Secondo ragazzo:
Quando correte ansimate, attenti alla pressione
Seconda ragazza:
Il vostro fare non è il nostro fare
è un fare contrario
opposto
antagonista
Primo ragazzo (al Padre):
Dunque ai tuoi tempi
Padre:
Erano altri tempi, come dicevo
e non sapevo che ci fossero questi tempi.
In verità, non conoscevo voi. Vi sbircio
con una certa angustia a cui si aggiunge il timore
della mia condizione
– che sarebbe più pesante almeno per le mie spalle
se fossi solo a respirare qui dentro.
Ma voi avete spilli che sgonfiano il mio pallone.
Che discorsi alla vostra età! Non
parlate mai di donne?
Prima ragazza:
Ma siamo donne
Padre:
Non a voi: a quelli
Primo ragazzo:
Essendo uomini
questo ci piace. A tempo e luogo quando
l’arnese tira. Ma non è il sole a
muoversi, illustrissimo,
intorno alla terra;
non c’è più un centro dell’universo
l’epoca delle stelle fisse
e degli uomini grandi
è tramontata da un pezzo
Padre:
Di stelle fisse non so
ma di uomini grandi me ne intendo,
vi dico che sono una fregatura.
Che voi non ci crediate
è un gran successo.
Secondo inquirente:
Pare questa una conversazione in piazza;
notate la nostra liberalità,
vi dedichiamo del tempo.
Ma mi sa che la chiacchierata finisce
– deve finire.
Primo inquirente:
E decidiamo, poiché possiamo decidere,
mettendo la mano nel cappello, così, tac!
che il tale Vasi spremuto come un limone
e reso innocuo avendo vuotato il sacco
può intanto andarsene e non riposare e
mangiare a sbafo a spese di tutto un popolo;
il quale vuole altri benefici.
Per vie e sentieri, senza più la moneta,
il tale Vasi è come un cane bagnato
– con le sue fisime può andare a morire in qualche luogo.
Non è più un problema. Marsch!
Primo ragazzo:
Niente cicuta a questo grande uomo?
Secondo inquirente:
Niente di niente. Gli renderemo l’orologio.
Ma decidiamo che a voi
sulla vostra pelle
occorre dare qualche pizzicotto.
Graduare l’impegno
senza precipitazione.
Abbiamo molto tempo davanti.
Primo ragazzo:
Sì, certo, il tempo è davanti e didietro.
Ma tu, intanto, quando esci, se hai voglia,
porta un gallo a Esculapio.
Padre:
Che?
Secondo ragazzo:
Mangia un pollo allo spiedo, in qualche tavola calda, alla nostra faccia.
(Padre e Inquirenti escono).
XI. I cinque Ragazzi fra loro.
Terzo ragazzo:
Per noi continua la buona educazione
Primo ragazzo:
con tante grazie a questo e a quello
e figli maschi alla coppie ancora sterili.
Per il gusto di allevare un figlio
come un pollo si può
fare qualche sacrificio
Prima ragazza:
intanto ronzano le sfere
Seconda ragazza:
e suonano (o risuonano) gli spazi
Secondo ragazzo:
evviva a questo tempo di ricercatori
come si legge sui giornali
Terzo ragazzo:
possiamo dormire un sonno tranquillo
aspettando la giustizia che sicuramente
ci sarà data equa e tempestiva
Primo ragazzo:
mentre, durante l’intervallo, in un luogo
aprono il supermercato dell’avvenire
che intenerisce il ciglio al gentilissimo cronista
e in altro luogo appena più vicino
fabbricano le armi Nbc
che inventano le nuove malattie.
Bisogna pur difendersi
Prima ragazza:
Un due tre
Secondo ragazzo:
così passa la gloria del mondo
Seconda ragazza:
un due tre
Terzo ragazzo:
d’altra parte il mondo
Prima ragazza:
un due tre
Primo ragazzo:
il mondo non vuole proprio finire.
Com’è giusto.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: testi teatrali
- Editore: Pendragon
- Anno di pubblicazione: 2005
- link_esterno: http://www.pendragon.it/libro.do?id=1314