Fino a un minuto fa, e in questi ultimi tempi soprattutto, cultura, riflessioni, affondi nel mare o nel fango della politica, previsioni angoscianti o ilari (talvolta enunciate anche volgarmente) erano affidate quasi in esclusiva a comici spesso non più di primo pelo e spesso abbondantemente datati. Celentano, da un momento all’altro, si è presentato ed è stato esibito con la concessione di largo spazio (seppure di controvoglia dai padroni del vapore) come il nuovo Marcuse; e Santoro, ed altri con lui, presentati e raffigurati ed esibiti con grande clamore di trombe come i reduci dal carcere duro dello Spielberg, e come novelli Silvio Pellico, smunti e affaticati, attesi alla stazione da una folla con bandiere che offriva a loro almeno, e intanto, un primo brodino caldo. Esagerazioni una dietro l’altra, capaci solo di frastornare impietosamente una società generosa ma flagellata impietosamente e continuamente da sferzate di conformismo, di grettezze volgari, di approssimazioni elargite in un tripudio di luci, di sberleffi a non finire e di scriteriati per qualche parte trionfalismi improvvisi e intempestivi. Con gestori della danza di scarsa vena e prestigio. A questo punto verrebbe di dire con un sospiro: non scherziamo più, almeno su certe cose imminenti e difficili (complesse, complicate); non deleghiamo più ai comici frastornati l’incarico ufficiale di muovere all’attacco di un avversario supremamente armato e che ha le unghie affilate. La nostra opposizione politica effettiva è sostenuta soltanto, in effetti, sull’acqua di un mare su cui travalicano onde-parole; e mentre gli altri che dovremo scontrare sono già all’attacco con i carri armati televisivi, noi (cioè questa parte che ha tutta intera la nostra attenzione) ancora non ci fa leggere un programma di governo chiaro, specifico, persuasivo senza genericità. Quali i primi atti concreti? In quale successione? Seguendo quali modalità? I fascicoletti fatti girare dall’Unione a sollievo dei cittadini sono acqua fresca, contenenti enunciazioni che avrei potuto e saputo stendere anch’io, cittadino disarmato inquieto e tempestato dalle normali drammatiche quotidiane difficoltà della vita. Non mi chiariscono neanche un dubbio, non danno un sollievo neanche minimo alle assillanti speranze. Restiamo imbambolati a rigirarci fra le mani le parole, come se fossero un filo che si può spezzare. Mentre le parole non possono essere e non devono essere un filo di cotone fragile e incolore ma dure devono essere, resistenti come se fossero acciai, e a manipolarle devono ferire a sangue le mani, e fare anche lacrimare gli occhi. Ma chi c’è, lassù in alto, che dovendoci parlare, usa le parole sferzandole come cavalli in corsa e spellandosi le mani? Così noi restiamo quaggiù, in un’attesa inerte, faticosa.
Le parole, quelle che scalpellano schizzando le cose i fatti e i sentimenti, le parole vere, sono una consolazione MA nessun politico, da nessuna parte, le usa più, le dà, le dona. I politici, in genere, strapazzano le parole, le irridono, le mettono sul fuoco (o sul piatto) come salsicce, da trangugiare con una bulimia irrefrenabile. Le parole friggono nella bocca prima di alzarsi nei pensieri già ridotte a pura corteccia. E così i pensieri troppe volte ci arrivano, a noi cittadini bastardi, viscidi, polverosi, freddi e inascoltabili. Anche perché, in tanti, non abbiamo più molta voglia di ridere.
Fra poco l’Italia sarà un unico tappeto di cemento (con buche). Cementificata fino all’ombelico. E gli italiani, scaraventati impietosamente fuori dalle fabbriche, dovranno come sorte primaria a diventare tutti camerieri, nell’esaltazione del cibo dei vini. Dopo i pomodori neanche più le barbabietole vogliono produrre più qua da noi i padroni (che sono poi le grandi multinazionali occulte o semi-occulte). Scancellano le fabbriche come segni con gessetti di gesso sulle lavagne.
In questa Italia abbastanza, in questo momento, squinternata, a reggerla forte sulle spalle, perché pure traballi ma non cada, c’è alta e sovrana la sua COSTITUZIONE. Scritta con parole di sangue in un momento stravolgente esaltante irripetibile (forse) della propria storia. L’aggrediscono in modo forsennato con le unghie ma essa, COSTITUZIONE, è di marmo. Per ricordare cos’è «L’Unità» di 25 novembre ha avuto bisogno dell’indicazione di un lettore di Modena. Rimandava a Don Sturzo. Chi era si saranno chiesti tanti e tanti lettori, soprattutto giovani. Qua, con emozione, vorrei trascrivere le parole, ad essa riferite, di due grandi padri di questa COSTITUZIONE, che ci onora fra i popoli, Piero Calamandrei e Giuseppe Dossetti (ho qua le pagine sotto gi occhi; altri, è naturale, ce ne sarebbero).
Calamandrei: “…La Costituzione italiana potrà riprendere la sua strada verso una democrazia sempre più piena e diventare una realtà politica, se le nuove generazioni sentiranno il dovere di andare in pellegrinaggio con il loro pensiero riconoscente in tutti i luoghi di lotta e di dolore dove i fratelli sono caduti per restituire a tutti i cittadini italiani dignità e libertà. Nelle montagne della guerra partigiana, nelle carceri dove furono torturati, nei campi di concentramento dove furono impiccati, nei deserti o nelle steppe dove caddero combattendo, ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, ivi è nata la nostra Costituzione. Se essa può apparire alla decrepite classe politica che lotta vanamente per salvare i suoi privilegi come una inutile carta che si può impunemente stracciare, essa può diventare per le nuove generazioni, che saranno il ceto dirigente di domani, il testamento spirituale di centomila morti, che indicano ai vivi i doveri dell’avvenire…”. E dallo straordinario opuscolo di 57 pagine, di Don Giuseppe Dossetti, pubblicato nel 1994 con il titolo: Sentinella, quanto resta della notte?. Trascrivo dalla “Lettera al sindaco di Bologna” con la data: Bazzano (ospedale) 15 aprile 1994. Pur nel costante desiderio di completa e unanime pacificazione nazionale, che ha sempre ispirato tutta la mia vita e che tuttora fermamente m’ispira, tuttavia non posso non rilevare che attualmente ai propositi delle destre (destre palesi e occulte) non concernano soltanto il programma del futuro governo, ma mirerebbero a una modificazione frettolosa e in consulta da parte fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili… Auspico ancora alla sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione. Si tratta cioè di impedire a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la nostra costituzione: si arriverebbe un compito che solo una nuova assemblea costituente, programmaticamente eletta per questo, a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato. Non parole ma massi, non parole ma tronchi di fuoco. Verrà il mattino.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: articoli su fogli volanti
- Anno di pubblicazione: inedito