La devastazione di Montecalvo
Premessa
Montecalvo era (ed è) un cucuzzolo nudo e crudo (ma a leccarlo, dolce come il miele) del primo appennino bolognese rivolto verso la Toscana.
Da lassù si vede ancora, splendida di sfarzo ottocentesco, la città di Bologna.
Nido di api lente e pazienti, di sorci lentamente deambulanti, vicinissima ai calanchi che segnano le prode come rughe sul viso mai stanco dei vecchi soldati, senza alberi e foglie ma attorniata dal molle e disperato incanto delle ginestre che chiamano amore.
Montecalvo al suo culmine sosteneva soltanto la villa (lì improvvisamente fiorita) di densissime mura, sbalzi, fregi, ghirigori, ricami – piena di voci. Qua esemplificata.
Durante l’ultima terribile guerra in Italia caposaldo dei tedeschi, con bombarde e cannoni, a difesa della incalzante ascesa delle armate alleate lungo lo stivale, fu smembrata stravolta resa cenere e polvere.
Scusandomi per l’affanno, ne do anche solo per me l’elegos come rimemorazione mai spenta.
OCCORRE AVERE
Occorre avere
per giusto intendimento
fotografia del luogo
dell’ampia devastazione.
A richiesta per gli avveduti curiosi si potrà dare
gratuitamente in bianco e nero una fotografia del luogo
della lunga
battaglia.
Il ricordo dolorosamente stride.
Con dolore, comprimendosi il ventre,
si può essere disarmati di fronte alla sventura?
Chi abita in una casa sventrata dall’affanno di bombe
vaganti?
Chi ha raccolto fra macerie le lettere della madre?
Cenere e sabbia come le spalle del vulcano che non ha
pace?
Dice: parlo anch’io perché ho raccolto frammenti di
ossa che bruciavano
ancora
e il libro di Ugo Foscolo ferito a morte dal piombo
come un soldato in battaglia.
Parlo dice (racconto) per pochi amici dispersi ora che è
il tempo del tuono
e non ha quiete il delirio dell’onda impetuosa dei giorni
giaceva la collina disposta all’amore prima del grido.
È volato via dimenticando le penne lo storno pensatore.
MONTECALVO ERA LÌ ARDITA E FIERA
Montecalvo era lì ardita e fiera
non si consumava nell’affanno di un’attesa.
Resisteva nel brivido dell’aria la sua faccia
di antica contadina mai vinta.
Sembrava
ed era
nel tempo dei tempi
il castello di favolosi pirati
con Bologna la dotta che articolava cavilli nel
codice dei suoi
maestri.
Così correva la vicenda cara Montecalvo distesa
sotto il
cielo
e la città la vedevi giacere solenne nella pianura
simile a una venere addobbata di luce tranquilla.
[Di luce.
Nel silenzio ansimava.
Strani riverberi sfasciavano il silenzio della notte.
Respirava le sue attese la dura ferrosa Monthly
erano pazienti e anche
con qualche trasgressione di giovinezza protesa.
Protesa a sellare il cavallo del mondo senza paura.
La vita si irradiava di fosforescenti lumi
[in questa cima di
Olimpo
e un futuro torrenziale in fuga si rovesciava
sugli occhi degli astanti allibiti.
Dove vai? Dove sei? Strillava
la madre sulla soglia di una casa non ancora
[diruta o modesto
maniero. Ridendo diceva questo a un figlio rotolante sul
prato.
In tempi lontani.
Così Montecalvo dai fremiti supremi
la speranza portava a sperare le erbe future.
Oppure…
TACE E DICE
Tace e dice:
ora sono prossimo alla riva del mare e in affanno
ma allora correva il tempo delle mele
a Montecalvo fioriva la ginestra
odorava di timo e di limoni pallidi
il tempo dei viottoli immersi nella nebbia
[che aveva mistero
uomini e donne allora cedevano a un sonno di cenere
il trionfo della vita sommerso dalle lapidi
[di divise infami.
A Montecalvo il vento tirava calci nel cielo
stridevano le nevi percorse da fuochi sconosciuti
non si placavano cadendo.
Dice: qua assiso
non passerò alla storia
ma dentro alla storia sono stato gettato
[sono finito caduto.
A Montecalvo avida premura del tempo
anni di ferro
passata la tempesta
cancellato il destino
il libro abbandonato posa sulla pancia di un tedesco
[bevitore di birra.
A MONTECALVO NON ERA MAI COME SI DICEVA
A Montecalvo non era mai come si diceva.
Non era mai primavera mai domenica
natale sfuggiva per le pendici
e nei calanchi vicini dove
dove dove
le ginestre fiorivano quasi spente.
Ovunque cadevano bombe ardue da inseguire nel
crepitio della morte.
La voglia di rompere la solitudine traboccava in gola
mentre Rabagliati cantava con la voce che sapeva (era
calda) di pane
ba ba baciami bambina
e Dean Martin cantava lì a Montecalvo con la voce di
Rabagliati.
Lungo faticoso divagare di destini
divagare di immagini nello schermo di un cielo
ostico di meraviglie non caritatevoli.
Poi la guerra. La guerra. La guerra che
[veniva da lontano.
Via dai tedeschi massacratori in tuta gialla di sangue
via dagli inglesi mass
massacratori di Montecassino
bruciatori di fogli
killer spietati di monaci in fuga.
Si rimiravano nelle tiepide acque mentre il cielo
stravaccato avvampava.
Poi la guerra. Via dal solenne silenzio degli alberi.
Per la guerra imbiancarono anche le foglie.
Le madri come pietre senza sangue.
Il fiume della guerra scorreva scorreva scorreva
[scorreva a mare.
A MONTECALVO LIBERA E LEGGERA
A Montecalvo libera e leggera.
Le rosate albe i limpidi silenzi.
Le uova nel nido dello stormo errante
danzante – sì, danzante – fra gli arbusti.
Storni e api, i solitari richiami delle vacche
(sperdute nel mare del silenzio)
sbalordite impazienti.
Seduto scriveva la sua lunga odissea.
Non sono Ulisse diceva non tormento il mare
neppure mi consolo fuggendo la violenza del mondo.
Chi mi cerca? Chi mi vuole?
Sono io che ritorno pellegrino
per irte strade e irti sentieri dove già
giacciono uomini morti e consumati.
I guerrieri di un tempo lì stanno
MONTECALVO VICINO ALLA FRONTIERA
Montecalvo vicino alla frontiera.
Girotondo
il mondo si sfaceva.
La gloriosa solennità della notte
era consumata dall’ululato accanito del lupo
alla cerca di pecore da sgozzare.
Infine la campagna tacque
irrorata con il sangue della mattanza
gli uomini non ancora assopiti
ascoltavano il rigurgito sazio del lupo
sognando il fucile con la vampa del tuono.
Questo prima che accadessero altre cose
[senza speranza.
MONTECALVO MONTECALVO
NELL’ANTRO DELLE TUE DORATE FINESTRE
Montecalvo Montecalvo nell’antro
[delle tue dorate finestre
e le sale che luccicavano per l’oro
l’asso di coppe è sicurezza diceva
l’uomo accade che felice fugge
l’incaglio del bastone.
Questa (vedi?) è un quattro, dice
i cantoni della casa
così lei trionfa.
L’asso di denari illumina questo trionfo.
Poi una persona alta.
E una casa
da lei mandata via che ritorna,
il male corre come un cane
battuto dalle pietre.
Dunque teme, ha paura che
questa cosa
non dia furore come lei spera?
Avrà il figlio domenica
con neve
a notte alta.
L’asso di coppe è sicurezza,
lei trionfa.
Così mia madre quieta ancora giovane
m’ascoltò nascere
una sera
di un anno lontanissimo.
DICE: NON TI DIMENTICARE
Dice: non ti dimenticare.
Le pietre frantumate
riposavano come Apollo fra le braccia di Venere
e risplendevano nella notte dorate
come le sirene che cantavano su gli scogli d’Omero.
Poi arrivò ribollendo nell’aria
sibilando un suo triste destino
l’ombra della morte svolazzante
con il mantello aperto spalancato
per raccogliere le briciole del mondo
e l’urlo sgozzato degli uccelli
che perdevano le penne.
Pace? Non ti dimenticare
dice
degli anni passati e della vita
ormai scaduta. Pace?
o Guerra?
Quelli erano anni di consapevole sventura.
Lì ebbe inizio
in un giorno di sole
la devastazione di Montecalvo
e delle sue arnie e delle sue urne
dei suoi castelli di sabbia e di api.
A MONTECALVO UNA PASSIONE C’ERA
A Montecalvo una passione c’era
cauta
di ore. Sciamavano le api
anche cantavano. L’uomo dice: è bene, le ascoltavo
volavano fra gli arbusti e
la guerra le obliava.
Lontano trionfavano i cannoni sempre più vicini.
Poi fu l’occasione di un’ecatombe di pietre.
Montecalvo era in alto, non salva.
Andate! gridavano urlavano i tedeschi
[con bionde infuriate
parole
Scheise italiener raus! l’ira
vince l’onda del prato che palesemente avvampa.
I primi riboboli dorati rotolavano nell’aria
salendo da San Luca
rotolando precipitosi verso i coppi di Bologna
ed era tutto luce e fiamma
sulle spalle dei poveri umani stupefatti.
Crolla la vita e la città intera! Raus italiener cosa mai
vuol dire?
mentre tuttavia e per destino uno di questi
[baldi giovanotti
cadeva colpito a morte fra le pagine
di un libro che bruciava.
Montecalvo moriva come un delfino nel mare.
QUIETE CONTADINA
Quiete contadina
nelle notti di un nebbioso sopore
albe di brina
e nelle sere il confronto della luna
e i canti indugiavano sorgendo
dai casolari e
nelle stalle le candele accese.
Poi è accaduto poi accadde poi è precipitato il cielo
sperduto nel
suo divagare
le nubi spaventate non rispondevano ai venti
l’aereo di tela in cantina
smembrato come un pupazzo senza pianto
inutilmente sospirava l’ebbrezza del volo.
In un momento tutto cenere e lapilli
mortali ebbrezze conducevano gli uomini alla morte.
QUEL GIORNO MONTECALVO
Quel giorno Montecalvo
si ergeva in isolato furore
la sera calò
cercando di bruciare l’erba medica che sapeva di fieno.
Membra sparse.
Nessuna lacrima di sentimento
per la precipitevole fine.
Cinque colpi di cannone
risuonanti come il battere dei tamburi nella foresta.
La carezza della guerra
la sua voce corposa e improvvisa
la graziosa allegria dei bambini sul prato
spenta con un soffio. Grida.
La guerra si presenta invasata dai demoni
schizzano saette dalla pelle.
Non tace mai.
E dura.
IL VENTO HA INFURIATO
Il vento ha infuriato
trascinando alberi e api
Montecalvo nuda
per questo libeccio gonfio di cattivo umore
e per la vicenda mai raccontata.
Gli uccelli bianchi e neri fulminati dal cielo impetuoso.
La natura pazza di rancore.
Chi chiamava oltre le finestre serrate?
Chi schiudeva la propria anima inseguendo il fuoco
[dell’inverno?
Tempestosi erano i fuochi fra la neve.
Anche un gatto arruffato nella sera
[di vicende miserabili
ascoltava la radio prima
che Montecalvo tacesse con la gola tagliata.
Gli uccelli, ripeto, cadevano come foglie
semplicemente in silenzio cadevano e morivano.
I soldati cadevano.
Così la natura saluta
gli abitanti delle sue solitarie foreste.
Poi le donne
gli uomini
vecchi diventati
tutti vivono aspettando.
LA MINUTA STERPAGLIA
La minuta sterpaglia
circonda i calanchi a Montecalvo.
Dice:
è arrivata thanatos su
berlina dorata (di sole).
Sali! (dorata di vita soave e ha
occhi azzurri di cielo)
l’infinito è tuo
(albe e tramonti e il respiro rapido il trapassare
[dell’inverno)
avrai lieti ricordi
non ti disturberà la luce
se ascolterai voci saranno quelle
di una gloria perenne
che solo il silenzio concede.
Sali! i cavalli sbavano fremendo
i cavalli – angeli – hanno una
pazienza ilare da whisky
infuriati solo dalla giovinezza.
Sali! suonerò la mia chitarra
cantando una canzone d’autore.
Ascolta! ascoltami!
La mia canzone è tetra?
Non conosco altre canzoni. Solo canzoni di guerra.
A MONTECALVO GIOIA FURORE AVVENTURA E
Montecalvo gioia furore avventura e
poi
alte nuvole del Tiepolo erranti e disperate
in cerca di gloria
mentre la terra bruciava.
In cerca ansiosa.
MONTECALVO MONTECALVO MONTECALVO
Montecalvo Montecalvo Montecalvo
apta mihi. Avevo poco da spendere e poco
da dare
dovevo anche sottostare in silenzio
all’impero dei giorni sicché
poco mi orientavo e poco potevo ascoltare
la voce dei suoni.
I nuovi erano bellissimi
ma li potevano ascoltare altri che
bivaccavano intorno ai fuochi.
“Lei intanto si vergogni – mormorava la
donna e un uomo alto e triste –
per la sua ignobile arroganza”
questo diceva mentre la casa si frangeva
schizzando lontano nel prato
polvere e rombi di pietra dura e di ferro
che
improvvisi imponenti andavano per il cielo.
Montecalvo Montecalvo apta mihi
ho sempre nell’occhio l’urlo
dei soldati che morivano
uno lo trascinavano con i piedi striscianti per terra
lontano dal muro inconfondibile della vita.
I NUMERI SUONANO
I numeri suonano
cantano
ballano
sulla carta discesa sul prato
nella testa dell’uomo
sulla mano che stringe l’oro rubato
mentre Montecalvo si torce nel fuoco
[con dignitoso dolore
e i superstiti correvano a mendicare
pane e vita senza
lacrimare
non essendo più consentito a chi
rischiava di cedere il destino per un turpe baratto con gli
dei
per un poco
di pane. Ahi! Bruciava
l’austera Montecalvo stesa al suolo
bruciava la pietra bianca il duro legno le bifore
ferruginose e i tralicci disposti come i rami dei pioppi.
Sapienti involute sculture.
Fu breve il tempo. Poi…
Fumava la distesa del panorama di primavera inoltrata
fumante rovina.
Lì sedeva risiedeva la signora con il nome
[di antica regina.
Amore e morte. Montecalvo ardita moriva.
LASCIANDO MONTECALVO IN ROVINA
Lasciando Montecalvo in rovina
gli dei mi hanno sedotto dentro all’ira
accompagnandomi per i
sentieri della montagna.
Le marmotte albergavano
verso l’argine dove l’acqua dormiva.
Dove sono le lucciole? chiedevi.
Annaffiavano il cielo esse (stelle sperdute)
oscurato dalle formazioni dei
burberi portatori di fuoco.
Fuggono le marmotte.
Le lucciole cadono a terra trafitte dallo spavento.
EFFETTI COLLATERALI
Effetti collaterali
dopo Montecalvo fuoco e rovina.
Il fissaggio di una bomba
all’ala di un F18
caccia F14 pronto al decollo
una portaerei a propulsione nucleare
come la Theodore Roosevelt
ha una autonomia di navigazione
di 13 anni
una portaerei della classe Nimitz
costa novemila miliardi
a bordo ci sono 5500 uomini
2500 telefoni 3000 tv a colori
ma non c’è morte (dicono)
perché noi combattiamo contro la morte.
È VERA ROVINA È SILENZIO
È vera rovina è silenzio gelido è cupa terra.
Statti zitto e lasciami pensare.
Si scioglie l’Antartide
a rischio i continenti
stanno i ghiacciai morendo
la fine dei pinguini
le balene si arenano
se il continente bianco si scioglie
s’alzano gli oceani (si alzano è previsto
di sessanta metri)
sempre più caldo il sole
la terra inospitale diventa deserta
via l’uomo via le donne
l’acqua e le dune
le pietre il fiume
e il gas serra nell’atmosfera
l’uomo contro l’uomo
donna contro donna
il filo della vita
una guerra perduta o
una guerra infinita?
Già da allora è partita questa rovina.
LA RUINA DI MONTECALVO
SFRACELLO DI GUERRA
La mina di Montecalvo sfracello di guerra.
Hegel te lo puoi scordare.
Era lì sopra il camino.
Caduto per terra è poi volato via
guardando me con gli occhi azzurri alteri.
Arrivato a Jena incontra Hölderlin e parlano dei topi
monaci misteriosi che bisbigliano nelle tenebre.
Così passa il giorno passa una notte intera.
Al ritorno del sole
l’erba è rossa la terra è stata bruciata
i buchi neri ringraziano il cielo dei cieli
per essere stati accettati e collocati
con armonica sapienza nello spazio.
Per il momento, Hegel sospira, questo
è qualcosa di completamente incomprensibile.
MONTECALVO IN ROVINA. HO
Montecalvo in rovina. Ho
ballato fino a tarda sera
il cielo era tutto una stella
mai ho visto il mondo
così disteso nell’infinito
con splendido cuore.
Le cose capitano secondo ragione
(talvolta).
Suonavano campane
da chiese nascoste nelle foreste
sulle città impietrite
divagavano suoni e suoni.
L’alba verde è arrivata
stracciare suoni e pensieri
il mondo ruggendo si è accasciato
sul tratturo di ieri.
LA ROVINA DI MONTECALVO
La rovina di Montecalvo
lì, sulla collina. C’era una casa.
Adesso non c’è più.
Non è sparita ma
ferita sconsacrata bombardata
muri in ruina forte mitragliati i muri
precipiti i muri in una angoscia
grigia senza domani.
Una volta (una volta) voci
rompevano il prato nel momento
del giorno declinante dentro al sole.
Un padre fra le api
madre con l’aquilone in mano
a sdipanare con la bandiera il cielo.
Oggi il silenzio è steso fra le ombre
a piedi scalzi gli anni divagano
fra le macerie e il
grido di memoria delle battaglie crudeli.
Vicino al dirupo un cimitero di guerra
trascurato già dimenticato.
MONTECALVO IN SILENZIO TERRIBILE
Montecalvo in silenzio terribile
giace a terra distrutta.
Stai lontano da me, l’odio è un signore
splendido e potente.
Luminoso di grazia e pazienza.
Verrà il tempo di raccogliere il miele
per addolcire le mani.
Aspetterai che l’inverno
sia trapassato e giunga
l’adornata primavera.
La stagione più vera e consacrata
per rallegrare la fronte del nemico
come si deve.
Così ha detto il sapiente che è saggio
ma non è paziente.
VICINO AL FUOCO FUMANDO LA PIPA
Vicino al fuoco fumando la pipa
dopo che Montecalvo è distrutta.
Tutti noi sopravvissuti dobbiamo morire
già sulla retta d’arrivo per ottenere questo consenso di
morte.
Non c’è nessun destino maldestro
[e sventurato da lamentare
o per corrucciarsi.
Patiamolo dunque con la dovuta ironia.
Morire a ottant’anni è tanto ovvio
che a pensarci durante il giorno
viene il riso alla gola:
oh! Giove quanto ho vissuto
e quasi inutilmente
vale a dire senza aver fornito alcuna
[prestazione originale
o alcun servizio valido al pubblico inclito
[del mio tempo.
Società, comunità si fa per dire.
In sostanza essendo stati magri compagni di viaggio
nonostante il volere.
Si dice alle volte Potendo rinascere…
Ma cosa potremmo fare dopo questa sventura?
Il medico? Il fornaio? L’artista di bella pittura?
Saremo sempre degli onesti viandanti che
spezzano la spada sul ginocchio e
Dio perché mi hai offeso a morte in un delirio di fuoco?
Ecco qua la cenere.
MONTECALVO SI PLACAVA IN UN LUNGO LETARGO
Montecalvo si placava in un lungo letargo.
Poi disse: ogni risveglio è amaro
non vorrei (credetemi che)
che come acqua che cade
non vorrei (credetemi vi ripeto ascoltate)
che come precipitoso defluire di un fiume verso il mare
aperto agitato
un cielo non più paziente apra il forziere
[delle sue rabbie occulte
e ci punisca per le cose non fatte
con alluvione di pietre e fango scivolante dai monti.
Dice Montecalvo: io resto in attesa. Non piango.
Ma è vero che la tristezza dei tempi
rotola fra i denti e rende
ogni boccone di pane prigioniero di un cupo veleno.
Non lo dico lo penso
se prima di cedere il campo si scriverebbe dalla mattina
alla sera
(la poesia è una compagna avida e amara
appare scompare non lascia tracce).
Potessi aspettare impaziente
la nuova primavera.
COSA TI ASPETTI IN QUESTI
Cosa ti aspetti in questi
giorni
che sono di nebbia?
A Montecalvo così lontana dal mare.
Voglio contare i giorni
che ancora mancano per arrivare alla sera
benefica di luci di stelle.
La musica non deve
disporre a qualcosa ma
mi deve lucidare dentro
come acqua molto fine di sorgente
che scorra fra le dita sulle spalle
sui piedi impolverati
di colui che cammina con speranza.
Un deltaplano riduce l’aria del sogno di
un richiamo di ghiaccio.
MONTECALVO
Montecalvo
moriva ferita a morte moriva
ricordate
dicendo noi sopra le lapidi fredde
ricordate
scolpendo voi i nomi sopra i marmi placati
ricordate dite ricordate
noi che le libertà l’abbiamo inseguita mordendola
[come i
cani
camminando nel fuoco
ricordate
ricordate
la nostra morte per voi
sia un ricordo per sempre
ricordate
ricordateci ancora
noi sperduti dimenticati nella bufera.
Nota
Ero su una scala di legno appoggiata a uno scaffale. In una libreria di gran nome (allora) nel centro di Bologna.
Attraverso una finestra (grande allora) a destra, vedevo la statua di Galvani, reclina la testa sulla tana, nella piazza (piazzetta) che si apriva davanti al portico della biblioteca (favolosa, tutt’ora) dell’Archiginnasio, luogo di inestimabile gradimento per la lettura e per le conseguenti sorprese nella lettura (come accade quando si è giovani, e come accade per chi, da giovane molto, cerca la compagnia non effimera dei libri).
Era uno dei portici che sono un respiro vitale e di accondiscendente effetto della città di Bologna, inclita un tempo e oggi violentemente disanimata e perduta. In quegli anni, terribili, della mia prima giovinezza, era invece solida, polverosa, profonda.
Anch’io ero, in quegli anni, polveroso e cominciavo a tentare di scrivere registrando considerazioni ed emozioni in versi, come ne scrivo ancora, sperando bene.
Il libro (lo ricordo) era edito dai Fratelli Parenti a Firenze, copertina ruvida, colore verde scuro.
Leggere e sbirciare al sommo di una scala di legno (non più consentito) è diverso dal leggere seduti davanti a un tavolo al lume di candela, è davvero un inebriante invito alla furbizia generosa dell’apprendimento (e, sempre quando si è giovani, talvolta un invito non rimediabile al furto agreste).
Insomma, sbirciavo. In quel momento esplose il lugubre avvertimento della sirena d’allarme.
Avviso che anche quel giorno la dotta città di Bologna era sotto tiro.
Poco dopo, il rumore rotolante strisciante inviperito dolente (improvviso sgomentevole) di una formazione aerea disposta a massacrare le antiche onerose memorie della città (fra le più tempestate dal cielo in Europa).
Uno sgretolare di chiodi nell’aria, sempre più rampante; infine, a completare il quadro dell’attesa, la sibilante perfidia e l’estenuante brivido del cadere delle bombe.
Dico di sentimenti, di emozioni provate in quel preciso momento e non aggiungo altro.
Gente che prima non c’era correva a perdifiato, per la strada e verso gli androni; un indistinto greve vociare e talvolta urlare; parole gettate al vento dalla paura e dall’ansia delle speranze di salvezza. Insomma tutto. Fu colpita la stazione ferroviaria, così vicina al centro, ma anche zone collinari e per la città fu la conferma di una progressiva devastazione. Tale fu, in collegamento, il destino avverso di Montecalvo, dove risiedeva una villa, in solitudine sublime, piena di api d’oro.
Gli eventi seguenti tentarono di consegnare il mondo, non solo quelle pietre, alla morte.
Le pietre caddero a terra e noi le abbiamo viste cadere.
Ne ho raccolta una.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: poesie pubblicate in volume
- Editore: Oèdipus
- Anno di pubblicazione: 2010