Radioracconto di "Ai tempi di Re Gioacchino"

In onda martedì 10/11/1953

Il Programma

Blocco TERZA PAGINA

h. 16.00 – 17.00

 

UN LIBRO PER VOI

“Ai tempi di Re Gioacchino”

di

 Roberto Roversi

Ed. Palmaverde, Bologna

1953 – L. 540

 

I VOCE – “Quanti anni per radunare le pecore, quanti mattoni per questa casa, quanta pena per vivere, e i briganti caleranno e tutto sarà finito. Sappiamo forse perché? Che cosa vogliono, che cercano? La nostra guerra è qua, tra questa miseria e questa morte”.

 

2 VOCE – Piuttosto procellosi sono i “tempi” di re Gioacchino, Gioacchino Murat. Grazie a Napoleone ha defenestrato re Ferdinando dal regno di Napoli; ma a nulla vale il nerbo di soldati francesi che si tira appresso, a nulla il suo fascino di maresciallo di Francia, onusto di gloria, smagliante di seta, galloni, nappe, sferragliante d’armi e decorazioni.

 

I VOCE – I briganti imperversano dalla Campania all’estrema punta della Calabria, fitti come gli alberi di quei boschi. Dietro ogni tronco è un cappello a pan di zucchero e un trombone e la voce tuona: “Alto là!” sono ostinati, duri a morire, crudeli come uno stormo di cavallette affamate.

 

2 VOCE – “Oggi c’è stata battaglia; dura, come da mesi non si combatteva. Dei nostri, trenta sono distesi lungo il fosso di Montefalcone, morti di moschetto; dieci, forse, pendono dai rami scarsi della discesa. Ma non ci siamo ancora contati”.

 

I VOCE – Seguiamo le gesta dei briganti sul taccuino d’uno di loro (Vincenzo Matese, se ci interessa il nome, “brigante al servizio dei Borboni”, come si qualifica lui stesso) e, com’è ovvio, vi sono registrati i suoi fatti d’arme, le sue grassazioni, le sue vittime; finché la vittima è lui, e il taccuino si conclude.

 

2 VOCE – Uno rozzo è il nostro brigante, ma non resta insensibile alle grazie delle donne. Il taccuino si apre con una pagina d’amore, amore più del sangue che del cuore, come può allignare in un uomo costretto ad una vita di bestia randagia. L’unica pagina ilare, piena di luce del libro, poiché le altre saranno sempre più amare e buie.

 

I VOCE – Spesso i briganti fanno lega con le popolazioni; usciti dalla bottega del magnano, del falegname, del maniscalco, vi ritornano alla chetichella per tendere l’insidia al francese, aiutati dai compaesani, comprese le donne e i bambini, come in una sorta di guerra santa.

 

2 VOCE – “Ecco apparire nella polvere, sullo stradone picchiato dal sole, gran turba di popolo, col sindaco alla testa, cinto della fascia municipale: allegramente inneggiando ai francesi… Il sindaco alzando le braccia nel saluto e con lieta cera gridò: – Buoni francesi, salute! A voi con allegrezza il popolo di Parenti offre il suo cuore e le sue case, lieto se vorrete approfittarne”.

 

I VOCE – “I soldati, sorridendo, lieti dell’accoglienza non aspettata, guardano gli ufficiali. Costoro, dopo breve consulto, rivolti al sindaco, per bocca d’uno di loro risposero:  – Fino al tramonto sia accolta la ospitalità del paese, gradita quanto inattesa; sicché ci pare, per poco, di ritornare fra amici, nella nostra terra”.

 

2 VOCE – “Giunti nella piazza, circondati da uomini, donne e bambini, i soldati – alleggeriti dell’armi e del carico, condotti, quasi trascinati qua e là nelle case, accolti con sereni occhi a tavole imbandite, costretti a bere e a mangiare – presto furono ebbri e satolli”.

 

I VOCE – “Crescevano le risa, le allegre parole; e già era scesa la sera. Allora avvenne la strage”.

 

2 VOCE – Un’altra volta sono catturati venti francesi. Trascinati davanti al Parafante, il capobrigante, “parevano inebetiti. Immobili, stracciati nelle vesti e le braccia rilassate: giovani tutti; gli ufficiali non si distinguevano dai soldati”.

 

I VOCE – “Così parlò il Parafante: – Della vostra sorte assai mi pesa, o soldati… Pure, considerando che guerreggiate non per volontà vostra, ma per la legge inesorabile della coscrizione, io mi sentirei piegato a misericordia. Ma ad ottenerla, è necessario mi diate una prova di ravvedimento, ed è che mettiate a morte queste due carogne di ufficiali”.

 

2 VOCE – Sono gli ufficiali stessi a convincere i propri soldati che non c’è altro scampo, se vogliono salva la vita.

 

I VOCE – “Prese le armi con i loro corpi contati e appostatili contro un masso, furono ben presto morti. Ancora non s’erano voltati i soldati, che a un cenno del capo la banda si gettò sui rimasti e li uccisero…

 

2 VOCE – Ma la vita nei campi, nei vigneti, nei borghi, non si ferma. Gli uomini badano alle loro coltivazioni, le donne mettono al mondo figliuoli…

 

I VOCE – E intanto, ruotano le stagioni. “Una sera cadde la prima neve. L’aria diventò più soffice, il bosco ammutolì e parve assopirsi in un’inedia soave”.

 

2 VOCE – “Marzo sfioriva e pendeva dal cielo come una foglia d’autunno… Poi, un giorno, apparve la primavera. Fu un trillo più dolce d’uccello, o un soffio, più caldo di vento? O soltanto un tenero barbaglìo dell’erba?”.

 

I VOCE – Con l’ardore dei briganti si affievolisce, come si dirada il fumo dei colpi di trombone, viene dalla Sicilia il principe di Canosa, inviato speciale del re Ferdinando. Porta quattrini, altri nel promette. E la guerriglia continua, tenace, disperata. Fossacieca, Monteleone, Stilo: i nomi dei borghi insanguinati si allineano come pietre militari; e si succedono i fattacci. Qualche volta i briganti esagerano, e la povera gente dei borghi, alleata involontaria dei francesi, si fa giustizia da sé.

 

2 VOCE – “Sbucarono sulla radura, e tre uomini legati erano nel mezzo. La gente, immobile, aspettava col pugno chiuso; quelli scendevano, sempre ingrandendo, fra i sassi e il nevischio, nel grigiore del mattino invernale… Si udiva già il rumore dei passi, si scorgeva il fiato che si disperdeva in una nebbia sottile, uscendo dalle gole affaticate…”.

 

I VOCE – “…un sasso colpì uno al petto e costui vacillò; colpito di nuovo al capo cadde in ginocchio: dalla ferita usciva il sangue cupo… I sassi si infittivano, tutti scagliavano con odio ferocemente”.

 

2 VOCE – “Quando scese la sera, accompagnata dal lamento dei primi lupi sulla montagna, accanto al cimitero s’alzava il tumulo di sassi. Alto e bianco, copriva tre uomini… la gente ancora guardava e non sapeva staccarsi”.

 

I VOCE – È una prosa lineare, senza fronzoli, senza arzigogoli: come può essere quella d’un uomo che ha poca confidenza con le lettere; quasi staccata, tenuta fuori dal racconto che è così torbido e inumano.

 

2 VOCE – una semplice elencazione di gesta: e per essere nuda e cruda si risolve in una maggiore incisività, e ne scaturisce un effetto maggiore.

 

I VOCE – Cadono i briganti. Il Bozzaro è ucciso, il Taccone e il Quagliarella impiccati. Dietro le spalle dell’uomo rozzo che scrive, che inconsciamente lega ai fatti che narra le sue emozioni, è viva la presenza dell’autore del libro, viva la sua pena. E anche il brigante finisce per apparire, al di fuori di suoi atti mostruosi, in una luce più veritiera, coi suoi sentimenti, le sue necessità, le sue amarezze.

 

2 VOCE – I francesi finiscono di dominare, e non vi è respiro per i briganti. Re Gioacchino, a costo di lacerare la sua divisa nuova di zecca, viene di persona a vedere come vanno le cose nei boschi della Sila. Sotto la volta fronzuta degli alberi risuonano marziali le sue trombe.

 

I VOCE – I briganti via via s’allontanano dal mare, e salgono sempre più la Sila, staccandosi da ogni aiuto, da ogni approvvigionamento. Finiti i viveri, mangiano i cavalli. Seminano la strada di cadaveri. Svegliandosi si contano, e sono sempre di meno. Non accendono più i fuochi. Si riducono a manipolo sparuto. Insieme al Parafante, restano in cinque, in tre; è la fine.

 

2 VOCE – Vincenzo Matese, “brigante al servizio dei Borboni”, seguita a registrare diligentemente le tappe di quella via crucis: oculato, preciso, inappuntabile; come l’impiegato al catasto che fissa le cifre quotidiane del suo magro bilancio familiare.

 

I VOCE – “ Addio mare! Non ci resta che salire alle cime della Sila, coperta di neve… Uno di noi geme con un braccio spezzato”.

 

2 VOCE – Saliamo per la strada di questa montagna verso l’inferno; tra la nebbia, a volte, scorgiamo il mare. È ormai troppo lontano”.

 

I VOCE – “Udiamo rumori e spari che arrivano dalla valle. Mi cresce l’odio addosso: vorrei uccidere e soffro; il sangue mi calmerebbe”.

 

2 VOCE – “Sentiamo un rimbombo violento e le palle di moschetto fischiare sopra la nostra testa. Ci gettiamo a terra, al riparo di alcuni macigni e rispondiamo al fuoco”.

 

I VOCE – “Uno di noi, steso nel mezzo del viottolo, col viso tra i sassi, sussulta gorgogliando”.

 

2 VOCE – Scanditi, sussultanti, sono quei periodi che si succedono, l’un l’altro come i singhiozzi d’un pianto irrefrenabile.

 

I VOCE – Quella penna traballa sulla carta, o s’inceppa, o rifiuta di andare avanti. Si sente la mano stanca o presaga di quello sforzo inutile.

 

2 VOCE – Qui sono le pagine vive, più vibranti, più commosse, eppure le più scabre del libro. Non si tratta più d’un uomo che grassa, uddice, per obbedire a un istinto bestiale; ma è un disperato che lotta invano per la difesa della sua terra, della sua casa, della sua donna.

 

I VOCE – Grazie all’arte sottile dello scrittore, il lettore si rende partecipe fino alla commozione di quel dramma di cui sente avvicinarsi ineluttabile la fine.

 

2 VOCE – “Affiorano le divise dei soldati di re Gioacchino; altre salgono, altre ancora appaiono sull’opposto cucuzzolo. Ci hanno presi in un’imboscata; e così doveva finire”.

 

I VOCE – È l’ultimo grido d’orgoglio del condannato a morire, e insieme la constatazione amara dell’inanità dei suoi sforzi.

 

2 VOCE – “Non ci arrenderemo; ma il generale avrà vinto”.

 

I VOCE – E la fucilata che stende morto Vincenzo Matese coincide col punto fermo che chiude l’ultima pagina del taccuino.

Informazioni aggiuntive

  • Tipologia di testo: testi teatrali
  • Testata: Programma radiofonico "Un libro per voi"
  • Anno di pubblicazione: 1953
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