Gliòmmeri (1979)
INDICAZIONE
“Gliòmmero, componimento poetico napoletano dei secoli XV-XVI, in endecasillabi con rima nel mezzo, di contenuto disparato (proverbi, leggende, storie, fatti del giorno ecc.), destinato alla recitazione in forma di monologo” (Palazzi, Dizionario…). Qua presenti non sono componimenti napoletani, tantomeno in endecasillabi con rima nel mezzo; ma componimentucci di contenuto disparato, con qualche rima qua e là se càpita, non destinati alla recitazione in forma di monologo. Da leggere con gli occhi, se si vuole.
Giocolieri, giullari, trovatori
con gli occhi bene aperti e con la bocca feroce
rimestavano i peccati dei potenti
che li inchiodavano in croce.
Lutterius istrio de Florentia
Scatuzio marchigiano
Matulino ferrarese
Guidaloste iocolatore di Pistoia.
Passavano per le piazze d’Italia
cantando come dannati
prima di essere decapitati.
***
Oh che alba.
Scese per strada.
La città l’inghiotte.
Si affacciò al balcone.
Oh che notte.
È di nuovo in strada
con le scarpe lucenti.
Poi si buttò nel fiume.
L’acqua era calda.
Fu trascinata nel mare
col sangue di un gabbiano.
L’uomo sulla riva
accese un toscano
non gridò aiuto.
Il vento rosso cominciò una canzone.
***
Un soldato passa
sul filo teso sopra la piazza.
Un centauro canta facendo l’autostop.
Il bambino che ha sognato di uccidere la madre
col pugnale
a scuola disegna con la matita rossa un maiale
il porco è lì sull’aiuola macellato male.
Il treno sigillato in un binario morto.
Le autostrade coperte di foglie.
Come una piuma
guardiamo la nave affondare.
***
Quattro cavalli bianchi
piangevano sulle rive dello Scamandro
perché il guerriero era morto.
Il vento sanguinava.
Bruciavano gli aquiloni alzati da ragazzi di paglia.
Gli alianti cadevano dalle montagne.
Gridavano le conchiglie.
Il riso tremendo delle ragazze.
Dovevi entrare in una nuova dimensione.
Le poesie in quel tempo
non si mandavano a memoria.
Ciascuno bruciava i fogli prima di sera.
***
Il gelato di fichi
è migliore del gelato di noci.
Tre croci di Tozzi
era a suo tempo migliore dell’ultimo libro di Papini
Pasolini doveva ancora girare Accattone.
Tre bambini, figli di mia sorella,
sulla riva del mare
tentavano di alzare un aquilone.
A Viareggio
mio padre faceva il bagno alle otto di sera.
Stasera per la prima volta dopo tanti anni lo ascolto
volare nell’infinito.
***
Ieri sera ho incontrato Goethe.
Sedeva in una poltrona alta e nera
e aveva due buchi nei calzini.
Parlava lentamente.
Gli altri amici bevevano nei bicchierini
di cristallo.
Ogni tanto chiudeva gli occhi
e si appisolava.
Tutti allora aspettavano in silenzio
quando con un sussulto si svegliava
e sorrideva quasi fosse un giuoco.
Raccontava di Schiller morto da poco
raccontava di quando andavano sul Neckar a nuotare.
Sembrava che una nuvola rosa
dentro ai suoi capelli bianchi cominciasse a bruciare.
Poi è ritornato a sonnecchiare.
***
DRAMMA DI UN SAPIENTE NEL MESE D’APRILE
Un saggio antico
con la mano destra scriveva
sul libro della verità
mentre con la sinistra
accarezzava la luna
ferma nel cielo a metà.
Poi la luna nel mare
essendo il mese d’aprile
andò con un branco di tonni a pescare.
Il saggio rimasto solo
continua a scrivere, a chiosare
tuttavia si annoia
perché con la mano sinistra non sa più
cosa fare. E non ha gioia
neanche a pensare.
***
Hegel era un signore
che vinto dal rancore
per far dispetto alla suocera
gridò un mattino che l’arte era morta.
O se non morta, prossima a morire.
Poi chiuse a chiave la porta
e ritornò a dormire.
La suocera che faceva poesie
dalla mattina alla sera
per la notizia morì di dolore.
Da allora Hegel riprese a zufolare
canzoni d’amore
lungo la Mosella
quando andava a pescare.
***
Un topo provocatore
entrò nel regno dei gatti
si infiltrò in un partito
diventò senatore.
Ma al primo discorso ufficiale
che aveva mandato a memoria
in un’aula piena di storia
i colleghi rimasero male
per questo semplice fatto:
s’accorsero che parlava un topo
mentre lo credevano un gatto.
Il dilemma durò un minuto
perché quella gente sapiente
mentre il topo gridava aiuto
lo mangiarono come fosse niente.
***
Le donne vanno
gli uomini restano.
Le donne restano gli uomini vanno.
C’è odore di un vento strano, di mele cotogne.
L’oceano è nero nero alla televisione.
Fin dove posso toccare il cielo
c’è fuoco e panna.
Polvere di uomini morti copre adagio splendidi fiori.
Fra quattro nuvole di Carpaccio
uccelli larghi come la mia mano
gridano che l’estate è finita.
***
SCENEGGIATURA:
figlio ucciso parte lei
arriva al Po
dove ha una casetta abbandonata
(è abbandonata).
Fra le volpi i camosci fulminati
dalla cerbottana degli indiani, sulle Volkswagen
chi non crede alle favole
beve sidro amaro alla fontana.
Dopo tutti cantano ridono.
Le donne abbracciano gli uomini
che partono per soldato.
Lei dimentica il figlio.
Dal ponte guarda nel fiume il corpo di un annegato.
***
Un uomo senza dio
incontrò un uomo con dio.
Ciascuno andava per la sua strada.
Si incontrarono a un bivio (bada
di ricordarlo) nelle isole Aran.
– Passa tu!
– No, avanti tu, non io!
Laggiù in fondo era il mare.
Non ci fu verso di farli passare.
Oggi sono ancora fermi a declamare
– Passa tu!
– Non passo io!
l’uomo senza
e l’uomo insieme a dio.
***
Il sonno del primo mattino
si incontrò col sonno dell’ultima sera
al bivio per Madera
in terra di Spagna.
Più che incontro
fu scontro.
Il sonno del mattino
veniva da destra
aveva la precedenza
ma il sonno della sera
senza badare
cercò di passare, con imprevidenza.
L’impatto fu terribile.
Accartocciati in un prato
con decesso immediato. Furono portati via.
Un risultato incredibile
diede l’autopsia:
i due sonni avevano mangiato
le stesse cose
avevano la stessa ritmia
anzi, gli stessi mali.
Insomma i due sonni erano uguali.
***
Al tempo dei solitari anacoreti
le cui dimore punteggiavano i declivi
in faccia al mare Jonio
il demonio
passando un giorno in bicicletta
vicino alla città di Rossano
per la fretta cascò per terra
e si fratturò una mano.
Eccolo lì svenuto
che chiede aiuto
tutto dolorante e sanguinante.
Dalla cella lassù sulla collina
lo vede un monaco penitente
che si butta giù a perdifiato
per arrivare primo
a soccorrere quell’ammazzagente
quel miscredente quell’emarginato.
Lo vuole aiutare a guarire
poi con l’astuzia convertire.
Infatti un diavolo alla mano
tutto casa e chiesa
è un miracolo per un vero cristiano.
Così fu almeno in parte.
Il demonio in effetti si convertì
ma il buon monaco eremita
per via del contrappasso indiavolì.
***
La dogana: «Niente da dichiarare?».
«No, niente. Solo trecentodue pensieri
misteriosi
e personali».
Investigarono bene
poi lo multarono
per tentativo di esportazione clandestina.
«I pensieri
– dissero i doganieri –
sono una merce fina.
Non possiamo chiudere un occhio».
Poi si accorsero che sopra un ginocchio
con inchiostro rosso
s’era ricopiata una poesia di Trakl.
Fu lasciato passare
perché la poesia non è una cosa seria
non fa male
soprattutto non è pericolosa
neanche per i bambini.
La poesia è una rosa
lo diceva anche Fortini.
***
25/11/’78
II cavallo della morte si azzoppò
fra Lovoleto e Pechino.
Fu un bambino da un campo
che si accorse della cosa
quando vide la morte impolverata
camminare a piedi
e dietro lemme lemme il cavallo
con un’aria irosa.
«Muoviti, sveglia, dai!»
imprecava la morte. Ma il cavallo
rispondeva biascicando a bassa voce
«sono peggio del ladrone in croce
a portare a spasso per il mondo
questa balena maledetta
che ha sempre fretta
e come una saetta
non fa che travolgere e accoppare
tutta la gente che si vede intorno.
Se vuole camminare,
perché non si compra una bicicletta?
Non sono un cavallo sballinato
e neanche un cavallo da crociato».
Racconto queste cose perché
per circa tre mesi
nessuno morì nel vasto mondo.
La tregua fu adottata
perché la gamba di un cavallo
si era fratturata
e la morte, per un momento
disarcionata,
non poteva più correre come il vento.
***
A donna Prassede
fu amputato un piede.
Ancora oggi a chi le chiede
perché va così piano
donna Prassede risponde:
ho perso un piede
e non posso andare lontano.
Avessi perso non il piede ma una mano
potrei arrivare a Milano
o perfino alla città di Dublino
che a causa di Joyce tanto mi piace. Ma
adesso mi do pace e
resto qua vicino.
***
Dice ho pochi amici per fortuna.
Non più di otto.
Anzi, non più di sette
o di sei
forse non più di cinque.
Ma per mille saette
questi quattro non mi lascerebbero mai solo.
Fossi nei guai
questi tre arriverebbero a volo.
Sono troppi? Ne bastano due.
L’asino e il bue.
***
DIARIO SULLA CIMA DEL MONTE CANINO UN MATTINO DI PRIMAVERA ANZI UNA SERA MENTRE PIOVE DURANTE UN TEMPORALE
– La terra l’ha creata dio.
– No, la terra l’ho creata io. Anzi, l’ha creata
questa piccola formica.
– Allora dio ha creato la formica.
– No, dio l’ho creato io. E la terra l’ha creata
questa piccola formica.
– Ma dio è dio.
– La formica è formica.
– Asino
– Pirla
– Stronzo
– Gonzo
– Impotente
– Elocubrente
– Aclista
– Ciclista
– Oh, guarda, non piove più.
Guarda questo arcobaleno di dio.
– Oh guarda laggiù
quel campo di formiche.
– L’arcobaleno è di dio.
– Il campo a valle è pieno di formiche.
– Dio ha creato le albe e i tramonti.
– Dài, cosa mi racconti?
Albe e tramonti non li ha creati dio.
– E le formiche?
– Le hanno create le molliche
che ho seminato io.
***
La rabbia della poesia.
La fabbrica.
La città.
L’amore.
La storia.
La morte.
Il duemila.
La lingua.
I bambini di tre anni.
L’uomo.
La donna che
per un po’ di tempo sta qui e guarda.
***
Lohengrino masticava una mela renetta
e masticava in fretta. Rifletteva
(ispessendo l’iperbole
a scapito della sineddoche)
che un verme clandestino
si nascondeva nell’intestino
della poesia
e potevasi annegare col vino
della parola.
Tale e quale il verme della mela
che stava nella polpa
e anelava a uscire
per scorgere i colori del cielo
(che altro non sono che un velo
di fiori
che bruciano).
Poi Lohengrino arrivato al torsolo
con un ultimo morso
lo buttò via.
Insieme al verme della poesia.
***
Inferulava spodanza de la zita
longarimando dal pre’ altra risura
ottucolada e svisa
rinsava mai poter
ostrando dal veder posa e chiusura.
Incion vasava che
marché l’era sré
perché lus la mancheva
asdabalar intra o intrò lorima
voda
rindisperando in sima
***
Avendo bisogno di un tavolo
rotondo
(di un tavolo circolare)
ho girato mezzo mondo
senza poterlo secondo il mio gusto comperare
Per la verità ne aveva uno (soltanto)
l’Herr Professor di filosofia
die abitava ad Heidelberg in una via
che non ricordo.
Era anche un poco matto e un poco sordo.
Il suo nome (è qua trascritto sull’agenda)
era Immanuel Von Kantfazenda.
Sul tavolo appoggiato a una colonna dell’ingresso
c’erano quadernoni e libri a pile
oltre a ormai defunte ragnatele.
Poi, non so come, questo Immanuele
diventò all’improvviso renitente.
Non voleva più concludere il mercato
dei soldi, dice, non me ne importa niente.
Gli gridavo all’orecchio: per evitar fatica
mi dica dove e li appoggio io per terra
come porcellane sopra un prato.
In terra per favore proprio no
non siamo in guerra
caro ragazzo mio
rispondeva uscendo dal torpore
e l’affare venne cancellato
per colpa di questo iracondo professore.
***
Oggi ho incontrato Wittgenstein
ai giardini
portava a spasso due barboncini.
Poiché è persona educata
ha risposto bene al mio saluto
ma poi uno dei cani ha tentato di montare
la mia cagnetta
e io l’ho scacciato con una bacchetta
raccolta per terra.
Wittgenstein si è arrabbiato
e ha cominciato a gridare:
“Ladro di polli, scrittore
da anno zero, fottuto manichino,
vuoi la guerra? L’avrai!
Non dubitare
che schiaccerò te e il tuo cane cretino
così ti pentirai”.
Era un mattino ventoso gelato
Wittgenstein si è allontanato
tutto infuriato.
Chissà dov’è andato.
Camminava su un prato.
***
Comincio dalla fine. Lontane parole
scivolano a terra
consegnate direttamente da due giovani
che si erano disposti
quietamente
ad ascoltare.
Rare gocce d’acqua piovevano dai fiori
consumati in altezze fredde
– giravano attorno fumi e fuochi di nubi
occludendo l’intero orizzonte.
Solo infelicità [della guerra] [dalla].
Non ci si può permettere in queste condizioni
neanche l’atto di sorridere
di ascoltare. Neanche quello di tacere.
Parlare, bisogna. Parlare,
su, parlare parlare. Non tacere.
Non la guerra fare. Parlare ascoltare.
***
In prinzipio ghera che girava zirava zirava
tutta sola poereta e si sforzava
e girava voltolava zummava palpando il vuoto
nel vuoto
per cercare un ramo da aggrappare, meno che
niente.
Nessuno si lasciava toccare, niuno.
Schiumavano onde rosse nei lunghi mattini
sopra i capelli lunghi capelli neri capelli sul mare
delle blatte di tutti gli angeli allineati che aspettavano
il supplizio.
Sulle colline di Creta c’era un vulcano giovane senza
giudizio.
Mano nella mano, pof! venuti da niente [lontano]
un passero e un caimano passeggiavano parlando
del futuro.
L’uomo ancora non era nato.
Così la donna era sola
nella cruda immensità del creato
dove la verità è nuda.
Informazioni aggiuntive
- Tipologia di testo: poesie pubblicate in volume
- Editore: Associazione Culturale Versodove (Edizione fuori commercio di 100 copie numerate e firmate)
- Anno di pubblicazione: 1999