Il mio amico Roberto Roversi, un ricordo

Potrei cominciare proprio dagli occhi (come accennavo all’amico Gatta) come pretesto per ricordare la figura e lo spessore intellettivo – ma anche emozionale – di Roberto Roversi.

I suoi occhi profondi, acuti e vivi che disponevano ogni successiva sequenza del dialogo in corso, nel migliore dei modi e con la massima tranquillità.

Giacché di questo si trattava: con Roberto Roversi, ci si sentiva a proprio agio, come sul divano di casa e tra gli amici più cari e confidenziali.

Quando andavi via, riattraversando all’incontrario quel cunicolo, misterioso, grave e saporifero di libri che fungeva da corridoio che ti avrebbe portato fino al suo studio e che a partire dalla sua scrivania – nell’ultima stanzetta dell’appartamento di via dei Poeti – ti riaccompagnava verso l’uscita, verso la città, (sotto lo sguardo sorridente della signora Elena, inseparabile compagna) tu ti ritrovavi una Bologna con nuovi profili. Con altre sembianze. Il profumo, gli odori – anche – erano cambiati. E vedevi le stesse strade di poco prima come immerse in un silenzioso fuori campo.

Solo allora, si poteva mettere a fuoco l’idea di aver parlato con il poeta di «Officina» e che magari i tuoi versi, le tue “poesie” avrebbero potuto addirittura piacergli e che comunque ogni piccola parte dei discorsi intrapresi con Lui, sarebbero stati il tesoro da conservare per il più lungo tempo possibile…

 

Roberto Roversi nella metà degli anni ’70 (quando ebbi la fortuna e l’onore di conoscerlo) si occupava innanzitutto della sua mitica “Libreria Palmaverde”, in via dei Poeti e da lì, nel retaggio di una vita già passata alla difesa dei libri e della Cultura, si pre-occupava di gestire un manipolo di giovani poeti e collaboratori che avrebbero dedicato il proprio tempo alla stesura degli innumerevoli “fogli volanti” da distribuire poi nelle piazze e nei luoghi fisici della città: nelle facoltà, alle manifestazioni, nei reading di poesia. Ricordo «Lo spartivento» e «La tartana degli influssi», e anche «Dispacci», dove pubblicai le mie primissime poesie dedicate al “vecchio signore”…

Le prime volte, ai primissimi appuntamenti da Roversi, andavo con il caro Alfredo Colitto, oggi noto autore (bolognese d’adozione) di gialli, edito in tutt’Italia.

Abitavamo insieme - io e Alfredo – in un appartamento di via del Carro, e ci si divertiva a fare i poeti… Poi, Roberto scelse alcune delle mie “poesie” e da lì a qualche anno, lavorando e rielaborando, diedi alle stampe il mio primo e unico volumetto di poesie (Altri Fiancheggiamenti, Firenze, L’Autore Libri, 1990) con una sua presentazione.

Questo evento, inutile nasconderlo, sancì per me – contestualmente – l’esordio e il tramonto della mia vita di poeta “al pubblico”: cosa altro ancora o di più – mi dissi – avrei potuto sperare?!

 

So di essere egoista, nel ricordo, come spesso accade. Ma cos’altro potrei aggiungere al ritratto di un monumento della cultura italiana come Roberto Roversi se non quei cari profili di memoria che da sempre sorreggono un “presente” così offensivo, così vuoto e povero per quell’Italia sepolta sotto la neve… tanto cara al Poeta.

Come potrei non esserlo, quando il pensiero corre a quella sala convegni dove – se ben ricordo – avrebbe dovuto parlare qualche personalità della cultura di allora (Umberto Eco? Giorgio Bocca?) ed io, in attesa – seduto in disparte – vidi ad un tratto occupare la sedia posta alla mia sinistra (fino ad allora vuota, come del resto lo era anche quella alla mia destra) da un signore conosciuto solo qualche giorno prima, nella sua libreria in via de’ Poeti… Non volli svenire subito, quando riconobbi Roberto Roversi, che aveva scelto di venire a sedersi vicino a me, saltando a piè pari il fior fiore dell’intellighentia bolognese… Ma l’esaltazione, mia, totale fu quando poi Egli si avvicinò al mio fianco, bisbigliando qualcosa nel mio orecchio sinistro (fino ad allora vuoto, come del resto lo era anche quello destro!) dando così ad intendere all’intera platea là convenuta – curiosa e invidiosa – che tra noi ci fosse ben altro da dire, che un semplice saluto di convenienza.

 

Credo di aver raggiunto il soffitto di quella sala convegni a Bologna, quel pomeriggio, nell’inverno dell’83…

O forse, chissà… io sono ancora lì…

Caro Roberto.

 

17 settembre 2012

 

 

 

Informazioni aggiuntive

  • Autore: Gian Mario Fazzini
  • Tipologia di testo: testimonianza
  • Testata: Cantieri – Biblohaus
  • Anno di pubblicazione: n. 21-22, settembre-dicembre 2012
Letto 3028 volte Ultima modifica il Mercoledì, 19 Giugno 2013 09:56